Documento appello dell'associazione

" ALEF – Associazione Liberi e Forti"

In un momento delicato della politica italiana, a 90 anni dall’appello sturziano ai “ Liberi e Forti”, si sono riuniti a Lonato di Brescia il 28 Novembre 2009,  donne, uomini, anziani e giovani che ritengono doveroso e necessario impegnarsi in questo momento di trasformazione sociale ed economica che interessa il nostro Paese nel quale l'integrazione europea è diventata parte della nostra vita quotidiana;

provenienti da diverse esperienze culturali e politiche, le quali, tuttavia, fanno tutte riferimento ai valori del popolarismo sturziano e si riconoscono nei programmi politici del Partito Popolare Europeo, essi hanno deciso di costituire l'Associazione di informazione politico-culturale denominata “ ALEF” ( Associazione Liberi e Forti)  sulla base di un impegno fondato su valori e tradizioni che hanno permesso all'Italia di trasformarsi da "terra povera" e di "dolorosa emigrazione" in un'area tra le più industrializzate del pianeta;

valori e tradizioni che si basano sul primato della persona e della Famiglia e sulle realtà associative che, operando in ambito sociale, economico, culturale e politico, intendono continuare la nostra tradizionale "voglia di fare insieme" anche ricorrendo agli strumenti più avanzati delle moderne tecnologie. Tradizione sturziana declinata secondo gli orientamenti pastorali espressi da Papa Benedetto XVI nell’enciclica “ Caritas in veritate”.

Siamo impegnati per la costruzione di un'Europa dei valori, unita, aperta, diversa e più umana, che tragga linfa vitale dalle sue radici cristiane e delle libertà civili, all'interno della quale le peculiarità e le particolarità regionali e locali possano lavorare assieme per promuovere il benessere di tutti.

Sosteniamo l’idea primaria di un’Europa dei popoli e non di un’Europa dei poteri finanziari forti per la costruzione degli Stati Uniti Europei, realtà istituzionale sovranazionale, secondo la visione che fu dei fondatori Adenauer, De Gasperi e Schuman.

Crediamo in  un libero mercato ed una libera concorrenza che sono alla base di un "welfare" che sappia coniugare in modo equilibrato libertà individuale, responsabilità personale, sviluppo economico e solidarietà sociale.

Sono gli stessi principi e valori che hanno caratterizzato le nostre diverse esperienze politiche di provenienza e condivisi con il Partito Popolare Europeo al quale il costituendo Partito del Popolo della libertà si ispira ed intende aderire.

L'Associazione "ALEF" vuole essere un luogo di elaborazione e di progettualità politica, luogo di incontro e confronto, laboratorio di idee diffuso in tutto il territorio nazionale, riconoscendo  il primato della liberta' di espressione e di informazione mutuando ai mass media tradizionali anche l'uso fondamentale della rete internet per garantire il pluralismo e la democrazia.

Riconosciamo il primato della politica come momento di sintesi ideale e come luogo di rappresentanza reale di bisogni diversi e diffusi; per una politica che rifugga le inutili conflittualità personalistiche e di parte e che riassuma i valori del popolarismo inteso come diretta partecipazione dell'Uomo - Cittadino alla costituzione del futuro suo e dei suoi Figli.

Siamo convinti assertori di un sistema elettorale proporzionale e bipolare nel quale il premio di maggioranza con sbarramento favorisca l'aggregazione fra i partiti e scoraggi la frammentazione dell'elettorato, ma intendiamo impegnarci con urgenza per modificare la legge elettorale in vigore che, con l'abolizione delle preferenze, ha di fatto eliminato ogni forma di legittimazione popolare alle classi dirigenti parlamentari.

Così pure intendiamo lavorare con grande impegno per sostenere e rafforzare in Italia, sul modello del Partito Popolare Europeo, il partito dei moderati e dei riformisti che, da un lato, raccolga nel proprio seno tutte le grandi tradizioni politico - culturali del nostro Paese (da quella cattolico - popolare a quella socialista riformista, da quella liberal - democratica a quella nazional - unitaria) e che, dall'altro, sia caratterizzato dalla più ampia democrazia interna e da una struttura organizzativa federale: solo le questioni riguardanti la politica estera, la politica economica nazionale e la politica istituzionale devono essere riservate alla competenza del livello nazionale del partito, mentre tutto il resto (compresa la selezione delle classi dirigenti locali e nazionali) deve essere affidata alle istanze locali e regionali.

La politica non deve essere esclusivamente strumento per vincere le competizioni elettorali, ma deve agire per salvaguardare e costruire anche gli interessi delle generazioni future, alle quali dobbiamo saper garantire quel lungo periodo di pace, di libertà e di benessere che i nostri padri hanno assicurato a noi.

Sosteniamo con forza l'idea di uno Stato Federale che sappia essere popolare e che nelle sue articolazioni territoriali riconosca le funzioni costituzionalmente garantite dei Comuni, delle Province, e delle Regioni.

Viviamo l'autonomia locale come forma di massima libertà, esaltando la partecipazione responsabile nel rispetto del principio di sussidiarietà in quella prospettiva europea che oggi ci appartiene. Una sussidiarietà tuttavia che deve riguardare non solo le istituzioni, ma anche il rapporto tra istituzioni e società civile; ciò che può fare meglio il cittadino, singolo o associato, non deve essere fatto dalle istituzioni pubbliche.

Diamo vita, dunque, ad un modello di valori e di democrazia che sappia coinvolgere tutti coloro che fanno riferimento agli ideali e ai programmi del Partito Popolare Europeo, tutti coloro che con entusiasmo e motivazione ideale intendono mettere a disposizione le propria intelligenza, capacità e professionalità per il bene comune.

Intendiamo costruire insieme un movimento di ampie convergenze, capace di superare antiche e nuove divisioni per ritrovare nei valori del popolarismo sturziano declinati secondo le indicazioni pastorali della “Caritas in veritate” la nostra ragione di impegno politico.

Senza alcuna nostalgia di un passato, pure carico di indiscutibili positività, crediamo sia giunto il momento di unire tutte le energie locali, provinciali , regionali e nazionali affinché, la nostra cultura politica sia meglio rappresentata ben al di là della compromissoria formula del 70/30 con cui è nato il Partito del Popolo della Libertà.

Un'azione capillare di promozione del dibattito culturale e politico su tutto il territorio nazionale verrà attivata per favorire la più ampia partecipazione dei cittadini che intendono dare il loro fattivo contributo alla costituzione su basi realmente democratiche del Partito del popolo della libertà.

Le sottoscritte associazioni e i firmatari del presente documento si impegnano a realizzare la rete di ALEF (Associazioni Liberi E Forti) come occasione e strumento di confronto, informazione e formazione politica  a livello nazionale e locale.

Lonato, 28 Novembre 2009

1.    I circoli veneti di “ Insieme”
2.    Associazione “ Noi del PPE” di Milano
3.    Popolari Liberali di Milano
4.    Movimento Popolare Veneto
5.    Democrazia Cristiana per le autonomie di Padova
6.    Centro culturale Ermes di Sabbioneta (MN)
7.    Alleanza di Centro di Lonato del Garda (BS) 



Commento alla nascita di ALEF

Con l’avvenuta formazione della rete delle associazioni che si rifanno al popolarismo sturziano declinato secondo gli orientamenti pastorali della “Caritas in veritate”,  si è avviato un percorso dal Veneto e dalla Lombardia destinato a svilupparsi in tutte le regioni italiane con coloro (Associazioni. Movimenti, circoli, centri studi e  cittadini) che si riconoscono nel messaggio ai Liberi e i Forti contenuto nel documento finale di Lonato del Garda.

Come nel Veneto i circoli dell’associazione “ Insieme” intendono ricollegare tutti coloro che appartengono alla tradizione cattolica e popolare liberale, per far assumere a questa componente il giusto ruolo che si ritrova a livello elettorale, così ALEF intende raccordare a  livello nazionale tutti coloro che si riconoscono con i valori e  i programmi del Partito Popolare Europeo.

Quanti, e praticamente la quasi totalità fra di noi, sono entrati in Forza Italia prima e nel Pdl, dopo la svolta del predellino, lo hanno fatto per la chiara scelta del Pdl all’interno del PPE.

Ora si tratta, tuttavia, di dare sostanza e valore a questa adesione che, almeno per noi, significa esattamente quanto abbiamo dichiarato nel documento finale di Lonato. (v.allegato).

Il tema dell’identità, infatti, non è più rinviabile all’interno del Pdl, per non lasciare emergere posizioni equivoche o contraddittorie su tale terreno.

Per noi l’adesione al Pdl significa sostenere “ l’idea primaria di un’Europa dei popoli e non di un’Europa dei poteri finanziari forti per la costruzione degli Stati Uniti Europei, realtà istituzionale sovranazionale, secondo la visione che fu dei fondatori Adenauer, De Gasperi e Schuman;

Credere in  un libero mercato ed una libera concorrenza che sono alla base di un "welfare" che sappia coniugare in modo equilibrato libertà individuale, responsabilità personale, sviluppo economico e solidarietà sociale.”

Sono gli stessi principi e valori che hanno caratterizzato le nostre diverse esperienze politiche di provenienza e condivisi con il Partito Popolare Europeo al quale il costituendo Partito del Popolo della libertà si ispira e ha deciso di aderire.

Non basta affermare che ci si riconosce in questi principi e valori se si assumono comportamenti distinti e distanti quanto non apertamente alternativi ad essi.

I nostri riferimenti ideali sono quelli di Don Luigi Sturzo, con attenzione prioritaria alle esigenze delle fasce popolari, entro un'ottica interclassista che miri a quelle "sintesi sociali" tanto care alla tradizione sturziana.

Alcide De Gasperi, soprattutto con i richiami alla responsabilità, al senso dello Stato, alla laicità nella gestione delle Istituzioni, alla vocazione europea;

Luigi Einaudi per un ridimensionamento dello Stato in una prospettiva autenticamente liberale. Persone di alto profilo umano, morale e culturale del nostro "rinascimento politico" del ‘900. Don Sturzo e Alcide De Gasperi non hanno lavorato e combattuto per fare un sindacato dei valori cattolici, bensì per costruire o ri-costruire uno Stato fondato sulla Libertà, con responsabili azioni di Governo,illuminate e “possibili”.

- vero caposaldo: dottrina sociale cristiana moderna, in particolare la conciliare e postconciliare, da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: liberalismo laico in senso genuino, cioè non laicista, e liberalismo cattolico, fino a Benedetto XVI con le indicazioni della “Caritas in Veritate” sulla società della globalizzazione, della tutela dell’ambiente, dei valori della persona e dei più deboli.

Respingeremo sempre il tentativo delle Sinistre di voler confinare i Cattolici ad esercitare la loro Fede nel solo ambito privato della coscienza e non come un’esperienza di vita vissuta nella società, con i valori e i principi che si richiamano all’insegnamento di Gesù Cristo e al magistero della Chiesa cattolica espresso tramite la sua dottrina sociale.

Analogamente contrasteremo democraticamente ogni azione e proposta di chiara matrice laicista che si ponesse in netta contraddizione con tali principi sul piano della bioetica, del primato della persona e della famiglia coniugale fondata sul matrimonio, della difesa della vita dal  suo concepimento sino alla fine di ogni persona.

Ma per perseguire con reale determinazione questa identità la precondizione all’interno del Pdl come in qualunque altro partito che in Italia intende riferirsi al PPE, resta quella della garanzia di  un autentico assetto democratico del partito.

Due sono le condizioni essenziali per garantire al PDL, come ad ogni altro partito che intende rifarsi al PPE, una reale democrazia interna:

1)   Collegialità nelle decisioni, ossia le scelte non siano mai solitarie, ma frutto di organi collegiali aperti al libero confronto e al dibattito (così e solo così la DC poté governare per quasi 50 anni, superando momenti terribili come quelli seguenti all’omicidio di Aldo Moro).  Decisioni solitarie possono anche essere assunte vincenti in una fase di grande potere popolare e carismatico, ma non saranno mai di lunga durata. Aldo Moro ci ha insegnato che, specie nei momenti delle scelte più difficili :” sia meglio sbagliare insieme che avere ragione da soli”.

2)   Elezione diretta di tutti i dirigenti a tutti i livelli  e con voto segreto, avendo la consapevolezza che,  senza competitività democratica interna non si seleziona una classe dirigente ma solo dei cooptati, inevitabilmente ridotti o riducibili a condizione servile e  per i quali vale sempre ricordare un insegnamento essenziale di Carlo Cattaneo secondo cui: “ chi educa al servilismo è destinato a raccogliere, prima o poi, il tradimento”. Un partito può anche essere strutturato rigidamente centralista, ma non resiste se non vige al suo interno la democrazia. L’alternativa è il centralismo democratico, oppure l’anarchia o la cooptazione sistemica senza futuro.

E’ evidente allora la necessità di superare la norma transitoria e finale dello Statuto del Pdl che, di fatto, congela la possibilità di libere elezioni delle dirigenze a tutti i livelli per almeno tre anni, assegnando al presidente del Partito e, attenzione, in caso di impedimento al suo Vice, tutti i poteri in materia di nomine.

Avviata giustamente la fase del tesseramento diventa ineludibile attivare sistemi elettivi diretti di tutti i dirigenti ai diversi livelli con voto segreto, come essenziale sarà procedere alla scelta dei candidati attraverso elezioni primarie fra tutti gli iscritti e i simpatizzanti.

Sono questi gli impegni che ALEF dovrebbe assumere sin d’ora, tanto sul piano dell’identità del partito che su quello della sua concreta organizzazione interna.

Ettore Bonalberti- Venezia, 30 Novembre 2009




Caro amico

Nel clima da tardo impero in cui sembra impaludata questa lunga e travagliata fase di transizione della cosiddetta “Seconda Repubblica” con l’amico Marcello di Tondo di Milano, commentando il caso della riunione sul panfilo Britannia del 1992, in cui, di fatto, si decisero le sorti della prima repubblica ( passaggio da me commentato in una recente nota speditavi qualche settimana orsono) avremmo pensato di organizzare un incontro con tutti gli amici ” DC non pentiti” e con quanti, laici e di altra cultura politica, intendono fare riferimento ai valori del popolarismo sturziano.

Sarebbe quanto mai necessario avere il tuo aiuto e ricevere, possibilmente entro il 20 agosto p.v.:

1) la tua dimostrazione di interesse a partecipare a questo incontro che si dovrebbe organizzare a Milano o a Venezia entro il mese di Ottobre;

2) la segnalazione con eventuali coordinate (indirizzo di posta elettronica, eventuale sito web, riferimenti personali e telefonici del responsabile) delle associazioni o gruppi operanti sul tuo territorio che si rifanno alle posizioni del PPE.

Il nostro obiettivo è quello di costituire un’associazione delle associazioni denominata ALEF (Associazioni dei Liberi e Forti) con cui rilanciare l’esperienza politica di laici ispirati ai valori del popolarismo sturziano, alla luce degli insegnamenti dell’enciclica: “ Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI.

A nome degli amici di “ Insieme” ( www.insiemeweb.net) che intendono sviluppare questa iniziativa per corrispondere ad un’esigenza fortemente sentita nell’elettorato italiano ti ringraziamo per l’aiuto che generosamente vorrai darci.

Un saluto caro

Ettore Bonalberti

Cell.335 5889798 - posta@don-chisciotte.net

 
PDL E DINTORNI: DIALOGO CON ETTORE BONALBERTI

di Luigi Marcadella (direttore della rivista Moderati Europei)

Se ne parla poco ma all’orizzonte, oltre all’imminente battaglia per le elezioni europee e amministrative, ci sarà il referendum ‹‹Segni-Guzzetta›› sulla legge elettorale. È un argomento che interessa pochi ma la legge elettorale è il cuore della democrazia rappresentativa, è il meccanismo con cui l’elettore elegge il proprio rappresentante. Dipende da una serie di fattori che devono combinare tra loro la rappresentanza e le condizioni ottimali per riuscire a prendere le decisioni. A giugno si vota per le elezioni europee, vero banco di prova della tenuta del sistema bipolare italiano: in Europa non ci sono governi e maggioranze da costruire, e si dovrebbe votare senza logiche di voto utile o meno utile. Premesso che già i Costituenti del 1948 si erano resi conto di quanto fosse complicata la questione della legge elettorale. Tanto è vero che l’impianto di sistema elettorale che emerse dall’Assemblea Costituente fu sostanzialmente il seguente: io (partito) conto l’uno per cento e devo avere una rappresentanza dell’uno per cento (proporzionale puro). Non si voleva dunque, nella nuova concezione costituzionale repubblicana, un sistema politico per cui nel paese poteva esserci la sensazione dello “scontro”. Quindi no al bipolarismo netto, troppo pericoloso, e avvio di forme di governo “consensuali”. Tuttavia gli italiani hanno stabilito nelle recenti elezioni politiche che la competizione politica non può più essere sfida tra 10 partiti, ma al massimo fra 4 o 5 formazioni coalizzate in una sorta di “uno contro uno” chiaramente definibile.

***

C’è uno strano ‹‹movimentismo al centro››: da Casini agli ex-popolari e centristi del Partito Democratico è tutto un fiorire di iniziative. Bonalberti, lei ha vissuto la Democrazia Cristiana dal vivo, ha visto tutte le alchimie messe in atto da piccoli e micro partiti della Seconda Repubblica. Qual è lo stato dell’arte del bipolarismo italiano: si giocherà tutto alle europee? ‹‹››

Nelle prossime elezioni europee, grazie al proporzionale puro con sbarramento limitato al 4% e voto di preferenza, si utilizzerà il sistema preferito dai sostenitori di un possibile nuovo centro. A Giugno avremo, dunque, la possibilità di misurare l’esatto valore di tutte le forze politiche. In libera uscita e senza necessità del “voto utile” credo che si potranno verificare significativi scostamenti rispetto al voto politico del 2008. Dovrebbero avvantaggiarsene le forze meno consistenti: IdV e Sinistra-sinistra dal fronte PD e Lega dal fronte Pdl. L’UDC punta a recuperare voti tanto a dx che a sx. Senza vincoli per la necessità di governare l’obiettivo potrebbe anche essere centrato. Altra questione quella della tenuta del bipolarismo la cui prospettiva è legata alla nuova legge elettorale.

Qualcuno sostiene che la riforma del sistema elettorale in ottica maggioritaria (cosa che i cittadini in effetti già scelsero col referendum del 1993) sarebbe la panacea di tutti i mali, altri sostengono che ben altre cose sono da modificare nella nostra Italia (il “benaltrismo”). Non si rischia con leggi elettorali senza soglie di sbarramento alte, di far trovare spazi di manovra politica che in realtà non ci sono nella volontà degli italiani, come il paventato ritorno al ‹‹neo-proporzionalismo››. Quali sono gli scenari partitici che si apriranno in prossimità del referendum?

L’elettorato italiano si è chiaramente espresso per il superamento della frammentazione propria della prima e della seconda repubblica. Proporzionlismo puro e mattarellum sono stati spazzati via dal porcellum in attesa del referendum sulle proposte Segni-Guzzetta. La schizofrenia che ha colpito il PD, prima maggioritario per vocazione francese ed ora diviso tra proporzionalisti alla tedesca (Marini e D’Alema), uni nominalisti puri (prodiani con pezzi significativi degli ex DS) e disponibili alla mediazione (ex veltroniani con il neo segretario Franceschini), rende difficile ogni pronostico. Sin qui non si intravvedono spazi per un compromesso con il Pdl. Quest’ultimo è tutto orientato verso una lieve modifica del porcellum, antidoto anti referendum e punto di possibile compromesso con la Lega che aborra la scadenza sui quesiti Segni-Guzzetta. Dubito che Berlusconi e la sua maggioranza intendano tornare indietro rispetto alla scelta bipolare. D’altronde, basta la maggioranza assoluta per la modifica della legge elettorale… e per il referendum c’è chi spera nel caldo dell’estate.

La questione ‹‹preferenze››. Da un lato la preferenza costringe a campagne elettorali costosissime (la politica dell’apparire, del cartellone più grande) e a competizioni dannose intrapartito, dall’altro è il collegamento del territorio con gli eletti. Si dice che il voto di preferenza porti a possibili corruzioni, perché impone spese elettorali enormi. È un’illusione che si dà ai cittadini di contare scrivendo la preferenza?

Il primo referendum Segni fu fatto contro il sistema delle preferenze considerato strumento che favoriva la corruzione dei candidati e il ricorso a forme di finanziamento illecito di candidati, correnti e partiti. E tutto ciò non era campato per aria e te lo dice uno che di quel sistema è rimasto vittima sacrificale in due tornate elettorali (1976 e 1979), quando giocare al potere ed al consenso con i dorotei di casa DC era come “giocare a poker con l’Aga Khan”. E’ vero, peraltro, che al sistema delle preferenze che garantiva, in ogni caso, un pur parziale potere di scelta agli elettori, si è passati a un sistema in cui quattro o cinque leader politici decidono chi scegliere come candidati e chi far eleggere. Non più eletti, ma solo cooptati e nominati alla mercè dei capibastone di turno. Quindi, anche se con le preferenze un poco di illusione rimane, meglio le preferenze che un parlamento di cooptati che non rappresentano nemmeno se stessi.

Il PDL è a pochi giorni dal congresso fondativo. È chiaro a tutti che non sarà una riedizione della D.C., perché è cambiata un’era e sono cambiati i personaggi. Con beneficio d’inventario lo si potrebbe paragonare ad un ‹‹moderno pentapartito››, con l’aggiunta consistente della destra italiana identitaria. Condivide? ‹‹››

Sì, per certi verso sembra trattarsi della riproposizione del vecchio “preambolo” allargato ad AN, se volessimo usare categorie politiche da fine prima repubblica. In realtà, la discesa in campo di Berlusconi segna una profonda cesura con la storia politica precedente. Siamo a quindici anni dalla sua discesa in campo e ci si sta avviando verso la celebrazione del ventennio berlusconiano, senza che appaia una credibile alternativa al Cavaliere e con gli ex comunisti ridotti ad eleggere un segretario “provvisorio” ex DC. Credo che, dopo le europee e secondo la legge elettorale che si finirà con l’adottare, o attraverso il voto parlamentare o con il referendum, assisteremo al necessario riposizionamento delle diverse forze politiche con un centro-destra che si dovrà porre il tema del post Berlusconi e il centro-sinistra che dovrà finalmente trovare una sua più forte e sicura leadership.

Nella Prima Repubblica regnava la cosiddetta ‹‹unità politica dei cattolici››. Ora i due schieramenti, Partito Democratico e Popolo delle Libertà, sono divisi dalla ‹‹concezione antropologica dell’uomo››. Il ruolo dell’uomo della società, la bioetica, i confini della vita e della morte. È solo qui la differenza tra il Pd e il Pdl?

Sicuramente permangono storiche differenze anche se non più nei termini antagonistici così netti ed alternativi come quelli esistenti tra DC e PCI nella Prima Repubblica. L’unità politica dei cattolici, se mai è esistita ( non c’era nemmeno all’epoca del PPI di Sturzo, partito di cattolici e non dei cattolici) è stata definitivamente superata idealmente dal Concilio Vaticano II, con l’affermazione dell’autonomia dei cattolici in politica. Autonomia che, tuttavia, non è anarchia o peggio anomia, ossia assenza di valori, di norme e regole di riferimento,specie per quanto attiene ai cosiddetti “valori non negoziabili”. Constato, tuttavia, che nel PD prevale la concezione laicista e materialista su cui, tranne lo sparuto gruppo dei teodem, si sono appiattiti molti degli stessi ex Popolari, “cattolici adulti” alla Prodi e Rosy Bindi. Analogamente nel PD, se si eccettuano le solitarie testimonianze di Formigoni, Rotondi, Giovanardi e Pisanu, anche se i valori non negoziabili dei cattolici sono assai meglio difesi, quelle dei cattolici ex DC restano posizioni sin qui largamente minoritarie e di scarsa influenza. In alcune realtà, come nel Veneto, in cui la componente cattolica è rappresentata da ex DC di terza e quarta fila di assai debole spessore politico culturale, si assiste ad una netta prevalenza delle componenti laico liberal- radicali e socialiste che hanno compresso e, in alcuni casi, espulso le realtà più incisive e critiche di quella tradizione politica.

Il partito più vecchio sulla scena politica italiana è la Lega Nord, che vince con due semplici idee. La prima: la centralità politica degli enti locali, nella scia della migliore tradizione della D.C. Il partito del territorio che portava a Roma oltre ai sindaci e agli amministratori, le esigenze, i bisogni reali delle comunità. Se si scorre il sito della Camera dei Deputati non si può non notare che la Lega Nord è formata da Sindaci e Assessori di piccoli e medi comuni. Il PDL deve riprendere questo “vecchio” modo di far politica?

Assolutamente Si, anche se temo che la partita, almeno nel Veneto, sia già molto compromessa. Assistiamo all’apparente paradosso che le posizione ex DC, già ferocemente combattute all’inizio dell’esperienza leghista nel Veneto e in Lombardia, trovino oggi più ascolto e cittadinanza tra gli uomini della Lega che in quelli del Pdl. I primi, seppur appartenenti ad un partito dall’autoritarismo ferreo al suo interno, sono, tuttavia, espressione del territorio e degli elettori veri della Lega; i secondi, quelli di FI e di AN, per non parlare di quelli delle residue pattuglie ex DC, sono in prevalenza dei semplici cooptati che permangono nelle loro posizioni di potere da oltre quindici, vent’anni, senza patire la minima preoccupazione e pronti ad ogni scadenza ad una riconferma che risulta ormai intollerabile all’elettorato moderato veneto. Non si spiegherebbero altrimenti i recenti casi del voto padovano, veronese e vicentino e, soprattutto, i dati degli ultimi sondaggi pre elettorali delle europee che danno la Lega in fortissima ascesa.

La seconda idea. L’attuazione senza remore del federalismo, fiscale e politico. Riprendendo, per esempio, la migliore tradizione di Don Sturzo. Chi vincerà e chi si perderà nella strada del federalismo?

Federalismo è un sostantivo troppo ambiguo su cui si esercitano gli spiriti più diversi e contraddittori. Resto dell’avviso che sino a quando non si tornerà a meditare sull’idea delle macroregioni di cui teorizzò, contrastato e incompreso, il grande prof Miglio, continueremo a fare tanta accademia. Non mi convincono nemmeno gli amici della Lega, ai quali attribuisco comunque il merito di aver riportato al centro del dibattito politico, temi che nella vecchia DC erano propri di sparute minoranze interne, quando, predicando il giusto valore del federalismo fiscale, continuano a difendere assurdamente le inutili realtà istituzionali delle province. Qualcosa sicuramente si farà in questa legislatura, conditio sine qua non per la permanenza della Lega al governo e per la tenuta della stessa maggioranza parlamentare. Se e quale federalismo vedremo nascere, nella crisi generale economica finanziaria internazionale e con la pesantezza del debito pubblico, solo il Signore lo sa….

Il Popolo delle Libertà ha una genesi particolare: trova larga parte della sua legittimazione nel carisma e nel fiuto politico del presidente Berlusconi. Ma un partito che veleggerà, più o meno, tra il 40-50% dei voti, dovrà trovare un giusto equilibrio tra il carisma del leader e la democrazia interna al partito. Come vede la cosiddetta “corrente identitaria” di Tremonti, Sacconi, Formigoni e Alemanno?

I partiti storicamente hanno sempre modellato la loro organizzazione interna sulle regole elettorali vigenti per la nomina degli eletti nelle realtà istituzionali. Come e cosa diventerà il Pdl lo si saprà non dal prossimo congresso celebrativo della sua fondazione ,che sarà una semplice kermesse di incoronazione della leadership popolare e carismatica di Berlusconi, ma dal tipo di legge elettorale che si finirà con l’adottare. In ogni caso pensare di reggere un partito del 40% con il solo carisma del capo e il potere dei suoi vassalli e valvassori credo sia una pia illusione destinata a rovinare.
L’asse identitario da te citato è quello in cui anch’io credo e spero da vecchio cristianosociale, forzanovista da sempre e, come ben sai, vecchio “ DC non pentito” che il Pdl non diventi solo a parole o per mero criterio allocativo, la sezione italiana del PPE, ma una parte fondamentale di ciò che resta della migliore tradizione europea dei De Gasperi, Adenauer e Schuman.

 
Contro tutti i fanatismi e per la difesa dei nostri valori.

Cosa deve accadere ancora prima che giunga una presa di posizione corale di quelli che ancora si dichiarano “cristiani”?
Sui piazzali delle cattedrali del Duomo a Milano e di San Petronio a Bologna alcune migliaia di musulmani si radunano in preghiera rivolti alla Mecca in evidente pubblica provocazione anticristiana e anticattolica, con il cardinale Tettamanzi che, convinto della necessità di un’integrazione tra i diversi e dell’inevitabile sbocco nel meticciato multiculturale, non reagisce in attesa di scuse ufficiali che tardano a farsi sentire.
A Genova l’UAR, l’Unione degli Atei Agnostici Razionalisti, come già a Madrid e a Londra i loro confratelli nella fede, comprano spazi pubblicitari su alcune linee di autobus urbane con scritte a caratteri cubitali che recitano: “ La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno”.
Nella città del cardinal Bagnasco, Presidente della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, si consuma così un’altra provocazione che accomuna fronti diversi in un attacco a tenaglia contro la Chiesa Cattolica.
Educati al motto evangelico del “porgere l’altra guancia”, seppur tolleranti, stiamo, tuttavia al punto di perdere anche la santa pazienza cristiana.
E’ tempo che ciò che rimane tra noi cattolici di convinta adesione a quanto ad ogni messa confermiamo con la recita della nostra professione di Fede, non resti più confinato nelle nostre singole coscienze.
E’ tempo che si organizzano risposte collettive di testimonianza della nostra appartenenza cattolica, con manifestazioni pubbliche che accompagnino le nostre preghiere nelle chiese in cui ci riuniamo per le celebrazioni sacramentali.
E’ tempo che anche alcuni tra i Pastori silenti o condizionati da discutibili propensioni alla comprensione tollerante al limite dell’eresia irenista, facciano sentire la loro voce in totale adesione al Sommo Pontefice e in fraterna solidarietà con il cardinal Bagnasco.
E’ tempo che anche i laici non credenti, ma ispirati dai valori del pensiero autenticamente liberale e preoccupati per la salvaguardia delle nostre più solide tradizioni storiche e culturali, facciano sentire anch’essi la loro voce in difesa della comune civiltà giudaico-cristiana messa a dura prova dall’attacco concentrico dei fondamentalisti islamici e dai sostenitori del pensiero debole e del relativismo etico.
Contro tutti i fanatismi e per la difesa dei nostri valori.

 
 
Video intervista a Ettore Bonalberti
 
 

Giovedì 18 dicembre alle ore 17 presso Villa Morosini di Polesella, Ettore Bonalberti presenta il libro di Armando Todesco: “ Dalla parrocchia alla rivoluzione- Vita quotidiana, attività politica, strategia degli studenti DC nella facoltà di sociologia di Trento 1965-1971”.

Sarà presente l’autore, vissuto per molti anni a Polesella ora residente a Milano.

Al termine del quarantennale del ’68 questo saggio costituisce l’ultimo tassello che mancava al mosaico dei fatti e degli avvenimenti di quella travagliata stagione politico culturale.

In esso si descrive una realtà diversa dalla solita storia dei “sociologi di Trento” ridotta a semplice ed esclusiva storia del Movimento Studentesco trentino.

Tra i diversi attori non mancarono anche a Trento alcuni studenti iscritti e militanti nel movimento giovanile della DC, i cui percorsi di studi e di vita sono descritti nel libro nei loro diversi sviluppi ed esiti.

Edito dalla Mazzanti Editori di Venezia, questo secondo libro della collana “Terza Repubblica”, si apre con una prefazione di Ettore Bonalberti, , all’epoca dei fatti narrati, “studente lavoratore” a Sociologia di Trento, collega ed amico dell’autore.

Con Luciano Zerbinati, citato nel libro accanto ad altri personaggi polesani, sono invitati nella sua splendida villa Morosini di Polesella, quanti hanno vissuto, pur se da posizioni diverse, quelle complesse vicende esistenziali, culturali e politiche, insieme a quanti sono interessati ad approfondire un aspetto della vicenda trentina fuori dagli schemi tradizionali.

   
 
   
     

Registrazione completa del dibattito svoltosi a Verona l'11 Luglio scorso per la prima presentazione del libro-intervista "Dalla fine della Dc alla svolta bipolare. Intervista ad Ettore Bonalberti"

fonte: Radio Radicale (clicca qui)
rilasciato, licenza Creative Commons attribuzione 2.5.

www.radioradicale.it




per ascoltare l'audio dal sito cliccare sulla copertina.

" Dalla fine della DC alla svolta bipolare"

oltre in libreria dove può essere ordinato, il libro si può acquistare on line dal sito www.mazzantieditori.it

(prezzo 10 €)

Gli autori sono disponibili per eventuali incontri-dibattito sui temi esposti nell'intervista.

posta@don-chisciotte.net




qui la copertina in formato pdf


Durata: 1h 32' 15"
Genere: Dibattito
Licenza: Creative Commons



     
Quel rompicapo del debito pubblico italiano

Dopo quattro mesi di dati in calo il debito pubblico italiano, in valori assoluti, è tornato a salire nel mese di ottobre 2007 toccando un livello mai raggiunto a quota 1.629,7 miliardi di euro.

Sempre in valore assoluto, rispetto a settembre 2007 la crescita del debito e' di oltre 10 miliardi di euro e rispetto invece a ottobre 2006 lo stock del debito e' addirittura superiore di piu' di 25 miliardi di euro.

Tuttavia, ai fini del patto di stabilita' europeo e' il rapporto percentuale del debito rispetto al Pil ad avere valore e sotto questo profilo nei mesi scorsi Bankitalia aveva comunicato che nel 2007 questo rapporto avrebbe dovuto scendere sotto il 105%, ovvero "dovrebbe collocarsi - per ricordare le parole del documento di Palazzo Koch - su livelli inferiori alle stime indicate dal Governo a fine settembre".

CosÏ, alcuni mesi fa, Rainews 24 comunicava l’informazione relativa al debito pubblico italiano, l’eterno incompiuto che da molti,troppi anni, costituisce la spada di Damocle per qualsivoglia politica economica si intenda adottare nel nostro Paese.
Una doccia scozzese continua fatta di inquietanti presagi e/o di ottimistiche previsioni, a seconda dei tempi e dei comunicatori ufficiali e ufficiosi dei molti governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia, nella Prima come nell’oramai esausta Seconda Repubblica.

Recentemente la Fondazione Edison, aveva individuato nelle quattro “D” (Debito pubblico, Divario Nord-Sud, Deficit energetico ed infrastrutturale, Differenza fiscale) le ragioni che impediscono all’Italia di svilupparsi. Sono condizioni di oggettivo sfavore del nostro Paese rispetto agli altri con cui ci si confronta nel mercato globale e tali da frenarne pesantemente l’economia.

Marco Fortis, autore del pregevole rapporto Edison citato, fotografa in estrema sintesi la nostra attuale situazione: ogni anno un italiano paga 1.159 euro di interessi sul debito pubblico (790 in più di uno spagnolo), riceve 3.592 dollari di spesa pubblica di qualità (1.700 in meno rispetto a un francese), soffre di un deficit energetico verso l’estero di 851 euro. E nessun altro grande paese dell’Europa occidentale ha 16 milioni di concittadini che abitano in regioni depresse.

Per colpa dell’immenso debito pubblico, quasi 1.600 miliardi di euro, l’Italia ha pagato nel 2006 oltre 68 miliardi di interessi: cioè 3 miliardi di euro più della Germania, quasi 22 miliardi pi_ della Francia, 28 miliardi pi_ della Gran Bretagna e 52 miliardi più della Spagna. In quest’ultimo paese gli oneri sul debito pubblico incidono solo per l’1,6 per cento del pil contro il 4 dell’Italia. Il pagamento degli interessi sul debito pubblico sottrae ogni anno risorse preziose che potrebbero essere altrimenti destinate a maggiori investimenti infrastrutturali, oppure a permettere una consistente riduzione delle tasse. Il carico di debito pubblico che grava su ogni cittadino italiano ammonta a 26.816 euro, contro valori molto pi_ bassi negli altri quattro maggiori paesi europei: 19.026 euro per abitante in Germania, 18.260 in Francia, 13.909 in Gran Bretagna, solo 8.893 euro in Spagna. Così, rispetto a uno spagnolo, il carico di interessi sul debito pubblico sulle spalle di un singolo cittadino italiano Ë stato nel 2006 di 791 euro più elevato: 1.159 euro contro 368 euro.
Ogni italiano ha sulle spalle quasi 27 mila euro di debito
Insomma sebbene il governatore Mario Draghi continui a sostenere la solidità del sistema finanziario italiano, non v’è dubbio che in Italia non potremmo concludere con la celebre frase di Ronald Reagan pronunciata in risposta a chi gli faceva notare la grandezza del debito pubblico americano, ossia che “ il debito Ë abbastanza grande da poter badare a se stesso”. Se non cominciamo a pensarci e seriamente ogni discussione politica rischia di diventare sterile accademia o, peggio, fumosa propaganda.
I dati sue esposti li ho desunti da un recente saggio del prof. Giuseppe Guarino, uno dei maggiori, se non il più importante, studioso del debito pubblico italiano che ha appena ultimato un suo ultimo lavoro che verrà pubblicato in questi giorni a Firenze alla vigilia della ratifica del Trattato di Lisbona.
La tesi esposta da Guarino Ë la seguente: tra il trattato di Maastricht e quello di Lisbona di prossima ratifica esiste una stretta connessione con pesanti conseguenze per l’Italia, sia dal punto di vista costituzionale che della stessa capacità di tenuta finanziaria del Paese.

Alcune note sul debito pubblico italiano

Il Trattato di Maastricht, come è noto, impone ai Paesi che fanno parte del sistema dell’euro ( sono 13 sui 27 che fanno parte del mercato comune) un tetto invalicabile: il debito delle pubbliche amministrazioni non deve superare il 60% nel rapporto con il PIL. In Italia il debito pubblico al 31 dicembre 2006 era pari al 106,8 %, ossia circa 47 punti in pi_ del limite consentito. Questi 47 punti hanno comportato nel 2006 un onere per interessi di 30 miliardi di euro, pari a circa il 2 % del PIL.

Se Ë chiara la patologia (insufficienza delle risorse) e così pure la diagnosi (la causa va riposta nel volume del debito pubblico) manca la terapia. Spetta al ministro dell’economia indicarla con il presidente del Consiglio. Sino ad ora, però, da molti governi a questa parte, si è rimasti silenti, preferendo trattare il problema in maniera tale da non creare allarmismi. Ci si Ë basati sull’avanzo primario ( ossia il saldo attivo del bilancio esclusi gli interessi sul debito) fiduciosi di un avanzo annuale tale da garantire negli anni la riduzione del debito sino al suo annullamento.

L’avanzo primario avrebbe dovuto derivare per effetto combinato della crescita del PIL, attesa quale naturale conseguenza della stabilità dei prezzi, e a seguito della ristrutturazione della spesa (leggi riduzione) che avrebbe riguardato i settori più incidenti: contrattazione salariale, pensioni, sprechi nella sanità, riduzione degli organici della PA.

Ebbene le vendite di patrimonio societario pubblico effettuato e gli avanzi primari che ne conseguivano, specie negli anni 1995-2000, hanno attenuato l’impatto del debito, ma non hanno risolto il problema. Anzi nei quindici anni dal 1 gennaio 1992 al 31 dicembre 2006 (moneta 2005) gli interessi corrisposti per la parte del debito eccedente il 60% del PIL (limite massimo consentito dal Trattato di Maastricht) hanno raggiunto l’astronomica cifra di 728 miliardi di euro ai quali vanno aggiunti i 191 miliardi di euro ricavati dalle privatizzazioni, Insomma un totale di 919 miliardi di euro. Un salasso che sta per portarci alla bancarotta e che non ha risolto, ma anzi aggravato il problema. In 15 anni di costante applicazione del criterio dell’avanzo temporaneo, quello sin qui suggerito dall’UE, se al 1 gennaio 1992 l’Italia presentava un rapporto debito/PIL pari al 98%, a fine del 2006 lo stesso rapporto era aumentato al 106,8%.
Vale la pena di ricordare che per ridurre il volume del debito del 2 per cento all’anno occorrono nell’immediato 30 miliardi. Con i chiari di luna sull’andamento probabile del PIL, almeno sino a qualche anno fa, non ci restava che una soluzione nuova e immediata: vendere in maniera intelligente il patrimonio pubblico ricorrendo alle armi del diritto privato. Con la nuova situazione dei valori del mercato mobiliare e immobiliare questa stessa ricetta risulta adesso di ancor più difficile, se non impossibile, applicazione.
Questa è la tesi sostenuta con estremo rigore dal prof Guarino, già diversi anni prima dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht; da lui sviluppata, poi, coerentemente negli anni che vanno dal 1992 al 2006 e che, con la nuova situazione dei mercati mobiliari e immobiliari, nella totale passività dei diversi governi che si sono succeduti sin qui alla guida del Paese, supinamente ossequienti alle indicazioni comunitarie, risulta ancor più drammaticamente reale.
Con lui e con Nino Galloni, unitamente al prof. Roberto Fini, dell’università Ca Foscari di Venezia, con i politici Onn. Tabacci della Rosa Bianca e Stradiotto del PD abbiamo discusso di questi temi a Treviso, Sabato 17 Maggio, presso la Sala dei Carraresi della Fondazione Cassa Marca.
Sono emerse posizioni articolate, ma tutte convergenti nel considerare il tema del debito pubblico come il tema centrale e prioritario della politica economica.
Il prof Guarino, nel suo intervento, ha evidenziato le enormi conseguenze che un’approvazione acritica del prossimo trattato di Lisbona provocherebbe all’Italia,dato che, dopo 16 anni in cui, seguendo il criterio dell’Unione Europea di riduzione del disavanzo, avendo sprecato 919 miliardi di euro, essa si ritrova nelle condizioni peggiori di quelle d’inizio (rapporto deficit/Pil al 2007 del 104%, contro il 98% del 1992). Ha quindi aggiunto, con ampi riferimenti ai diversi articoli del Trattato, che, anche volendolo considerare solo dal punto di vista della coerenza costituzionale, nella sua attuale formulazione l’Italia non puÚ e non deve ratificarlo, pena ulteriori conseguenze gravissime sia da un punto di vista costituzionale che finanziario.
Gli Onn. Tabacci e Stradiotto, sostenendo che, sarebbe, tuttavia, un grave errore attribuire le responsabilità del debito a sole cause esogene, hanno ricordato la necessit‡ che tutto il Paese nelle sue diverse componenti sappia reagire e ritrovare la volont‡ di una nuova stagione dei doveri.
Hanno ribadito che prima esigenza resta quella della crescita del Paese, cui deve accompagnarsi una strenua lotta contro un’evasione fiscale drammaticamente elevata, collegata ad un sommerso (30% e oltre del PIL) del tutto incompatibile con gli standard dei più importanti Paesi Europei. Insieme a ciÚ,per gli esponenti delle due opposizioni parlamentari, si tratta di attivare una diversa organizzazione del bilancio statale e di ridurre la spesa cattiva a vantaggio di quella buona, cosÏ come non va abbandonata la strada a suo tempo indicata (Convegno di Ferrara del 2006), proprio dal prof Guarino, di una diversa allocazione del patrimonio residuo pubblico e dello stesso debito .
Una tesi particolarmente interessante esposta dal Prof Guarino è la seguente:
le diverse situazioni esistenti oggi tra i 13 Pesi- euro rispetto agli altri Paesi (caso della Gran Bretagna e della Danimarca per i quali Ë stata inventata la formula dell’”opting out”, ossia la possibilità di sottoscrivere il Trattato senza aderire all’Unione monetaria; ad esse vanno aggiunti i restanti 12 Stati entrati successivamente nell’Unione con deroga) mentre impongono ai primi i pesanti condizionamenti derivanti dai vincoli di Maastricht, garantisce ai secondi, senza l’obbligo di rispettare quei vincoli, tutte le opportunità offerte dall’euro e dal mercato comune. Ne derivano disuguaglianze pesanti e forti diseconomie, specie sul piano dei diversi trattamenti fiscali, tali che , se non venissero riequilibrate, determinerebbero una condizione iugulatoria per l’Italia, il cui patrimonio pubblico statale, ai valori attuali di mercato, a differenza di quanto valeva nel 1992 e/o anche solo alcuni anni fa, non Ë pi_ in grado da solo di compensare l’enorme montagna del debito accumulato. Personalmente ho anche evidenziato il fatto che siamo entrati nell’euro con una sopravvalutazione della lira (cambio 1936,27 Lire per un euro) di almeno il 25-30% più elevato del suo valore reale, offrendo un immediato vantaggio competitivo ai nostri tradizionali concorrenti europei e mondiali.
A questo punto possiamo solo sperare che il nuovo governo sappia affrontare e risolvere questo che costituisce, a nostro parere e per quanto Ë stato confermato dal convegno, il problema dei problemi italiani. E’ un problema reale, grave e indilazionabile e di cui dovremmo essere tutti consapevoli della sua drammaticità ed urgenza.

Ettore Bonalberti- giornalista

 
Si è aperta una questione cattolica, anzi democristiana

Mentre scrivo questo articolo non è ancora nota la lista dei ministri che formeranno il nuovo governo Berlusconi. Dalle antcipazioni giornalistiche e di corridoio e valutata la distribuzione degli incarichi istituzionali parlamentari, mi sembra di poter dire che, tanto a destra che a sinistra sembra emergere prepotente una questione cattolica. Meglio e più correttamente una questione democristiana.
Non che si tratti di insufficenza o assenza di cattolici nei diversi e più ridotti (almeno nel numero) schieramenti emersi dopo il voto di Aprile; chè,anzi, di cattolici più o meno osservanti ce ne sono stati sempre molti nel Parlamento italiano nelle diverse legislature che si sono succedute dal 1948 in poi.
Si tratta piuttosto di una profonda reductio di influenza e di ruolo del personale collegato alla tradizione cattolico-democratica e cristiano-sociale, in una parola ex democristiani che, sia nel Pdl che nel PD, sembrano soffrire una condizione di oggettiva subalternità.
Dopo la scomparsa della DC e la complessa e difficile fase della scomposizione progressiva, sino alla dispersione delle vecchie correnti e degli uomini che avevano caratterizzato quella straordinaria esperienza politica, con il voto di aprile la situazione risulta profondamente cambiata, tanto sul versante dei moderati che su quello di sinistra.
Se, da un lato, con Prodi, il tentativo neodossettiano di costituire un asse tra cattolici di sinistra ed eredi del vecchio PCI aveva tenuto, seppur con enormi difficoltà, sino all’ultima recente esperienza del governo guidato dal leader bolognese, con il prevalere della linea di Veltroni e della sua “vocazione maggioritaria”, peraltro sconfitta dagli elettori, il ruolo dei vecchi popolari risulta profondamente ridimensionato e dalle prospettive quanto mai incerte e confuse.
Nel PD, infatti, a parte il ruolo del querulo Franceschini, ridotto a mero amplificatore delle opinioni del segretario del partito, perduti i ruoli di Prodi e di Marini, di capo del governo il primo e di Presidente del Senato il secondo, ci si deve ora accontentare delle due Vice Presidenze della Camera affidate a Rosy Bindi e a Rocco Buttiglione. Strana nemesi quella di quest’ultimo che, nel 1995 ci condusse ad una tragica scissione del PPI per collegarsi a Berlusconi nella casa della libert‡, secondo e decisivo strappo tra gli eredi della Balena bianca, per ritrovarsi ora a ricoprire il ruolo di V.Presidente della Camera per grazia ricevuta dagli odiati ex comunisti.
Nel PD, inoltre, sembra che sia ritornata in auge la mai conclusa guerra di posizione tra i due ex leader diessini, Veltroni e D’Alema, rispetto alla quale i reduci popolari sembrano ridotti al ruolo di passivi spettatori, o, al limite di supporter pi_ o meno interessati/ibili dall’una o dall’altra fazione diessina.
Si aggiunga che, nell’irrisolta questione della collocazione in sede europea del nuovo partito, se da una parte i moderati sembrano concordare nella costruzione della sezione italiana del PPE, in questa si Ë ancora in bilico tra un’incerta e confusa terza via e l’adesione al gruppo dell’Internazionale socialista.
Ultima ciliegina, il dover probabilmente subire l’umiliazione della chiusura della loro ultima testata giornalistica, “Europa”, per adattarsi alla lettura quotidiana dell’Unità, che ridiventa organo ufficiale anche del nuovo partito, ieri comunista e oggi Democratico. Il che per vecchi amici quali Marini, Fioroni e Castagnetti, per non parlare dei pi_ anziani Scalfaro, Emilio Colombo ed amici, deve essere una goduria senza pari sorbirsi ogni giorno il giornale fondato da Antonio Gramsci e oggi nelle mani di Antonio Padellaro e dei vari Furio Colombo e Travaglio sempre prodighi di grande equilibrio e sobriet‡ di giudizio.
Anche sull’altro fronte le cose non sembrano andare molto meglio. A parte la silente presenza di amici quali Giovanardi, Barbieri e Rotondi, almeno sin qui, ripagati solo dalla loro riconferma parlamentare, il casus belli più emblematico resta quello di Roberto Formigoni, leader popolare e carismatico e capo di governo dell’unica vera Regione-Stato, la Lombardia, il quale, ancora una volta viene sacrificato sull’altare di una ragion politica assai difficile da digerire, anche se comprensibile dal punto di vista del mero interesse di parte.
Insomma non solo in molte regioni, a partire dal mio Veneto, in cui scomparsa la DC, la classe dirigente che guida la vecchia Casa della libertà, oggi Pdl, Ë prevalentemente di estrazione liberal-radicale (Galan) e/o socialista (Lia Sartori-Maurizio Sacconi-Renato Brunetta) con gli esponenti della tradizione cattolica del tutto marginali, quando non ancora emarginati, ma; anche oramai a livello centrale e di governo, l’egemonia prevalente sembra caratterizzarsi in espressioni sempre più laiche, se non laiciste, e ademocrsitiane se non proprio antidemocristiane.
Ecco perchè, dopo l’avvio del dibattito della nostra rivista sulla terza Repubblica, dimostratosi quanto mai attuale dopo il voto di Aprile, credo sia giunto il tempo di una riflessione sulla funzione ed il ruolo dei cattolici in politica oggi, nei e tra i due schieramenti prevalenti della realtà italiana.
Con le sue noterelle settimanali a radio formigoni (www.radiformigoni.it) don Chisciotte non ha mancato di sottolineare la sua posizione ben nota anche ai lettori de “ Il governo delle cose”. Esponente della vecchia corrente di Forze Nuove, ho sempre creduto e credo che il ruolo dei cristiano sociali in politica, non possa che essere quello di punta progressista all’interno di uno schieramento moderato. Questa Ë la funzione che è stata svolta da Donat Cattin per una vita dentro la DC, nonostante alcune tentazioni, poi sempre rientrate, di fughe in avanti, fermate dalla consapevolezza storico-politica e culturale dell’essenziale rapporto tra le culture democratiche di ispirazione cristiana, liberale e socialista per l’equilibrio politico e di governo del Paese.
Convinto di questa scelta, non ho seguito i vecchi amici che appoggiarono il tentativo neo dossettiano di Prodi di alleare tronconi di sinistra della vecchia DC con gli eredi del Partito comunista italiano.
Berlusconi, di cui tra poco celebreremo i quindici anni dalla sua “discesa in campo”, è stato il naturale punto di riferimento di un’area di contrasto al tentativo occhettiano prima e di quello successivo prodiano. Gli è che, dopo la scelta del predellino sono venuti a mancare alcune pedine essenziali di una strategia che, grazie soprattutto al richiamo al voto utile, oltre che alle condizioni di vita materiali e reali della gente, è stata comunque premiata, tanto a livello politico generale che per il rinnovo dell’amministrazione di Roma capitale.
Con Giovanardi e Barbieri, da un lato, e con Formigoni sul versante interno avevo sempre sperato che anche Casini, alla fine, restasse a giocare una partita decisiva nel momento in cui si decideva di costruire finalmente ciò che era negli auspici di molti: la sezione italiana del PPE.
Ed, invece, si Ë verificato quello che nell’articolo sulla fase di avvento della terza Repubblica (v. Il governo delle cose- n. 64-Gennaio 2008), consideravo tema da seduta psicanalitica: Fini in una posizione di leadership nel futuro PdL e la conquista del governo della città di Roma.
Ebbene, come con simpatica ironia ha scritto don chisciotte in questi giorni, nella commedia dei burattini, popolari tra le contrade emiliane, si Ë verificato una straordinaria inversione dei ruoli con Casini ridotto al ruolo del rozzo Sandrone dopo aver consegnato il bastone di comando dell’astuto Fagiolino nelle mani di Gianfranco Fini, oggi seduto nel suo stesso vecchio scranno pi_ alto della Camera e pronto a correre per la futura leadership del PdL.
E qui si pone la questione del casus belli Formigoni. Costretto dal risultato elettorale e dal cambiamento tattico della Lega di Bossi, a restare inchiodato nella seppur prestigiosa carica di Governatore lombardo, il Nostro paga un’oggettiva idiosincrasia che, al di là dei pubblici reciproci riconocimenti di affetto e simpatia, Berlusconi nutre nei suoi confronti. E’ tempo, tuttavia, che non solo Formigoni, ma anche tutti noi che abbiamo seguito con non poco interesse la vicenda, se ne faccia una ragione e che, insieme a noi, assuma le conseguenti scelte.
L’incarico ricevuto dal Cavaliere di V.Presidente del Pdl, ossia, per quanto possa valere in un partito a monarchia assoluta come l’attuale, di Vice Capo del PdL, puÚ essere vissuto in molti modi: come mera formale gratificazione per una mancata scelta ai massimi livelli istituzionali da tenere come quel “sigaro e nomina di cavaliere” che, a detta di Giovanni Giolitti, “ non si negano mai a nessuno”, oppure come premessa per dar vita ad un’iniziativa politica di straordinario spessore per garantire un processo di costruzione del nuovo Partito del Popolo della Libertà, sezione italiana del PPE, in cui la tradizione dei cattolici di ispirazione democratico cristiana non puÚ essere nÈ subalterna, tanto meno ininfluente, ma almeno paritetica con quella di altre nobili culture che concorreranno alla formazione del nuovo partito.
Questa è la sfida interna al PdL che vorremmo fosse assunta come bandiera dal Nostro, una sfida che si accompagna a quell’altra, tutta interna al governo e al quotidiano impegno parlamentare, di corrispondere nei fatti alle promesse della campagna elettorale e al fine di attuare un programma in cui non mancano i riferimenti, anche di natura etica ai valori che intendiamo rappresentare, unitamente agli interessi di ceti e categorie popolari che hanno garantito un cosÏ vasto consenso nelle ultime consultazioni di primavera.

Ettore Bonalberti

7 maggio 2008

 
     

Quali sigle detteranno i tempi della politica?

Verso la Terza Repubblica

Serve solidarietà economica, sociale, culturale e politica per gestire i tempi di transizione
Ettore Bonalberti
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Con l’incontro tra Veltroni e Berlusconi, preparato dai buoni auspici dei due gran Visir romani, Goffredo Bettini ed Enrico Letta, si chiude una fase della vita politica italiana, quella della contrapposizione ad personam contro il Cavaliere, e si sancisce di fatto, la fine dei Poli così come si erano andati strutturando dal mattarellum in poi. L’avvenuta faticosa costruzione, non priva di traumatiche divisioni, del Partito democratico prima, e l’annunciata formazione del nuovo Partito del Popolo della libertà, determinano l’automatica fine dell’Unione da una parte e della Casa delle libertà dall’altra.

Fine dell’Unione nel momento in cui il nuovo leader Valter Veltroni, eletto a grandissima maggioranza dalle primarie, annuncia la volontà maggioritaria di quel partito, pronto a correre anche da solo nelle prossime consultazioni elettorali; fine della casa della libertà, peraltro già decretata da Casini e dall’UDC subito dopo l’esito delle elezioni, e formalmente sancita dal discorso sul predellino in piazza San Babila a Milano, il giorno in cui, raccolti otto milioni di firme per mandare a casa il governo Prodi, il Cavaliere ha annunciato la sua volontà di chiudere Forza Italia per lanciarsi nella nuova avventura del partito del Popolo della libertà.

Le nuove sigle che detteranno i tempi della politica saranno, d’ora in poi: PD e PdL. Immediate le reazioni nei due fronti: a sinistra con la volontà di costituire, seppur con grande fatica, la “Cosa Rossa” e sulla destra, scontata la solitaria posizione della Lega, smottamenti e tentativi di ricomposizione tanto in AN che tra i diversi tronconi moderati degli ex DC. A dettare tempi e modi di tali sommovimenti è il dibattito apertosi sulla nuova legge elettorale, con un referendum incombente e destinato, se verrà effettivamente indetto, a rivoluzionare la situazione politico-partitica dell’Italia. Insomma è la fine della seconda Repubblica che è durata quasi quattordici anni (1994-2007) nei quali, scomparse le grandi formazioni del dopoguerra, non si sono ancora potute ricostruire formazioni omogenee riconducibili alle tradizioni politico culturali prevalenti in Italia e in Europa.

Tutto ciò, peraltro, avviene in un momento di crisi istituzionale, economica, sociale e culturale tra le più gravi degli ultimi quarant’anni. Crisi ben rappresentata nella metafora della “poltiglia” o “mucillagine”, utilizzata dal Censis nel suo ultimo rapporto sullo stato del Paese. Una condizione di anomia, ossia di discrepanza tra mezzi e fini, di dissoluzione dei rapporti sociali tra e nei corpi intermedi, di assenza di regole certe e condivise, destinata a fomentare frustrazioni individuali e sociali generanti le più diverse reazioni. E così che un ceto medio, sino all’avvento dell’euro, abituato a condizioni di vita positive, si vede falcidiare la propria capacità di acquisto di quasi il 50% ( chi guadagnava 3, 4 milioni al mese era, prima dell’euro, un benestante; oggi, con 1500, 2000 euro, non è un povero, ma si trova a disporre di una capacità di acquisto dimezzata). A Torino, cosa che non accadeva dall’epoca del terrorismo e della contestazione degli anni ’60, gli operai indignati dopo l’ennesima morte sul lavoro, per il drammatico episodio della Thyssen, contestano apertamente il leader di Rifondazione comunista e presidente della Camera, Fausto Bertinotti e della Fiom CGIL, Gianni Rinaldini, mentre ovunque è diffusa una sensazione di incertezza e di sfiducia che a fatica viene recepita da un ceto politico, sempre uguale e sempre più lontano dalla gente, vissuto come “casta” privilegiata e parassitaria dalla stragrande maggioranza degli italiani.

Tocca al Presidente Napolitano tentare di rovesciare l’immagine deformata di un Paese in declino di cui parla il New York Times e che viene rappresentata nelle manifestazioni del V- day del comico Beppe Grillo. Anomia e frustrazioni sono elementi da valutare con attenzione e rispetto ai quali agire con grande cura. Potrebbero, infatti, innescare processi politico sociali dai risvolti sempre più incontrollati ed incontrollabili, come quelli accaduti con la serrata dei padroncini autotrasportatori che hanno paralizzato l’Italia e fatto vivere a tutti noi una situazione che ricordava tristemente quella cilena prima della fine del governo di Salvador Allende. Crisi della politica e una magistratura che, da parte di alcuni inquirenti, viene ancora utilizzata come strumento oggettivo di supplenza o a sostegno di una determinata fazione politica, mentre anche sul piano economico e finanziario gli assetti e gli equilibri di potere del nostro ancora bolso capitalismo stentano a riposizionarsi stabilmente.

Tutto questo accade con un governo impotente, ridotto a condizione di uno zombie, sottoposto ai condizionamenti continui di frange senza storia, e che sembra cadere ad ogni prova del voto al Senato, dove da tempo non esiste più, anche per dichiarazioni ufficiali di diversi suoi esponenti, una maggioranza politica in grado di governare e di affrontare le grandi questioni cui il Paese è vitalmente interessato.

Quali attese per il 2008?

Se questo è, seppur a grandi linee, lo scenario entro cui si sta svolgendo il confronto tra le diverse forze politiche in Italia, cosa possiamo aspettarci nel 2008? Molto dipenderà da come verrà risolta la questione della legge elettorale. All’orizzonte non mi sembra prenda corpo una possibile convergenza su un testo di nuova legge condiviso in grado di conservare gli attuali schieramenti oramai obsoleti. Se la richiesta di referendum verrà approvata dalla suprema corte e l’alleanza strategica tra il PD e il nascente PdL reggerà all’urto delle contestazioni interne ed esterne, mi sembra realistico un percorso che sconterà o la celebrazione del referendum o la crisi di governo. Va evidenziato che sono molto consistenti le difficoltà interne al centro-sinistra, tra PD e alleati minori, questi ultimi per ora riuniti nella fragilissima rete della sinistra arcobaleno. Difficoltà non meno presenti nello stesso Partito Democratico, dove si confrontano posizioni diverse non solo sulle modalità di organizzazione e di gestione del partito, “liquido” o “strutturato”, ma sulla stessa strategia e tattica da portare avanti verso l’ancora da molti assai odiato Cavaliere. Difficoltà ancor più accentuate dai rischi mortali oggettivi per la stessa sopravvivenza del governo Prodi.

Non minori difficoltà sconta il nascente PdL di Berlusconi, non tanto per interne difficoltà, impossibili in un partito dalla leadership carismatica e popolare senza alternative a breve, quanto per quelle provenienti dagli ex alleati, Fini e Casini ossessionati dalla prospettiva della leadership dei moderati e portati ad assumere comportamenti e decisioni spesso incomprensibili. Difficoltà, soprattutto, provenienti dai soliti poteri forti e incontrollabili, fatti di pezzi di magistratura, di potentati economico-finanziari e mediatici ben noti, che hanno nel quotidiano “ La Repubblica” il proprio altoparlante amplificatore, sempre pronti a far scattare meccanismi giudiziari ad orologeria al limite dell’assurdo, come quello legato a presunte corruzioni a favore di attrici e di compravendite di senatori che, per la verità, non hanno cambiato campo. Strana situazione quella italiana in cui si indaga con metodi degni della polizia di Pinochet e del KGB russo sul capo dell’opposizione, con intercettazioni illegali e pedinamenti di parlamentari nel pieno esercizio delle loro funzioni istituzionali, e si trascura il dettaglio che, semmai, elargizioni e favori sono state fatte a piene mani dal Governo che, pur di avere assicurato il voto dei senatori ribelli alla finanziaria ancora in discussione al Senato, non ha lesinato risorse per accontentare le fameliche richieste a Nord e Sud del Paese e in giro per il mondo…

La situazione è in rapida e complessa evoluzione tanto sul versante del centro-destra che su quello di centro-sinistra. Il tema che sembra prevalere è il seguente:

conquistare il voto del centro annullando le formazioni centriste o dar vita ad un centro di dimensioni anche modeste ma in grado di condizionare i futuri assetti politici e di governo?

Tutti d’accordo nella volontà di superare il bipolarismo impotente della seconda Repubblica; meno scontata l’intesa su quali equilibri costruire la politica nella Terza Repubblica, mentre si trascina stancamente una fase di transizione ormai intollerabile per la maggioranza degli italiani.

PD e PdL sembrano puntare sulla competizione a due per conquistarsi il voto dei moderati anche a danno dei loro attuali o ex alleati. Una prospettiva che se può anche andar bene per le diverse sinistre che, in tal modo, sperano di conquistare un loro spazio alla sinistra del PD, pur rimando in molti il sopravvenuto contagio della voglia di restare al governo dopo anni di lungo digiuno all’opposizione, non è certamente una prospettiva accettata da coloro che, consideratisi da sempre eredi della vecchia Balena Bianca, mal sopportano il Cavaliere prendi tutto, compresa la rappresentanza di quell’area che considerano stabilmente di loro appartenenza specifica.

Se nel centro sinistra il tema sembra riguardare, da un lato, il dibattito interno tra nuova leadership veltroniana, prodiani e popolari mariniani, con Rutelli e D’Alema che non intendono considerarsi oramai fuori gioco e, dall’altro, i tempi e i modi in cui potrà, se mai si costituirà, la nuova “Cosa rossa”, sul fronte del centro-destra la situazione appare la seguente:
a)Berlusconi con la scelta di dar vita al PdL compie una svolta di enorme portata sul piano della stessa nuova fisionomia che si intende assegnare ai partiti e al loro rapporto con i cittadini e nella scelta delle classi dirigenti;

b)nello stesso tempo, se non direttamente, oggettivamente egli ha dato spazio e fornisce ossigeno a quei movimenti di scissione tanto in AN (Storace e Santanchè) che in UDC (Giovanardi e popolari-liberali) pronti a confluire con Rotondi (Nuova DC e PSI) e con Pizza (DC) nel PdL;

c)Gianfranco Fini, a corrente alternata, delfino o strenuo oppositore del Cavaliere, smanioso di leadership, con la foto sul comodino in permanenza dei suoi miti, Aznar e Sarkozy, si immagina già, senza alcun limite, Sindaco di Roma o Presidente del Consiglio. Roba da seduta psicoanalitica per un ex leader missino che vede ogni giorno di più ridursi il consenso interno ed esterno al suo partito. Pronto per entrare nel PPE con tutti gli ulteriori pedaggi che tale scelta potrà provocare in termini di consenso e terrorizzato dalla piega che potrà prendere la politica se l’accordo PD-PdL dovesse alla fine prevalere;

d)Casini, il Fasulein della commedia dell’arte bolognese (con il dr Balanzone –Prodi e il Sandrone Fini, coprotagonisti attivi di questa fase) è quello che, con più furbizia, ma scarso respiro strategico tenta di pensarle tutte pur di conservare un ruolo, se non decisivo, almeno influente, nello scenario politico italiano. Presiede l’Internazionale DC e fa sempre parte del PPE, in cui, guarda caso, da molti anni oramai è stabilmente insediato anche l’amato-odiato Cavaliere. Ha tentato a suo tempo la carta Follini con l’unico risultato di indebolire l’azione del governo Berlusconi e lo stesso esito delle ultime elezioni politiche, finendo con il ritrovarsi il fedifrago Follini, portavoce del nuovo PD, e Berlusconi che si credeva già irrimediabilmente azzoppato, se non ancora politicamente morto, più forte e popolare che mai.

L’UDC vive una condizione terribile di crisi e di possibile disgregazione con Giovanardi e company pronti al trasloco nel nuovo PdL, solo che quest’ultimo si dichiari sezione italiana del PPE e si dia regole interne degne di una formazione autenticamente democratica.

E, sulla sua sinistra, con Baccini e Tabacci pronti a dar vita con Pezzotta e altri esponenti di area cattolica e liberal democratica ad una nuova formazione politica in grado di porsi al centro dello schieramento tra Veltroni e Berlusconi, con l’obiettivo di ricostruire un centro-sinistra liberato dai condizionamenti delle estreme.

E’ una partita complessa e difficile. Molto dipenderà dall’esito del confronto sulla legge elettorale. Da parte nostra staremo attenti nell’osservare ciò che accade, non nascondendo il nostro consenso ad un passaggio in cui le due grandi forze politiche possano trovare un punto di intesa non solo di tipo istituzionale ma anche di governo. I tempi di transizione sono quelli più difficili per una democrazia ancora fragile come la nostra e vanno gestiti con ampia solidarietà economica, sociale, culturale e politica. Pensare di poterli viverli nella contrapposizione frontale degli ultimi quindici anni è assurdo e sarebbe esiziale per la stessa tenuta del sistema.

» 19-12-2007
fonte : http://www.terzarepubblica.it/

 
Ciao Toni
19 Marzo 2007
Quando muore un amico, si apre un vuoto grande nel nostro cuore: quando l’amico che ci lascia per sempre lo fa nel modo tragico ed improvviso di Toni Bisaglia ancor più grandi sono lo stupore misto ad incredulità, lo sbigottimento ed il dolore.... (clicca per leggere l'articolo)
17 Febbraio 2007
Intervista di Alberto Meloncelli
E’ uscito da pochi mesi nelle librerie l’ultimo lavoro di Ettore Bonalberti, un polesano da anni stabilitosi fuori dai confini della nostra Provincia (prima a Mestre e poi a Milano) ma che, nel cuore, è rimasto sempre uno di noi. Per i più giovani diremo che Bonalberti, classe 1945, laureato in Sociologia presso l’Ateneo di Trento, si iscrisse giovanissimo alla Democrazia Cristiana nella cui organizzazione ricoprì ruoli importanti a livello nazionale....(clicca per leggere l'articolo)

12 Febbraio 2007
La Lunga Marcia nel Deserto
Nel Marzo del 1993 la casa editrice Cinque Lune (storica casa editrice della DC) pubblicò il suo ultimo libro. Nasce così il primo libro di Ettore Bonalberti intitolato: Il Caso "Forze Nuove"- Dal preambolo alla quarta Fase-un contributo alla storia della DC....(clicca per leggere l'articolo)


12 Febbraio 2007
Gli Anni di Piombo
Nel corso degli anni 2004-2005 per la rivista il Governo delle cose, Ettore Bonalberti ha pubblicato una serie di articoli sugli anni di piombo che sono stati ripresi anche dal sito curato da Tommaso Fera: www.brigate.rosse.it....(clicca per leggere l'articolo)