Le note di Ettore Bonalberti
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    31 Dicembre 2009
 

L’ambiguità di Casini

L’UDC ridotta a damigella disponibile a destra e a manca è l’ultima tappa di un calvario politico indegno per gli ultimi sedicenti eredi  della DC.

Strano destino quello di questi ex allievi dei più  convinti anticomunisti democristiani, disponibili  ad allearsi con gli avversari di sempre e con quel gentiluomo di Tonino Di Pietro, carnefice massimo dell’ultimo mentore di Casini, l’On Arnaldo Forlani.

A questa equivoca situazione politica può condurre l’ambizione smisurata di un uomo che, da oltre dieci anni, si è messo in testa di sostituire il Cavaliere nella guida dell’Italia, al di là  del consenso reale disponibile.

Disposto  a sacrificare coerenza, amicizie, riconoscenza, ammantando la propria ambizione con la falsa idea di un realismo politico destinato al fallimento.

Conoscendo molti degli amici UDC, da sempre feroci avversari degli eredi del PCI, PDS,DS,Ulivo e con epidermica idiosincrasia nei confronti del Tonino da Montenero, sono curioso di vedere come reagiranno alle disinvolte capriole del bolognese tra Veneto, Lazio, Liguria,  Campania, Puglia,Basilicata, Marche.

Voglio vedere gli amici del Friuli V.Giulia  e della Toscana e, soprattutto quelli del Veneto e del Piemonte, se e come  corrisponderanno alla chiamata a questa avventurosa e ambigua strategia degna di un’armata brancaleonica.

Stretti stretti a Galan nella giunta del Veneto per quindici anni e sino all’ultimo respiro, l’UDC sta cercando di convincere il PD a sostenere un  inconsistente leader gregario padovano, per portarlo all’ennesima sicura sconfitta e alla perdita persino della sua stessa già precaria  identità.

Difensori a parole dei valori non negoziabili della vita e della famiglia, si accingono a sostenere la laicista del PD più scatenata, come la Bresso in Piemonte, con la stessa faccia di bronzo con cui sperano di conservare un posto al sole a fianco di Roberto Formigoni in Lombardia.

Presidente dell’Internazionale della DC e componente non secondario del PPE,  Pierferdinando Casini, sta scrivendo una delle pagine più brutte di tutta la storia dei democratici cristiani non pentiti, solo per inseguire un’effimera chimera personale.

Speriamo che il sano elettorato UDC sappia valutare seriamente l’insostenibilità di tale linea, con scelte coerenti conseguenti alle prossime elezioni regionali.

Il Paese, in ogni caso, è stanco di  ambigui saltimbanchi e di trasformisti disponibili ad ogni avventura.



    22 Dicembre 2009
 

Segnali di speranza

Domenica 13 dicembre alla sera, dopo l’aggressione di uno sciagurato ai danni del presidente del consiglio, ho provato a immaginare cosa sarebbe stato dell’Italia, se quel souvenir del duomo di Milano avesse provocato un danno irreparabile al Cavaliere.

Casini e Fini, che litigano per la presidenza del consiglio; Bersani che, alla fine, con Napolitano punta su Draghi ( ah rieccolo il fantasma del “Britannia” evocato nel 2005 da Tremonti), Di Pietro, magari agli Interni e Violante alla presidenza della corte costituzionale, con  D’Alema finalmente asceso, dopo la scadenza di Napolitano, all’Alto Colle….

Una prospettiva inquietante ipotizzare il Paese nelle mani di questa compagnia di giro, sulla scena da più di venti, trent’anni (a parte Tonino il trattorista trasformatosi da PM in politico di lungo corso) all’interno di una crisi economico finanziaria ancora  assai virulenta e dai risvolti sociali e strutturali di proporzioni inedite.

Con tutti i difetti e i limiti di Berlusconi, meno male che Silvio c’è. E’ proprio il caso di affermarlo e con lui il solerte e silenzioso Gianni Letta, l’ottimo Giulio Tremonti e quei giovani ministri che, da Alfano alla Gelmini, da Sacconi a Brunetta con i ministri della Lega, Maroni, Calderoli e Zaia,  ora chiamato ad un diverso e  non meno importante incarico,   stanno dando il meglio di sé e caratterizzano una stagione di riforme non solo annunciate, ma che cominciano ad incidere nella realtà politica e sociale del Paese.

E’ inutile girarci intorno e non saranno le domenicali geremiadi di Scalfari e dei suoi accoliti di Largo Focetti, né le contumelie e i lazzi settimanali dei Travaglio e dei Santoro a far ricredere gli italiani. Il Cavaliere, anche dopo questo terribile incidente, resta nel cuore e nella condivisione della maggioranza degli italiani i quali ritengono (vedi anche gli ultimi sondaggi) che solo in virtù della sua azione politica si possa attraversare il difficile guado di questa lunga transizione che non sembra finire mai.

Due volte nella polvere e tre volte chiamato a guidare il governo a Palazzo Chigi, Berlusconi, dal 1994 ha dovuto lottare contro tutto e contro tutti. 

Mai un cittadino, un imprenditore è stato vessato quanto lui da magistrati e guardia di finanza, da gruppi di potere bancari e industriali con annessi strumenti della comunicazione stampata. Insomma, come aveva vaticinato Di Pietro, “ quello lì lo sfascio” o come gli aveva fatto eco il buon Camillo Davigo: “ lo rivolto come un calzino”.

Ci hanno provato con Borrelli e Scalfaro, con gli allievi del PG di Milano passati e presenti, magistrati in servizio o indossanti il laticlavio senatoriale;  con quelli dell’antimafia inconcludente di Palermo, già fallimentari con Andreotti e adesso ridotti alle infamanti e inconsistenti accuse di un criminale pentito, quello Spatuzza convertito, al quale nessuna persona di normale intelligenza potrebbe credere ad alcunché da lui denunciato.

E’ tempo, specie dopo quanto accaduto, che si trovi il modo di far concludere al cavaliere il compito che gli è stato affidato dagli elettori.

E’ tempo di ricondurre all’equilibrio il sistema dei poteri oggi del tutto sbilanciato a favore di un ordine, la magistratura, del tutto autoreferenziale e che non risponde mai dei suoi errori. Un  ordine capace, come è avvenuto nel 1994 e nel 2008 di far cadere i governi e cambiare, con il tintinnar di manette, gli esiti elettorali, unica espressione della volontà popolare, cui solo appartiene la sovranità nella nostra Repubblica.

E’ tempo, infine, di procedere a quelle liberalizzazioni e a quella riforma fiscale che sono state le offerte del Cavaliere su cui il popolo italiano gli ha espresso consenso e fiducia.

Fanatici di Facebook e di YouTube permettendo, sconsolati tristi epigoni di messaggeri di violenza coperti dall’anonimato irresponsabile e, in taluni casi, delittuoso, ci sembra che qualcosa di nuovo e di positivo stia maturando tra e nelle forze politiche più responsabili. Le ultime prese di posizione di Bersani e D’Alema da un lato, e dello stesso Berlusconi, Fini e Bonaiuti dall’altro, con il contributo dell’UDC, lasciano ben sperare.

Ad essi spetterà il compito di salvaguardare il percorso lineare di questa legislatura  e di predisporsi con grande spirito di unità nazionale a preparare il passaggio non traumatico a quella Terza Repubblica per l’avvento della quale, il contributo offerto da Berlusconi in questi lunghi e difficili anni di transizione, è già passato alla storia.



    14 Dicembre 2009
 

Scintille istituzionali

Spatuzza, dunque, più che un “mafioso pentito”, a detta del suo capocosca, sarebbe uno che dice cose inventate,  non vere. Insomma, per dirla con Sciascia, niente di più che un quaquaraqua.

Peccato che il boss Filippo Graviano abbia parlato il giorno dopo le esternazioni del Cavaliere durante il congresso del PPE a Bonn, con le quali Berlusconi ha, per l’ennesima volta, denunciata la triste situazione del Paese in cui, da quindici anni,  a più riprese la magistratura, o almeno una parte di essa, con i PM d’assalto, è entrata a gamba tesa nell’agone politico.

Se non si parte di lì e si mette in condizione di sicurezza il presidente del consiglio, a grande maggioranza scelto dagli italiani per governare il Paese, ma si continua invece a salmodiare sull’intangibilità della Costituzione, vuol dire che: o si persegue il cambiamento della direzione politica del governo per via extra politica, o non si intende assolutamente affrontare il nodo gordiano del rapporto politica- giustizia.

Il presidente Napolitano piuttosto che replicare puntualmente alle esternazioni di Berlusconi, quotidianamente oggetto di attacchi frontali, e da quindici anni cliente preferenziale dell’attenzione vigilante delle procure milanesi e sicule, perché non si esprime esplicitamente contro l’uso politico della giustizia

Perché non convoca una buona volta il CSM da lui presieduto e mette finalmente in chiaro ai magistrati l’insostenibilità di un situazione in cui PM e ANM, oltre a componenti autorevoli dello stesso CSM, intervengono costantemente a replicare e contestare le scelte autonome e legittimamente assunte dal governo e dal parlamento ?

Siamo d’accordo che è tempo di stemperare i toni ( quelli deliranti usati dal solito Antonio Di Pietro, che minaccia la rivolta di piazza, non giovano certo alla bisogna. Anzi costituisce il presupposto ideale per le azioni sciagurate come quelle di domenica contro il presidente del consiglio a Milano) ma non si facciano  appelli  a senso unico. Qualche volta possiamo sentire Napolitano e Fini  difendere il capo del governo dagli attacchi sistematici cui è sottoposto e non solo dopo episodi delinquenziali come quelli di piazza del Duomo?

Quanto ha dichiarato Berlusconi, senza ipocrisie, alla riunione del PPE è l’esatta fotografia di quanto accade in questa seconda repubblica, ferma in surplace quanto alla volontà di riforme.

Ora però il dado  è tratto : o si va ad una riforma condivisa della giustizia, non  più rinviabile, (cosa assai improbabile viste le esternazioni di venerdì del  pur mutevole D’Alema) o ci si va con il voto della maggioranza, preparando il Paese alla necessaria e prevista conferma referendaria.

Tutto questo, però, presuppone, e senza più rinvii, la messa in sicurezza della possibilità di governare per il presidente del consiglio. Una sicurezza dalle incursioni giudiziarie che, in assenza dell’istituto dell’immunità parlamentare, per ben tre volte hanno causato la fine anticipata dei governi e di una legislatura. Ed ora una messa in  sicurezza da folli gesti di esagitati sostenuti dagli anonimi irresponsabili del club anticavaliere di facebook.

Se il Lodo Alfano la Corte costituzionale l’ha dichiarato illegittimo, si trovi qualche altro strumento, quale quello intelligentemente offerto dall’UDC (legittimo impedimento), lo si voti con la maggioranza di cui si dispone in Parlamento e si proceda per le modifiche costituzionali necessarie. Modifiche che solo le vestali di un’Italia che non c’è più si attardano a impedire e a rinviare, per conservare, in realtà, le proprie condizioni di potere e di privilegio.

E alla fine, la decisione ritorni al popolo, solo al quale appartiene, e su questo pare si sia  tutti d’accordo, la sovranità nella nostra Repubblica.



    1 Dicembre 2009
 

Attenzione: Pericolo!

Non vogliamo vedere morire per la seconda volta un partito per colpa della magistratura. Abbiamo già sofferto abbastanza per la fine della DC e dei partiti della prima repubblica, annientati dalla furia di Mani pulite, per assistere impotenti a questo ennesimo attacco dell’ordine giudiziario al capo del governo.

E’ stata questa, una delle preoccupazioni forti emerse al convegno di  Lonato del Garda di Sabato 28 novembre scorso,  durante il  quale è nata la rete ALEF (Associazione dei Liberi e Forti), la rete, cioè, delle associazioni di Lombardia e del Veneto che si  ispirano al popolarismo sturziano declinato secondo gli orientamenti pastorali dell’enciclica “ Caritas in veritate”.

Quest’assurda situazione causata dal venir meno dell’istituto dell’immunità parlamentare, unico argine di separazione tra potere legislativo e ordine giudiziario, ha già portato alla caduta di due governi:  quello di  Romano Prodi bis nel 2008, dopo  quello di Berlusconi 1° nel 1994. C’è ancora qualcuno che sta ritentando l’operazione con grave danno per la democrazia rappresentativa del nostro Paese.

Noi vecchi “ DC non pentiti” abbiamo la memoria lunga e non dimentichiamo quanto autorevolmente scrisse il Corriere della Sera in un’intervista, ahimè passata nel dimenticatoio, all’allora On Giulio Tremonti, il 23 Luglio 2005, nella quale l’attuale ministro dell’economia, sostenendo il sistema elettorale proporzionale quale strumento in grado di garantire stabilità al Paese, ricordò la crociera sul “Britannia” nell’estate del ‘92.

Era ed è un panfilo di proprietà della regina d’Inghilterra e del Duca di Kent, capo della massoneria inglese, che ospitò eminenti personaggi dell’establishment italiano.  Chi c’era a bordo, chiede Maria Latella, all’On Tremonti? Ed egli rispose: “ Si fa prima a dire chi non c’era. Salirono da Nino Andreatta a Mario Draghi, da Giovanni  Bazoli a Spaventa, più alcuni professionisti, esterni al circuito del potere, invitati in qualità di osservatori”. Tra questi un testimone oculare: lo stesso Giulio Tremonti in qualità di avvocato esperto di finanza.

Quella crociera sul Britannia simbolizzò, scrive Latella, il prezzo che il Paese pagava tanto per “modernizzarsi”.

E non furono bruscolini quelli che si bruciarono con le privatizzazioni immediatamente successive (governo Ciampi) sull’altare del capitalismo finanziario di rapina: oltre 100.000 miliardi di vecchie lire, più di quanto l’Italia spese per la Prima e la Seconda Guerra mondiale. E la spesa è continuata,  con la BCE (Banca Centrale Europea) che, intervenendo a favore delle banche in crisi nell’anno horribilis della crisi finanziaria internazionale, ha bruciato miliardi di euro a favore ancora di quel capitalismo finanziario che continua  imperterrito a dominare sull’economia reale.

Situazione ben descritta da Angela Merkel nel Dicembre 2008 che, in una dichiarazione alla stampa tedesca alla vigilia delle elezioni politiche in Germania, denunciò che: ” la causa della recessione  di cui sta soffrendo tutta l’economia mondiale “è figlia del modello anglosassone”,  un capitalismo finanziario che trova le sue radici in una visione oligopolistica del governo  delle economie e delle società”.

E'convinzione della Merkel, come  è da molto tempo anche nostra convinzione, che “mercati non regolati e non controllati finiscano per provocare disastri finanziari, economici e sociali” ed ha aggiunto che  la sua proposizione politica fondamentale è che “l’economia sociale (o solidale) di mercato” sia certamente il miglior sistema di governo  dell’economia, poiché consente di tenere assieme crescita economica ed istanze sociali, attraverso un modello non troppo chiuso, non eccessivamente aperto, ma giusto ed equilibrato.

Esiste un nesso inscindibile tra questi fatti che accaddero nel 1992-94 e che si tenta di replicare in questi mesi e giorni. Bene ha fatto il Presidente Giorgio Napolitano a intervenire con una nota formale che, se non ha assunto i toni solenni e ultimativi che avrebbe potuto avere qualora fosse stata fatta in seno al CSM, ha certamente il senso di una sorta di pre- ultimatum affinché la magistratura torni nel suo alveo proprio, confermando che : “ nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del parlamento” aggiungendo che questa maggioranza vale se poggia “sulla coalizione che ha ottenuto dai cittadini elettori il consenso necessario”.

Certo nella situazione in cui siamo, oltre ad uno strumento legislativo che permetta al presidente del consiglio di continuare a svolgere la sua funzione di governo, rinviando a dopo la cessazione del suo incarico  la ripresa di eventuali pendenze giudiziarie, il ritorno dell’istituto dell’immunità parlamentare e la riforma della giustizia sono le scelte fondamentali che non altri, se non questa maggioranza forte nelle due camere, deve proporre e votare, così come ha promesso agli elettori italiani. E, senza altre incomprensibili timidezze, si ridia al Parlamento, espressione della sovranità popolare, il ruolo che gli compete; ossia quello di legiferare in materia di giustizia, tanto più dopo un referendum popolare che aveva sancito in maniera inequivocabile la volontà degli elettori, per quanto riguardava la responsabilità civile dei giudici. Risultato,  ahimè, vanificato dalla legge Vassalli successiva.

Ogni giorno che passa, visto l’andazzo continuo di magistrati politicizzati e che assumono funzioni e ruoli di leader partitici, stiamo accarezzando l’idea della Lega di PM  e del CSM (meglio se due, uno per i giudici e uno per i PM, acquisita la separazione di funzioni e carriere tra i due diversi organi della funzione giurisdizionale) eletti dal popolo sovrano, unico depositario della sovranità, così come sancito dalla nostra Costituzione, al di sopra e contro tutti gli altri poteri palesi ed occulti, compresi quelli della grandi società di rating che, tirando le fila del capitalismo finanziario e di tutte le sue sovrastrutture, fanno pagare il conto sempre e soltanto a quel popolo di formiche operose che costituiscono la spina dorsale di un paese manifatturiero di Piccole e Medie Imprese come l’Italia.



    23 Novembre 2009
 

Pdl: né populismo né gollismo

Ho avuto l’opportunità di partecipare al congresso di fondazione del Pdl nel Marzo scorso. Una tappa importante, che ha permesso di mettere insieme esperienze e culture diverse accomunate dalla dichiarata fedeltà ai valori e ai programmi del Partito Popolare Europeo.

Forza Italia aveva aderito da tempo al PPE, mentre AN, scontando una dolorosa scissione alla sua destra con Storace e la Santanchè, decise a sua volta, solo pochi mesi fa questa scelta, che permette agli ex missini di ritrovarsi nella comune casa dei moderati europei.

Le diverse componenti provenienti dalla galassia democristiana non avevano necessità di tale opzione, atteso che la loro storia politica era ed  è naturalmente collegata a quella dell’Internazionale Democristiana e del Partito Popolare Europeo.

La formula adottata del 70 a FI e 30 ad AN ha costituito la mediazione attraverso  cui si è potuti giungere alla nascita del Pdl, a tutto svantaggio delle componenti di ispirazione democratico cristiana da cui, peraltro, proviene la maggior  parte dell’elettorato del Pdl.

Questa iniqua distribuzione si è soprattutto evidenziata nelle nomine dei coordinatori regionali e provinciali con il risultato, clamoroso nel caso del Veneto, di 14 coordinatori provinciali veneti, nessuno dei quali facente riferimento alla tradizione politico culturale DC. Insomma,  una realtà come quella del “Veneto bianco” egemonizzata a senso unico da ex liberali, socialisti e missini, ossia tre culture politiche assolutamente da sempre minoritarie in quella regione.

Compromesso meno condivisibile, infine, la norma finale statutaria che congela ogni possibilità operativa per tre anni, attribuendo al presidente del partito oltre 40 competenze esclusive.

Risultato: un partito ingessato e un presidente prigioniero delle sue stesse funzioni e responsabilità, in una confusione  assai poco redditizia tra competenze di partito e competenze di governo.

Si aggiunga il vulnus alla democrazia introdotto dai referendum Segni sull’annullamento delle preferenze che ha reso gli eletti, semplici nominati alla mercé della volontà dei capi, senza più alcun rapporto con gli elettori e con il  collegio di elezione, per comprendere pienamente le attuali difficoltà in cui versa il processo di consolidamento e sviluppo del Pdl.

Gianfranco Fini da  tempo conduce una solitaria battaglia contro il premier, fatta di continui stop and go, tentando di rappresentare un’idea del pdl orientato verso modelli di tipo gollista, in alternativa a quello più esplicitamente populista del Cavaliere.

E’ tempo di dire che né il populismo berlusconiano, né il gollismo finiano potranno essere gli esiti politici finali del Pdl, anche se le caratteristiche ultime che finirà con l’assumere il partito sono e saranno, in ogni caso, strettamente collegate al tipo di legge elettorale che si deciderà di adottare.

Il modello populista è stato quello necessario in una fase di transizione della storia politica italiana, seguita alla tragedia della rivoluzione di mani pulite, che determinò la fine a senso unico dei partiti democratici della Prima Repubblica, PCI e MSI esclusi.

Pensare che questo modello, così come si è sin qui rappresentato, possa sopravvivere a Berlusconi è fuori da ogni ragionevolezza politica e culturale.

Il modello gollista finiano, d’altra parte, che fu accarezzato da taluni epigoni nella Prima Repubblica, come gli On Pacciardi, Sogno e Tambroni, non credo possa avere futuro, non solo per le idiosincrasie italiche già sperimentate, ma anche e soprattutto per la debolezza oggettiva di un leader sempre meno credibile agli occhi dei suoi stessi vecchi amici. Un leader costretto a recitare una parte in commedia da metamorfosi camaleontiche, sino a definire del tutto superate le tradizionali distinzioni di destra e sinistra.

Ciò che serve al Pdl è imboccare senza indugio la strada di un vero partito democratico, con regole, sedi e procedure di partecipazione e di decisione basate sul principio:” una testa un voto”.

Un partito del 40% non si guida, se non in tempi del tutto eccezionali, con la sola leadership carismatica. Servono momenti di dibattito e di decisioni democratiche, senza le quali si corre velocemente verso la fine di un’esperienza politica che ha già segnato una parte importante della storia italiana.

La componente d’ispirazione popolare e cattolico liberale concorrerà insieme alle altre, nella costruzione del nuovo partito, secondo criteri di autentica democrazia, dove capi e capetti, coordinatori e candidati saranno scelti con procedure democratiche proprie di un partito del “popolo della libertà”.



    16 Novembre 2009
 

Processo breve, agonia lunga

Bocciato il Lodo Alfano dalla Corte Costituzionale continua la lunga agonia giudiziaria che accompagna il Cavaliere dal momento della sua entrata in campo.

Si sta tentando la scorciatoia delicata e complessa del processo breve, nulla potendo contro un sovra potere della magistratura libera di muoversi a piacimento dopo l’annullamento dell’istituto dell’immunità parlamentare.

Tutto è iniziato al crepuscolo della Prima Repubblica, nel 1993, con  due  provvedimenti che determinarono vulnus terribili al nostro sistema democratico:

a)    i due referendum, primo firmatario Mariotto Segni, che portarono, coram populo, all’annullamento delle preferenze nelle elezioni politiche, causando uno strappo enorme all’espressione della volontà popolare e causa dei cesarismi di tutti i segretari di partito nella formazione delle liste bloccate;

b)   la legge costituzionale che annullò l’istituto dell’immunità parlamentare voluto dai padri costituenti, determinando uno squilibrio tra i poteri che, di fatto, ha finito con l’attribuire alla magistratura, ordine e non potere espressione della sovranità popolare, un ruolo abnorme giocabile e di fatto in molti in casi utilizzato a fini di lotta politica. Due governi sotto scacco e fatti cadere: il Berlusconi 1 e il Prodi bis.

Il Lodo Alfano, in assenza di una riforma generale della magistratura cui si dovrà pur porre  mano, era sembrato uno strumento utilizzabile per garantire le più alte cariche istituzionali a svolgere l’incarico che, nel caso del Presidente del consiglio, leader della maggioranza che ha vinto le elezioni, è espressione diretta della volontà degli elettori. Con il suo annullamento e lo slittamento mirato della prescrizione operato dagli inquirenti milanesi nella causa Mills, il Cavaliere vede prolungarsi un’agonia  da cui è necessario venir fuori al più presto.

All’interno del Pdl continua l’azione di progressivo logoramento avviata da Gianfranco Fini, il quale, fingendosi lo smemorato di Collegno quanto ai suoi antichi trascorsi e dimostrandosi il solito ingrato della politica verso colui che lo ha aiutato a uscire “dalle fogne” ( come venivano insultati i “ fascisti carogne” negli slogan sessantottini), si è convinto, come già lo era con Casini verso la conclusione del terzo  governo Berlusconi, della fine dell’era berlusconiana ed è, quindi,  impegnato a “ non fargliene passare una”, con la presunzione di sostituirlo nel ruolo di leader del fronte moderato.

All’esterno, Berlusconi è attaccato da un PD, stretto tra le continue provocazioni di quell’ex magistrato, oggi leader politico, che, guarda caso, fu uno dei protagonisti della tragedia che portò alla caduta di tutti i partiti della Prima Repubblica, eccezion fatta per gli ex PCI e gli ex MSI, e alla tentazione mai venuta meno di sconfiggere il Cavaliere per la scorciatoia della via giudiziaria.

Da sempre, continua, infine, l’accanimento di una magistratura militante, che teme come la peste ogni ipotesi di riforma che ne riduca il sovra potere indebitamente accumulato, al di fuori di ogni modello esistente in tutte le democrazie occidentali.

Che Fare?

Scelta la strada della legge sul processo breve,  la si faccia esaminare con celerità dal Parlamento per verificare il grado di tenuta della maggioranza e, considerata l’apertura di Casini per la riproposizione del Lodo Alfano con legge costituzionale, si verifichi l’agibilità di tale proposta. Dieci mesi servirebbero almeno per la doppia lettura e assai difficilmente si troverebbe la necessaria maggioranza qualificata dei due terzi. In tal caso se la norma fosse approvata a maggioranza semplice, si prepari il referendum confermativo per il necessario consenso popolare. Altra strada percorribile resta quella del ripristino dell’istituto dell’immunità parlamentare su cui anche il PD non potrebbe tirarsi indietro. Tuttavia, se alla prima verifica sulla legge per il processo breve, si dovesse riscontrare il venir meno della maggioranza, altra strada non resterebbe che unificare le elezioni politiche con quelle regionali…….Presidente Napolitano e Fini permettendo. Credo, tuttavia che, in caso di soluzioni furbastre, anche gli elettori del centro destra, stavolta, non si limiterebbero a guardare. Il ripetersi del 2004 non mi sembra tra gli accadimenti possibili, certo non tra quelli auspicabili,  e se fossi in Fini, mediterei molto sulla coerenza dei comportamenti di questi ultimi mesi…..specie in prospettiva futura.

Talleyrand sosteneva che: “ ogni volta che faccio una nomina mi creo 99 nemici e un ingrato”. Ci auguriamo che l’On Fini oltre che ingrato non diventi anche un nemico.



    9 Novembre 2009
 

Dove va il PD e cosa accade nella maggioranza?

Pierluigi Bersani segretario e Rosy Bindi Presidente acclamati dall’assemblea nazionale del PD nella riunione di Sabato 7 novembre a Roma.

Il delfino di D’Alema, finalmente, ha raggiunto la posizione da molto tempo sognata con il leader Maximo in alternativa all’odiato Veltroni e la “Pasionaria di Sinalunga” quella  della presidenza del Partito.

Lungo la strada il PD ha  perduto il politico Rutelli, il filosofo Cacciari e l’imprenditore Calearo Bersani sostiene che, con la nuova struttura dirigente, il partito non lascia fianchi scoperti. In realtà qualcosa si è già perduto all’esterno, mentre all’interno, consumata la spaccatura della componente degli ex popolari, rimane una difficile convivenza strategica con il delfino Franceschini di Ferrara, mentre salgono i malumori e  le frustrazioni degli amici di Marini e Fioroni.

La strategia è ancora incerta poiché non si è sciolto il nodo del rapporto con l’IdV di  Di Pietro, mentre si è pronunciato un solo no per ritornare a coalizioni con i “comunisti” e si è lanciata l’idea di una proposta di legge di iniziativa popolare per la modifica della legge elettorale.

Evidente l’obiettivo che si persegue: superamento del bipolarismo, ultima espressione della novità del Lingotto veltroniano, con la reintroduzione della proporzionale nella versione tedesca; riunificazione di tutte le forze disponibili a sinistra e costruzione di un centro-sinistra con il trattino, con la speranza di un suicidio della maggioranza di centro destra e la nascita di un corposo nuovo centro.

Rutelli e il gruppo della rosetta bianca sono già pronti ad accogliere quanti dall’UDC saranno disponibili al traghettamento, per ora limitato a Tabacci e ai sospiri di Savino Pezzotta. Il rischio assai forte è che si determini una semplice trasmigrazione di ex popolari verso il nuovo centro, con il solo risultato di spostare ancor di più a sinistra il PD e non aggiungere un ette in termini di consenso alla sommatoria attuale dei voti .

Unico elemento di novità che è emerso: un diverso clima nel rapporto con la maggioranza ispirato alla volontà del confronto in Parlamento che, anche se non è il dialogo accarezzato dal Cavaliere, è una disponibilità ad affrontare i temi del cambiamento, purché ispirati dall’esclusivo interesse dei cittadini.

Incombente la questione della giustizia, con alcuni magistrati senza più remore all’impegno politico esplicito, come quello evidenziato dal PM Antonino Ingroia, pubblico accusatore nel processo contro Marcello Dell’Utri a Palermo, il quale nel convegno organizzato dall’ex magistrato, ora leader politico De Magistris, nella due giorni  del Maschio Angioino a Napoli, ha apertamente  affermato il diritto-dovere costituzionale dei magistrati di intervenire nel dibattito politico, in una situazione da loro definita di emergenza democratica.

Non a caso Berlusconi, nella settimana che si apre, chiede alla maggioranza di stringersi attorno al suo leader, sottoscrivendo un documento da votare in Parlamento a difesa dell’attacco giudiziario contro di lui, per garantire la continuità della maggioranza stessa.

Contate le firme si saprà finalmente chi ci sta e chi non ci sta e se non ci fosse più la maggioranza, dimissioni della maggioranza parlamentare e elezioni anticipate.

Non sarà un passaggio semplice e nemmeno facile. Bisognerà  fare i conti con le incertezze di Fini e la volontà di Bossi e della Lega, oltre a quella del Presidente Napolitano.  D’altra parte, con la questione aperta delle candidature regionali e il rischio di essere cotto a fuoco lento entro un sistema istituzionale in netto contrasto con la volontà politica emersa dal corpo elettorale, la strada scelta dal Cavaliere non ha oggettive alternative.

Ultima spiaggia, dopo il si alla candidatura di D’Alema alla nomina a Mr Pesc dell’Unione europea, lo scambio tra riforma della giustizia e nuova legge elettorale con il PD. Questo tema, però, potrebbe diventare realistico solo dopo il risultato della verifica in corso questa settimana all’interno della maggioranza di governo. E a quel punto, però, addio al bipolarismo italico…..



    1 Novembre 2009
 

Regionali: la sinistra chiama,  il centro risponde

Con molta probabilità entro pochi giorni dovremmo finalmente sapere se e come si chiuderà la partita per la scelta dei candidati governatori alle prossime elezioni regionali. Quelle del prossimo Marzo 2010, saranno elezioni che segneranno un momento di verifica  e di possibile svolta nella politica nazionale.

Dopo il congresso del Partito Democratico con l’elezione di Bersani e riaperta la lunga e ininterrotta caccia al Cavaliere da parte della magistratura milanese, con l’inevitabile coda di quella siciliana, a Marzo il Paese sarà chiamato ancora una volta ad un vero e proprio ennesimo referendum nei confronti di Berlusconi e della maggioranza di governo Pdl-Lega.

Pierferdinando Casini si è già dichiarato nettamente contrario a sostenere qualunque governo regionale a guida leghista. Come dire:  nessuna possibilità di alleanza in quella o quelle regioni del Nord in cui il candidato fosse un esponente del partito del Senatur.

E’ al modello trentino di Lorenzo Dellai che Pierferdy ormai guarda con interesse, dopo l’avvenuta costituzione del gruppo degli undici firmatari del manifesto per” il cambiamento e il buon governo” che vede, tra gli altri, le firme di Francesco Rutelli, Massimo Cacciari, Bruno Tabacci e Roberto Mazzotta, accanto a quella, appunto,  di Lorenzo Dellai, presidente della provincia autonoma di Trento.

Sembra la compagnia degli eterni scontenti alla Gino Bartali, che si pone l’obiettivo, come ha dichiarato l’On Tabacci, dell’”alternativa possibile” ad un bipolarismo ammalato condizionato a destra dalla Lega e a sinistra dall’IdV di Di Pietro.

Miope  valutazione quella di equiparare il ruolo della Lega a quello antipolitico di Tonino Di Pietro, poiché non tiene conto del radicamento territoriale e della funzione della Lega in alcune delle aree strategiche del Nord del Paese. La Lega non è la causa, ma la conseguenza di un problema politico enorme, quale la “questione settentrionale” che, come quella del Sud, costituisce il grande  tema della politica italiana. Svicolare da questa realtà è inseguire miopi velleitarismi.

Le speranze di questo nuovo raggruppamento al quale dovrebbe unirsi l’UDC di Casini, al di là dello spostamento decisivo negli equilibri dei futuri governi regionali che scaturiranno dal voto di Marzo, restano strettamente legate all’introduzione di un sistema elettorale proporzionale di assai difficile approvazione da parte dell’attuale maggioranza esistente in parlamento.

L’obiettivo è il superamento del bipolarismo quale conseguenza del risultato del congresso del PD, dato che, non a caso, le proposte avanzate immediatamente da Pier Luigi Bersani, Anna Finocchiaro e dallo stesso Luciano Violante in tema di riforme, vedono in prima battuta proprio quella del sistema elettorale. Dal “porcellum” al sistema proporzionale alla tedesca per superare il bipolarismo, dopo l’infelice esperienza veltroniana e riproporre il centro-sinistra con il trattino.

Solo una maggioranza votata al suicidio politico potrebbe assecondare tale disegno che, allo stato degli atti, sembrerebbe assai velleitario-

Le scelte che si assumeranno nei prossimi giorni, sia per le alleanze future regionali, che per le politiche attuative del programma di governo, saranno decisive, mentre sempre più impellente  si pone l’urgenza di una ricomposizione dell’area cattolica, popolare e liberale dentro il  Partito del Popolo della Libertà.

Continuiamo a non credere che la futura leadership nel Pdl possa ridursi alla scelta forzata tra i solo  due  attuali aspiranti delfini.

In ogni caso la nuova dislocazione di forze al centro rappresenta un elemento di novità da seguire con particolare attenzione, anche se, almeno sino ad oggi, i terzi poli non hanno mai avuto grande successo.



    26 Ottobre 2009
 

Un modello da imitare

Si è  concluso il lungo periodo congressuale del Partito Democratico.

Eterodiretti in tutti questi mesi dagli orientamenti de “ la Repubblica” e dei giustizialisti dipietreschi, dopo una forsennata campagna moralistica contro Berlusconi, hanno dovuto incassare  il  triste caso Marrazzo. E’ il caso di dire: chi la fa l’aspetti.

Speriamo che, con l’intervenuta “sospensione” del Presidente della Regione Lazio dal suo incarico (soluzione irrituale e probabilmente illegittima per un caso insolito e di ardua comprensione) si metta la parola fine a quest’assurda e intollerabile stagione politica dominata dal gossip. Un copione politico giornalistico da lasciare alle faziose interpretazioni dei Travaglio, Santoro e D’Avanzo di turno.

Ora nel PD ha vinto, come da pronostici, Pierluigi Bersani, confermando con il voto di domenica il risultato raggiunto tra gli iscritti. Nonostante i tanti difetti di un complicato e per molti versi  folle  regolamento congressuale, non c’è dubbio che l’ampia partecipazione popolare intervenuta, sia nella fase interna di competenza degli iscritti, che in quella di domenica, aperta ai cittadini ed elettori, costituisca un modello, sempre perfettibile, ma da assumere come criterio di riferimento per tutti gli altri partiti.

Adesso Bersani avrà con sé tutta la credibilità che gli deriva da una rappresentanza non effimera, né assunta per decisione derivata dall’alto, ma suffragata da un coinvolgimento popolare encomiabile.

Se Franceschini, nella fase seguita alle dimissioni di Walter Veltroni, costituiva una soluzione improvvisata e debole per un partito che stava vivendo un momento di grave crisi politica, ora il nuovo segretario ha la pienezza dei poteri e di rappresentanza reale del PD.

Non sappiamo se e quali conseguenze nel breve medio periodo si potranno determinare con riferimento alla capacità di tenuta unitaria del partito. Molto dipenderà dalle scelte che il nuovo segretario si accingerà a compiere in una delicatissima fase alla vigilia del voto delle regionali del marzo prossimo. Bersani ha dichiarato che quella del PD vorrà essere piuttosto che una politica di opposizione, “una politica di alternativa”. Lo si vedrà alla prova dei fatti.

Ora, in ogni caso, non ci sono più alibi, né per il PD, che con il congresso ha comunque svoltato, né per il Pdl, che ora dovrà tener conto della nuova situazione politica venutasi a creare con quel risultato congressuale.

Il ricorrente caso Fini, che da un po’ di tempo costituisce il tormentone fatto di distinguo e di dichiarazione fuori programma del Presidente della Camera, così come lo scoppiettante caso Tremonti risolto, come ha detto Bossi,” in famiglia”  con l’annullato rischio,almeno per ora, di dimissioni del ministro dell’economia, sono, in realtà, espressioni di movimenti  che si stanno sviluppando in previsione del futuro, quando si dovrà decidere della leadership sul partito  e in quella di governo, esaurita la fase di egemonia del Cavaliere.

Ora che si è aperto finalmente il tesseramento, tanto per i soci con elettorato attivo che passivo, pensare che le dirigenze territoriali locali, provinciali e regionali possano continuare a essere nominate dall’alto con la formula transitoria del 70/30 sarebbe, oltre che intollerabile, suicida per il partito.

Che senso avrebbe versare la quota per avere il diritto all’elettorato passivo se poi concretamente le decisioni sono prese sulla testa degli iscritti?

A Fini e a Tremonti che, da un po’ di tempo, scalciano per predisporsi al meglio sulla griglia di partenza per il dopo Berlusconi, vorremmo consigliare prudenza e attenzione a non compiere scarti intempestivi, mai forieri di positive conclusioni in politica.

Noi, peraltro, crediamo che, se e quando si porrà il tema del dopo Cavaliere (tema sino a oggi e per tutta questa legislatura difficilmente proponibile) la scelta non si ridurrà a questo binomio. Pensiamo e lavoreremo affinché anche la componente di ispirazione cattolica e popolare liberale, e non solo quella di origine missina e liberal socialista, sia adeguatamente rappresentata nel partito e possa concorrere alla scelta del futuro leader. Il nostro campione l’abbiamo scelto da tempo e confidiamo che quanto prima tutte le diverse esperienze riconducibili a quest’area culturale sappiano ritrovare una feconda unità d’intenti.

Certo, a maggior ragione dopo le scelte compiute democraticamente dal PD, criteri di selezione analoghi, in cui trionfi la regola aurea  di “una testa  un voto”, si imporranno anche nel Pdl, quando, esaurita la pur necessaria e assai prolungata fase cesaristico carismatica di Berlusconi, si dovranno introdurre criteri di selezione, per il leader e per le leadership ai diversi livelli di partito e istituzionali, di assoluta trasparenza e partecipazione democratica senza dei quali il partito non avrà futuro.



    19 Ottobre 2009
 

Quelle vestali della Costituzione e la necessità di cambiare

L’aveva sparata grossa Matteo Mezzadri, giovane esponente del PD modenese, che su Facebook si era lasciato andare a questa  folle dichiarazione: “ Possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi?”

All’indomani, il direttore de “ Il Riformista”, Antonio Polito, riceveva una lettera con la stella a cinque punte, firmata “brigate rivoluzionarie per il comunismo combattente”, con la quale si rivolgono minacce contro Berlusconi,Fini e Bossi intimando loro di dimettersi, pena l’avvio di “una rivoluzione armata come a Cuba”.

La motivazione scaturisce dalle conseguenze politiche che il Lodo Alfano avrebbe determinato, secondo le menti malate di questi farneticanti comunisti combattenti, ossia le dimissioni del governo.

E’ dal 1994 che le vestali della Costituzione si stracciano le vesti ogni qualvolta si intende portare alcune modifiche all’impianto costituzionale del 1947.

Anche nella giornata di Sabato scorso, l’ANM confermava la sua netta contrarietà alle proposte di modifiche costituzionali avanzate dal Presidente del consiglio, annunciando lo stato di agitazione della categoria, una sorta di “guerra preventiva alle riforme”, come giustamente l’ha definita il ministro Angelo Alfano.

Vestali della Costituzione da una parte e volontà popolare, dall’altra, che si esprime nella scelta dei propri rappresentanti nelle aule parlamentari e che, col nuovo sistema elettorale, di fatto determina e impone, al di là dei formalismi, premier e maggioranza di governo. 

La Magistratura, tuttavia, resta tetragona nella difesa del proprio ruolo di assoluta autonomia e sostanziale irresponsabilità, dato che l’unico organo in grado di giudicarla è quello da lei stessa controllato, il CSM, attraverso il rigido sistema corporativo e politico delle correnti. Nessuna riforma se non da lei condivisa , altrimenti, come indicava Borrelli: resistere,resistere,resistere.

Costituzione formale contro Costituzione materiale. Non ci si vuol rendere conto che, come già nel 1994, e ancor di più con le elezioni del 2008, è cambiata la nostra Costituzione materiale. La prima, espressione dell’unità dei partiti antifascisti tutti oramai defunti; la seconda espressione di una volontà popolare sostanzialmente mutata rispetto all’equilibrio del 1947-48.

E’ tempo di por fine a questa situazione di eterno conflitto e di avviarsi senza indugi alla riforma del sistema.

Se non ci si riesce organicamente, considerato che non ci sono le condizioni politiche e parlamentari in grado di garantire approvazioni a maggioranze qualificate dei due terzi, fatti tutti i necessari tentativi, dopo la conclusione imminente del congresso del PD e verificata la disponibilità dell’UDC, si utilizzi l’art 138.

Si vada alla doppia lettura a maggioranza semplice e voto referendario successivo da non temere, quanto piuttosto da preparare con un Paese che non ne può più di vestali in ermellino e furbi e furbastri difensori, magari con residenze svizzere, di un sistema superato, e intende semmai riportare la Carta costituzionale a rappresentare non l’Italia che non c’è più, ma quella attuale dell’inizio del nuovo millennio.

Sarà questa la via indispensabile per ricostruire il sistema, consapevoli che la nostra Costituzione è sicuramente una costituzione rigida e non flessibile, ma, comunque modificabile, come già i saggi costituenti disposero, e che è necessario raccordare  con la  situazione reale  della nuova Italia e dell’Europa.



    12 Ottobre 2009
 

Nulla come prima: la nuova fase del governo

E’ bastato l’uppercut del magistrato milanese Raimondo Mesiano, che ha rifilato in poche ore al  gruppo Fininvest il pagamento di 750 milioni di euro, quale risarcimento al “povero” Carlo de Benedetti per il lodo Mondadori e la successiva sentenza della Corte Costituzionale su Lodo Alfano, per riportare le cose nella cruda realtà. Non c’è un regime e semmai esiste il fondato sospetto di una persecuzione giudiziaria contro Berlusconi.

Una sentenza, quella sul Lodo Mondadori, che sta suscitando scandalo anche per molti imprenditori lombardi in rivolta contro l’Italia dei furbi e de “La Repubblica” dell’ingegnere svizzero.

Una sentenza, quella della corte costituzionale sul lodo Alfano, che ha aperto una frattura gravissima ai vertici delle istituzioni repubblicane.

Si direbbe, due lodi per un piccione: il presidente del consiglio, che qualcuno vorrebbe impallinato al di là del consenso elettorale che da quindici anni lo premia. Unico caso in tutta la storia delle democrazie occidentali di uno stesso leader che per tre volte vince e due volte perde, sempre confortato da un altissimo consenso di popolo.

C’è qualcosa che non funziona nel sistema istituzionale che, con l’annullamento dell’istituto dell’immunità parlamentare (1993) inserito all’art.68 dai Costituenti preoccupati di inserire uno strumento di garanzia tra rappresentanti eletti e magistratura, dal tempo di Mani pulite sta determinando un sovra potere della magistratura in grado di influenzare a comando la stessa vita politica.

Era già successo al tempo del governo Prodi con l’affaire della signora Mastella, finito miseramente nel nulla, arrecando un danno incalcolabile alla vita familiare e politica dell’amico Clemente e al suo partito, sino a determinare la stessa crisi del governo Prodi.  E ancor prima, nel novembre 1994, quando il procuratore  Borrelli, preannunciato dal Corsera, inviava a Berlusconi un devastante avviso  di garanzia al tempo del suo primo governo durante la riunione del G7 sulla criminalità organizzata.

Se ricordiamo le parole di alcuni magistrati del pool di Mani pulite milanese, il D’Avigo che si riprometteva di “rivoltarlo come un calzino” e quelle dell’allora PM Di Pietro che si vantava: “ quello lì, io lo sfascio”, non possiamo evidenziare che, tranne Gherardo Colombo e lo stesso D’Avigo, le cose stanno così: D’Ambrosio è oggi parlamentare del suo partito di sempre, PCI prima e ora PD. E Antonio Di Pietro è a capo di un partito sopravvissuto grazie all’incapacità politica di Veltroni, e punta ancora allo sfascio di “quello lì’”, con l’appoggio di alcuni giornali-partito e di professionisti della comunicazione e dell’avanspettacolo naturalmente affannati a gridare al regime….

Non ho condiviso, anche se umanamente comprensibilissime, le prime reazioni del Cavaliere, specie quelle contro il Presidente Napolitano, anche lui vittima di un giudizio della Consulta, che non ha tenuto conto del precedente pronunciamento sul Lodo Schifani e sulla motivazione con cui Napolitano aveva controfirmato il Lodo Alfano.

Adesso si apre una nuova fase sia nei rapporti istituzionali che, in ogni caso, non saranno mai più quelli di prima e, soprattutto, nell’attività di governo. Si apre una fase nella quale il presidente del Consiglio dovrà mostrare il meglio di sé per onorare quel patto con gli elettori che resta la sua sicura e unica ancora di salvezza.

Opportunamente evitate rotture traumatiche, richiesta di elezioni anticipate e appelli alla piazza, sembra prevalere la ragione di un impegno che non è mai venuto meno e che ha saputo raccogliere, in tutta questa prima fase della vita del governo, un costante e crescente consenso popolare.

Oramai lo sguardo è rivolto ai temi della crisi economica, alla difesa dell’occupazione e ai prossimi decisivi rinnovi contrattuali, mentre si è già entrati nella fase preelettorale regionale, autentico giro di boa e momento di verifica di questa legislatura.

Consistente è la tenuta della maggioranza, anche se taluni episodi parlamentari di assenze ingiustificate, potrebbero richiedere l’introduzione di alcune incompatibilità tra incarichi di governo e parlamentari. E’ inutile disporre  di una maggioranza di più di cento deputati alla Camera e di trenta senatori al Senato, se poi una cinquantina di questi sono impegnati nel governo con frequenti impossibilità di partecipare ai voti in aula.

Si dia immediata soluzione ai decreti attuativi del federalismo fiscale e si completi l’avviata riforma della giustizia, senza più indugi nell’approvare la definitiva separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Possibile che ciò che vale per il Parlamento europeo e di cui, a suo tempo si avvalsero gli Onn. D’Alema e Di Pietro, non si possa introdurre anche nel nostro ordinamento? Speriamo che il congresso del PD si concluda con la volontà di riprendere la strada del confronto, anche su questi temi,  nell’autonomia di un partito sin qui etero guidato dall’esterno.

E per le regionali si apra un serio confronto con gli amici dell’UDC, appartenenti alla stessa famiglia del PPE e con i quali, ragioni di opportunità presenti e di prospettiva inducono a un generale reciproco ripensamento strategico.



    5 Ottobre 2009
 

Povera Italia!

Due fatti emblematici sono accaduti nei giorni scorsi: la terribile frana nella provincia di Messina, con oltre venti morti e diverse decine di dispersi e la manifestazione di Roma sulla libertà di informazione. Indetta formalmente dalla Federazione Nazionale della stampa, di fatto, è stata organizzata e gestita dal giornale-partito dell’”ingegnere svizzero” di Ivrea con il Corsera e dal sindacato della CGIL in compagnia delle ultime espressioni del giustizialismo d’antan.

Le urlanti  tricoteuses dipietriste unite a quel che resta del Partito democratico, un partito allo sbando e a rimorchio delle componenti più estreme della politica italiana, erano riunite tutte insieme per gridare contro il governo e il Presidente del Consiglio, appellato come “mafioso” e raffigurato in alcuni cartelli, da detenuto dietro le sbarre.

Ancora una volta, non potendo prevalere per via democratica e con il voto degli elettori, si fa appello alla piazza e si invoca il soccorso della magistratura. Ieri, quella inquirente milanese, di cui un suo esponente è oggi diventato un capo popolo senza ritegno di insultare il Presidente della Repubblica; oggi, quella rappresentata dalla Corte costituzionale di cui si attende con crescente e spasmodica curiosità il prossimo verdetto. E intanto, come un orologio svizzero,arriva la sentenza del tribunale civile di Milano che, ricompensa De Benedetti e mette a terra la Fininvest. Insomma Berlusconi a casa e vai con il governissimo…….

Meno male che in quella piazza non sono intervenuti i sindacati della CISL, UIL, UGL e i centristi dell’opposizione, l’UDC, residua riserva democratica in attesa di un PD che ritrovi, con e dopo il congresso, il ben dell’intelletto e una riacquistata capacità di giudizio autonomo, in linea con la migliore tradizione di un tempo antico, non a caso evocato da Napolitano nel suo viaggio nelle terre del Sud.

Povera Italia! Paese spaccato, ormai privo di una reale alternativa democratica e di governo ad un centro destra maggioritario, costretto a gestire l’onere dell’esecutivo senza un’opposizione in grado di dialogare, perché egemonizzata dalle forze più retrive di uno sciagurato giustizialismo senza senso.

C’è da augurarsi che i cinque giudici costituzionali ancora incerti sul Lodo Alfano possano esprimersi in piena libertà, guidati dallo stesso spirito saggio con cui il Presidente della Repubblica promulgò il lodo Alfano. Se ciò non avvenisse, cupi scenari potrebbero apparire nella vicenda politica italiana.

E tutto ciò accadeva nel momento in cui un devastante nubifragio tropicale faceva scendere quantità enormi d’acqua e di fango che, in una notte da tregenda, hanno distrutto alcuni paesi della martoriata Sicilia.

Eventi meteorici inconsueti si uniscono all’incuria e alle pesanti responsabilità degli uomini che, senza cervello, hanno costruito in aree fluviali a rischio certo; cementificato a dismisura terreni così impediti a svolgere la naturale funzione filtrante, disboscamenti irrazionali dei monti, mentre appare sempre più evidente la fragilità di ecosistemi per la cui  messa in sicurezza, a detta di Santo Guido Bertolaso, occorrerebbero non meno di 25 miliardi di euro.

Non sono bastate le conclusioni cui giunse a suo tempo la Commissione De Marchi nel 1970 e le linee guida elaborate per le Autorità di bacino dal Prof.Claudio Datei che, agli inizi egli anni’80, denunciava la situazione idraulico forestale del Paese con queste parole: “ Ecco, dunque, come l’imponente domanda di spazio e di risorse rivolta al territorio fisico ne abbia modificato l‘assetto idraulico: col consenso, naturalmente dei vari Enti territoriali preposti alle approvazioni, ma con scarsa o nessuna attenzione agli aspetti idraulici indotti col risultato finale, accumulandosi gli effetti di un insieme di interventi anche di non grande misura, d ‘una trasformazione delle condizioni di stabilità e di deflusso anche di notevole rilievo ed, in qualche caso, con esiti disastrosi”

E neppure l’applicazione a corrente alternata della legge n.183 del 18 Maggio 1989 ha potuto mettere in sicurezza il  territorio italiano.  “Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, per dirla con Leo Longanesi, in Italia siamo sempre e ancora qui a contare morti e distruzioni dopo che accadono fatti largamente previsti e da tempo denunciati.

Ora veramente non è più tempo di rinvii e sarà l’ennesimo banco di prova, dopo Napoli e il terremoto abruzzese, per un governo costretto a rivedere il suo programma, ahimè, in una situazione politico parlamentare che non lascia presagire nulla di buono.

Speriamo che la maggioranza politica espressa dagli italiani e l’ottimismo della volontà del capo del governo non vengano meno, nel momento in cui il Paese reclama il massimo di unità .  E’ tempo, infatti, di governare e non di inseguire i sogni disperati dei contestatori abituali, richiamati in piazza con alterna  frequenza.



    28 Settembre 2009
 

Nodi al pettine

In Germania vince la Merkel, crollano i socialdemocratici e dalla Großße Koalition  si passa all’alleanza CDU-CSU-Liberali. In Portogallo i socialisti perdono la maggioranza assoluta con una forte crescita delle estreme.

E’ in atto uno spostamento generalizzato verso il centro-destra in attesa del probabile successo conservatore in Gran Bretagna.

Insomma la geografia politica dell’Europa sta profondamente cambiando, nel momento in cui la strategia americana di Barak Obama sembra subire pesanti ridimensionamenti e, dopo il G20 di Pittsburgh, il tanto perseguito multilateralismo sembra assumere sempre più nettamente il carattere di un bipolarismo cino - statunitense dai risvolti contradditori.

Il Cavaliere, con il comizio di chiusura della prima festa del Partito del Popolo della libertà al Palalido di Milano ritrova il sorriso smagliante e la sicurezza dei giorni migliori, rinfrancato, dopo il fugace incontro con Papa Benedetto XVI all’aeroporto di Ciampino e le conclusioni  di estremo equilibrio dell’ultima riunione della CEI.

Permane una turbolenza di fondo nel rapporto con Gianfranco Fini, mai citato nel comizio del Palalido, su temi non secondari quali: la legge sul fine vita, il diritto di cittadinanza per gli immigrati e, soprattutto, l’idea del partito da sviluppare dopo il congresso del Marzo scorso.

Se sulla prima questione è comprensibile la volontà del presidente della Camera di distinguersi, al fine di garantire il costituirsi di un fronte laico laicista dentro il pdl, al quale non si potrà non contrapporre per confrontarsi laicamente un ben più consistente fronte di ispirazione cattolica e popolare, sul diritto di cittadinanza agli immigrati si apre una questione assai più complessa dal punto di vista politico.

Appare, infatti, evidente che, al di là delle ragioni non peregrine su cui Gianfranco Fini basa le sue convinzioni circa l’esigenza di passare dallo jus shangri allo jus solii quale fondamento per il riconoscimento del diritto di cittadinanza per gli immigrati, dopo almeno cinque anni di stabile residenza nel nostro Paese, il tema si presta ad aprire uno scontro frontale con la Lega, con il rischio di mettere in fibrillazione la tenuta dell’equilibrio di maggioranza.

Non è un caso che, all’apertura dell’ex leader di AN, abbiano immediatamente risposto il PD e la stessa UDC, quest’ultima con qualche prudenza in più, in vista di possibili movimenti non escludenti ipotesi di governissimi di transizione solo che le circostanze divenissero favorevoli per una simile ipotesi.

La soluzione del lodo Alfano è attesa tra pochi giorni e, come andiamo dicendo da tempo, potrebbe essere quello il casus belli di uno spartiacque politico su cui sperano i diversi fronti aperti antiberlusconiani.

Ed ecco perché a Milano Berlusconi riconferma la solidità del rapporto con la Lega, con la conseguenza di una sempre più netta volontà di garantire l’equilibrio e la leadership condivisa nel  governo regionale lombardo e la pressoché certa cessione della guida del governo veneto al partito di Bossi.

Intanto la sinistra, in attesa delle conclusioni del congresso del PD, si affida alle vecchie e stantie esternazioni urlanti dei Santoro e Travaglio, mentre monta, alimentata dai quotidiani “ Libero” e “ Il Giornale”, una campagna per boicottare il pagamento del canone di una RAI incapace di produrre un’informazione onesta ed equilibrata a misura di un autentico e serio servizio pubblico.

E’ evidente che, continuando su questo passo, si finirà con il mettere in dubbio la stessa validità di questo servizio e l’ipotesi della privatizzazione dell’antico carrozzone della spartizione partitica potrebbe diventare concreta possibilità.

Abbiamo davanti a noi settimane decisive nelle quali molti dei nodi qui evidenziati verranno al pettine e saranno sciolti.  Ci auguriamo che ciò avvenga per il miglior bene del nostro Paese.



    14 Settembre 2009
 

L’ira di FINI  e l’insofferenza dei cattolici

Era da diverso tempo che Gianfranco Fini  tentava di sparigliare. Ingabbiato nel suo ruolo super partes di Presidente della Camera, una posizione che, se da un lato gli permette di assumere doverosamente un ruolo di equilibrio tra le diverse forze politiche, dall’altro gli impedisce di corrispondere alla sua naturale vocazione di leader politico cofondatore del Pdl, approfitta della scuola di formazione di Gubbio per lanciare il suo affondo.

Era toccata la stessa sorte a Pierferdinando Casini durante il suo quinquennio presidenziale, ma Pierferdy aveva  nel fedifrago Follini prima e nel caporale Cesa poi, gli esecutori delle sue strategie e tattiche politiche.

A Fini, invece, tranne la solidarietà di uno sparuto manipolo di fedelissimi, spetta sempre a lui portare la croce e  cantare la Messa.

Risultato: un ruolo assai scomodo e scoperto, inevitabilmente sottoposto agli applausi degli avversari del Cavaliere e alle incomprensioni sino alle contestazioni più dure dei seguaci berlusconiani. Punta massima dello scontro le reprimende in prima pagina di Feltri, dopo che Fini aveva avallato l’accusa di killeraggio compiuta dal direttore de Il Giornale nella polemica contro Dino Boffo dell’Avvenire.

Se non possiamo condividere molte delle posizioni assunte sul piano dei contenuti da Fini, riconosciamo la piena legittimità che nel Pdl convivano posizioni laico-laiciste come quelle che l’esponente bolognese intende rappresentare, così come da tempo andiamo ripetendo la necessità urgente che nel Pdl trovi spazio e adeguata rappresentanza la posizione propria del cattolicesimo politico sin qui subordinato alla logica onnicomprensiva del partito.

E’ sul piano del metodo che non possiamo che condividere in toto la denuncia finiana espressa in maniera inequivocabile al convegno di Gubbio: la necessità di un dibattito politico interno al partito. Un dibattito aperto, libero, e garante di tutte le posizioni politico culturali esistenti in un grande contenitore che rappresenta il 40 % e oltre dell’elettorato italiano.

Certo l’On Fini era presente al congresso, quando con voto plebiscitario fu approvato uno statuto assurdo per quell’articolo finale che, congelando di fatto ogni possibilità e luogo di confronto all’interno del partito, trovava la soluzione compromissoria nella successiva formula del 70/30.Una formula che garantiva AN, ben al di là della propria effettiva rappresentanza, mentre, di fatto annullava, quasi completamente, la realtà di  quel cattolicesimo politico assai più forte nell’elettorato del Pdl che nella rappresentanza degli eletti/nominati nei diversi ruoli e ai diversi livelli istituzionali.

E’ grazie a quel meccanismo forzato che abbiamo, ad esempio nel Veneto, una realtà di 14 coordinatori provinciali tutti facenti riferimento ad aree culturali laiciste o ex missine, con un coordinatore regionale ex AN, in una regione in cui quelle culture, a livello di voto moderato, sono sempre state del tutto ininfluenti  se non addirittura irrilevanti.

Irrilevante, invece, è oggi la rappresentanza della componente del cattolicesimo politico che non può più accettare questa condizione di oggettiva subordinazione.

Ecco perché ci sentiamo di sostenere la giusta battaglia per un cambiamento di fondo nella vita interna del Pdl, convinti come siamo che, tentare di tenere in piedi una piramide rovesciata sulla punta del vertice, è esercizio acrobatico di assoluta difficoltà destinata miseramente al fallimento. Non appena si sgonfia il potere della leadership popolare carismatica del Cavaliere, cosa resterà di un partito così assurdamente impostato?

Chiediamo, in assenza di una modifica statutaria e di luoghi certi di dibattito e di decisioni democratiche, elezioni primarie a tutti i livelli interni ed esterni aperte agli iscritti e ai simpatizzanti. Si torni alla consultazione del popolo dei gazebo con regole trasparenti e controlli severi ridando voce a quel popolo della libertà che è la sola autentica risorsa che potrà sopravvivere all’inevitabile declino dei capi. O si pensa di andare avanti con decisioni assunte da ristrette oligarchie di nominati tendenti alla mera perpetuazione dei privilegi acquisiti, compresa la riconferma pressoché totale di quasi tutti gli eletti in scadenza senza soluzione di continuità?Se così fosse alla stanchezza e alle insofferenze potrebbe subentrare l’abbandono degli elettori



    20 Luglio 2009
 

Malessere nei due Poli

Alla vigilia del congresso del PD e con il duplice annuncio del lancio del Partito del SUD da parte di Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè, inquietudini e sintomi di malessere s’introducono nei due poli. Nel PD, accanto alla sfida dei triumviri Franceschini, Bersani, Marino, si è inserita la variabile tragicomica dell’indesiderato Beppe Grillo, con il delinearsi di schieramenti trasversali che fanno riferimento a modelli di partito e a strategie politiche diverse e alternative.

Intanto Tonino di Pietro, il mandante politico del comico genovese, ne approfitta per tentare ulteriori erosioni al martoriato corpo elettorale del PD già sufficientemente indebolito dalle posizioni giustizialiste dell’ex PM molisano. La squadra Bersani, D’Alema, Letta e Rosy Bindi non sembra avere avversari, almeno tra gli iscritti, forti di un apparato ex PCI,PDS,DS, ancora in grado di reggere l’urto della squadra degli ex segretari Franceschini, Fassino e Rutelli, nonostante la ben nota capacità di mobilitazione degli ex popolari di Marini e Fioroni, preoccupati questi ultimi, soprattutto, della tenuta finale del partito.

I primi puntano a riunificare le diverse componenti di sinistra disponibili per il governo, sostanzialmente riproponendo la vecchia formula dell’Ulivo prodiana con la variante del possibile allargamento all’UDC e il superamento definitivo della velleitaria posizione veltroniana della “vocazione maggioritaria”.

La squadra di Franceschini, invece, seppur indebolita dall’abbandono di Veltroni e con i veltroniani in larga parte tornati al più sicuro ovile diessino, messa la sordina al tema dell’autosufficienza, annuncia generiche disponibilità ad alleanze sin qui mai definite, restando impegnata nella strenua difesa del bipolarismo. Obiettivo diverso e alternativo a quello di Bersani e soci orientati, con D’Alema, al sistema elettorale alla tedesca assai caro all’UDC, verso cui si prospetta l’offerta a Casini del ruolo sostitutivo di quello che fu già dell’On Prodi. Impostazione intermedia, giocata sul fattore laicista e del superamento delle vecchie e logore oligarchie consolidate, quella di Marino, alla quale non è insensibile il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino che alza lo sguardo oltre la scadenza delle prossime regionali del 2010, proponendosi quale possibile outsider alternativo, nell’ipotesi non peregrina dell’ennesimo insuccesso elettorale del partito.

Vincesse Bersani, ipotesi assai probabile, o prevalesse Franceschini, magari nella fase delle primarie aperte a ogni incursione di possibili guastatori, senza aver risolto il tema dei rapporti a sinistra e in difficoltà a chiudere la partita con il tentennante Casini, il rischio d’ implosione del PD non sarebbe improbabile. Molto dipenderà da come si evolverà la situazione politica dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul lodo Alfano (2 ottobre p.v.) e da come reagirà il Pdl nel caso di una sentenza sfavorevole.

L’inquietudine nel partito dei moderati non dipende solo dall’attesa di quella sentenza, ma anche da quanto sta succedendo in Sicilia, dopo il tentativo in atto di decuffarizzazione operata da Lombardo della struttura di potere regionale, la nascita del MPA che si pone all’esterno dell’area del Pdl con il concomitante annuncio della nascita di un secondo partito del Sud da parte dell’On Miccichè, sottosegretario frustrato alla presidenza del consiglio con l’Adriana Poli Bortone e la supervisione dell’inossidabile Dell’Utri.

Tentativi cui sembrerebbero aggrapparsi altri illustri personaggi di sinistra in cerca di possibili riciclaggi, come Bassolino e Loiero, nel tentativo di costruire un movimento trasversale del Sud, alternativo e antagonista della Lega al Nord. Un guazzabuglio politico culturale il cui esito segnerebbe veramente in maniera ingloriosa la fine della lunga transizione di questa seconda repubblica. Anziché all’auspicato bipolarismo finiremmo nella frantumazione politico partitica del Paese che sancirebbe, con la crisi economica e finanziaria e quella sociale, la distruzione della stessa unità della Repubblica.

Del partito del Nord e del Sud e del possibile Partito del Centro, inteso come partito del Centro Italia, quale luogo geografico, che germogliasse quale ironico ossimoro nelle tradizionali roccaforti rosse, parleremo in un prossimo articolo, augurandoci si tratti di un triste sogno di mezza estate da cui risvegliarsi presto, dopo quel fatidico 3 ottobre. Una data da segnare tra quelle importanti della storia d’Italia, come lo furono il 25 luglio e l’8 settembre ’43.



    Radioformigoni, 13 Luglio 2009
 

Non poteva andar meglio al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

Acquisito il lusinghiero apprezzamento per la sua leadership dal Presidente USA, Barack Obama, negli stessi giorni in cui una ben orchestrata campagna di stampa internazionale, sintonizzata sulle onde lunghe del quotidiano "La Repubblica", lo andava dipingendo come "unfit", inadatto, quando non anche "impresentabile"e con il quotidiano inglese "The Guardian" che si spingeva sino al limite caricaturale di chiedere l'espulsione dell'Italia dal G8, per far posto alla più allineata Spagna zapateriana, Berlusconi conduceva da par suo una riunione del G8, poi allargato al G14 e sino al G20 ed oltre, che ha registrato l'unanime plauso di tutti.

E' stata la Waterloo dei Mauro e dei D'Avanzo da diverse settimane impegnati in un'azione di sistematica demolizione della credibilità del capo del governo, alla quale si è allineato, con il solito cerchiobottismo, il Corriere della Sera. Nei resoconti di quel giornale di Sabato 11 luglio, accanto all'editoriale equilibrato di Angelo Panebianco, si annunciava in prima pagina il solito pistolotto pseudo culturale di quel moralista di Gian Antonio Stella, che sui fatti e misfatti della Casta ha fatto la sua fortuna editoriale.

Le consolidate amicizie con i più importanti leader politici internazionali, da Putin a Medvedev, da Angela Merkel a Nicolas Sarkozy, da Erdogan a Gheddafi, e l'avvio di un inatteso feeling con lo stesso presidente americano, accanto ai buoni risultati raggiunti dal vertice sulle principali questioni di interesse globale, hanno riportato al centro della scena politica Silvio Berlusconi.

La Repubblica, tuttavia, non rinuncia al suo tentativo di demolizione sistematica del premier, mentre il povero ricco, Tonino Di Pietro da Montenero di Bisaccia, acquista un'intera pagina dell' International Herald Tribune per denunciare una presunta deriva autoritaria dell'Italia sotto la guida del Cavaliere, guadagnandosi l'assai poco lusinghiero giudizio di ignoranza costituzionale da quel galantuomo del giornalismo liberale di Piero Ostellino, con il suo editoriale del Corsera di Venerdì scorso.

D'Alema, d'altra parte, dopo meno di settantadue ore di tregua richiesta dal presidente Napolitano, incurante delle scosse telluriche che stanno scuotendo dalle fondamenta il suo feudo pugliese, continua a predire future sventure di Berlusconi, quasi assumendo ogni giorno di più una nuova veste, sempre meno confacente alla sua immagine di politico cinico e sagace, tra la Cassandra e il menagramo.

Di fronte a queste vicende stanno diventando quanto mai attuali alcune considerazioni inviatemi da un vecchio collega del MG DC, anche lui come me " DC non pentito", Marcello Di Tondo di Milano, che, alcuni giorni orsono, mi ricordava quella strana crociera sul panfilo Britannia dell'estate del 1992.

"In quell'occasione, scrive Di Tondo, (sapientemente ed intelligentemente tratteggiata da una intervista che Giulio Tremonti rilasciò a Maria Latella del Corriere della Sera il 23 luglio 2005) fu stabilito un accordo tra i poteri massonici nazionali ed internazionali ed i post comunisti, eredi diretti del Pci, sulla base del quale alla sinistra sarebbe andato il controllo economico e politico del Paese ed alla massoneria il controllo economico e finanziario.

Si mise così in moto un processo, conosciuto come "Mani Pulite" che spazzò via in pochi mesi la DC ed i suoi alleati (Psi, Psdi, Pri e Pli) che avevano governato il Paese sino ad allora, pur con evidenti limiti a partire dalla seconda metà degli anni '80, riuscendo nell'incredibile impresa di portare l'Italia, dalla desolazione di una nazione sconfitta e distrutta dell'immediato dopoguerra, al 5° posto tra le maggiori economie mondiali.

Ma quei Partiti rappresentavano, in quel momento, l'ostacolo politico ed istituzionale per la realizzazione di quel progetto.

Contemporaneamente, fu accelerato il percorso di privatizzazione di banche e di società a controllo pubblico per oltre 100.000 miliardi di vecchie lire, processo preparato ed avviato, nei primi anni '90, dai Governi Ciampi ed Amato.

La variabile non prevista fu l'entrata in campo politico, alle elezioni del 1994, di Silvio Berlusconi che, rompendo gli schemi e gli accordi che erano stati siglati, sconvolse il quadro generale ed introdusse una forte ed imprevedibile variabile allo schema prospettato sul Britannia.

Da quel momento, prosegue Di Tondo, iniziò la sconvolgente persecuzione giudiziaria di Silvio Berlusconi.

La storia vale la pena di essere conosciuta anche attraverso i tanti "dietro le quinte" del grande teatro mediatico che, in tutto il mondo viene propinato all'opinione pubblica".

Ed è un teatrino che continua, a riprese alterne, e sempre con la regia dei soliti salotti e gruppi di potere. Certo oggi hanno meno colpi in canna di ieri. Alcune volpi, come Di Pietro e altri magistrati inquirenti, sono diventati leoni, e altri commis d'etat e banchieri di lusso e di credito a rischio devono fare i conti con una situazione economica e finanziaria assai difficile e con un governo che gode della stragrande fiducia degli italiani.

Insomma, credo che sarà difficile che costoro, questa volta, possano sfangarla, specie se il Cavaliere, come sembra, dopo il grande successo dell'Aquila, saprà far tesoro di quanto sta accadendo.



    Radioformigoni, 6 Luglio 2009
 

Legati ad un lodo

Alla vigilia del G8 dell’Aquila l’Italia è stata colpita da alcuni eventi disastrosi: la drammatica strage dell’ incidente ferroviario di Viareggio, che, a tutt’oggi ha provocato 22 vittime, destinate, ahinoi, probabilmente a crescere; la continuazione di una sciame sismico nella zona del terremoto abruzzese che, nella giornata di Venerdì 3 Luglio ha toccato i 4,1 gradi della scala Richter, amplificando i timori della gente al rientro nelle case agibili e alimentando non pochi timori per lo svolgimento del summit internazionale di questa settimana.

Il presidente del consiglio, nonostante tutto, continua a predicare fiducia, quanto mai necessaria per risalire la china, anche se i vincoli pesantissimi di un debito pubblico salito ad oltre il 115% e le minori entrate fiscali conseguenti alla crisi in atto, rendono tutto più difficile sul piano delle scelte di governo.

Bene ha fatto il presidente della repubblica ha chiedere una moratoria allo scontro gossiparo di un giornalismo d’avanspettacolo almeno sino alla svolgimento del G8. Appello dai pochi frutti, se Massimo D’Alema, impegnato con Bersani a non perdere il controllo di un partito a rischio di implosione, non gli è parso vero, Venerdì scorso, di prefigurare scenari apocalittici per un’Italia, secondo lui, preda di pulsioni non dissimili da quelle che hanno preceduto l’avvento del nazismo. Predica tuoni e fulmini contro il Cavaliere e, intanto la tempesta si abbatte sulla Puglia terreno di conquista dalemiana.

Da molte parti si aspetta con il fiato sospeso il voto di ottobre della Consulta sul lodo Alfano, con la speranza dei registi dell’operazione partita dagli inizi di Maggio contro Berlusconi, che, in caso di annullamento del lodo, si possano creare le condizioni di un possibile ribaltone.

Una campagna partita dalla polemica sulle veline con l’accompagnamento di un giudizio tranchant via Corsera della signora Lario, seguita dall’emblematico caso della giovane Noemi di Casoria e conseguente reprimenda con lettera alla stampa della moglie del Cavaliere annunciante l’avvio della causa di separazione e di divorzio; replica col finto scandalo dell’escort barese al soldo di un imprenditore d’assalto, un ballon d’essai evocato dall’annuncio della “scossa” dalemiana che, alla fine, sta partorendo il verminaio degli affari della sanità pugliese che hanno costretto Nichi Vendola ad azzerare la giunta regionale, sono stati gli ingredienti serviti per preparare il terreno per il dopo voto sul Lodo, su cui confidano quelli de “ La Republica” e company.

In piena crisi del PD e con una maggioranza parlamentare sin qui assai solida e coesa, scenari simili a quelli del 1996, dopo il summit di Napoli, sono realisticamente fuori della realtà.

Rifiutata dall’esito negativo referendario la strada guzzettiana del bipartitismo coatto, resta valida quella oramai consolidata del bipolarismo con possibili varianti tattiche declinabili diversamente dalle più o meno incisive modificazioni dell’attuale legge elettorale.

Crediamo, allora, di poter affermare che l’idea di un ribaltone o di un governissimo conseguente all’eventuale decisione negativa sul lodo, non solo si iscriverebbe tra quelle soluzioni extraparlamentari vituperate della prima repubblica, ma finirebbero con l’assumere il carattere di un vero e proprio golpe blanco. In ogni caso appare soprattutto un’ipotesi, come molte di quelle scalfariane, fuori della realtà politica, stante l’attuale rapporto di forze dentro e fuori le aule parlamentari.

Stiano attenti questi apprendisti stregoni poichè, dopo i gossip e le eventuali da loro auspicate sentenze, rischiano di ritrovarsi non un governissimo guidato dal tecnico di turno disponibile, ma con un Paese ancor più spaccato, alla vigilia di una possibile crisi sociale, e con l’inevitabile sbocco di elezioni anticipate. E, a quel punto, il destino non sarebbe più nelle mani di nessuno e con un’Italia totalmente fuori controllo.



    Radioformigoni, 29 Giugno 2009
 

La sfida nel PD: quale segretario, quale partito?

Non avevamo mai creduto all’idea di un segretario di transizione. Miracolato da un sistema che, Franco Marini, nell’ultima direzione del PD ha definito frutto dell’intelligenza di un dottor Stranamore, Dario Franceschini ci ha ripensato e si ricandida. Lo ha fatto dopo che l’On Pier Luigi Bersani aveva annunciato la sua candidatura in previsione del congresso.

Dario ha seguito l’esempio della discesa in campo del Cavaliere nel 1994, usando il mezzo televisivo, anzi quello più moderno di Youtube. Si apre dunque il congresso definitivamente stabilito, a norma regolamentare, con il voto degli iscritti il prossimo 11 ottobre e le primarie il 25 dello stesso mese. Il termine ultimo per la presentazione delle candidature alla segreteria scade alle ore 20 del 23 luglio e sino ad allora se ne vedranno delle belle. In attesa del “terzo uomo”, Chiamparino da Torino.

Gli iscritti sceglieranno i delegati al congresso per la scelta dei candidati ufficiali per le primarie che, in assenza di regole, in una partita finalmente aperta, rischiano di sovvertire le eventuali scelte degli iscritti. D’altra parte è già cominciata la corsa per il tesseramento e gli ex PCI, ben presenti su alcune roccaforti tradizionali, già temono la capacità ben nota degli ex democristiani in questo campo.

Si profila una folle corsa per l’egemonia e, contrariamente a quanto abbiamo sempre creduto, potrebbe anche darsi che, coloro che non volevano morire democristiani, si ritrovino Dario Franceschini a traghettarli verso un “altrismo” che resta l’obiettivo confuso di un partito a rischio di strategia perché privo di un’anima.
Restare fedeli alle proprie tradizioni, ma come garantirne la sintesi tra ex comunisti ed ex sinistra DC? Oppure realizzare quel necessario rimescolamento, sempre possibile quando si parla di questioni economico sociali, assai meno quando si affronta il tema dell’etica e dei valori non negoziabili.

Restare nella casa europea socialista, magari con la congiunzione furbesca “ e dei democratici”, che se non è zuppa resta pur sempre pan bagnato, o reintrodurre quel vecchio e stantio ritornello, ripreso dal leader di Ferrara, del nuovo contro il vecchio, in alternativa al tradizionale schema: destra e sinistra.

Il tema del “nuovismo”, quale categoria alternativa al vecchio, potrà anche far presa sui quarantenni “piombini” riuniti sabato scorso al Lingotto, in cui un patetico Fassino ha chiesto a D’Alema e Veltroni di fare un passo indietro. A me ricorda il leit motiv demitiano con cui Ciriaco da Nusco impose la propria egemonia su una stanca Democrazia Cristiana avviata sul viale del tramonto del suo ultimo decennio negli anni’80. Ora come allora con Scalfari e il suo giornale a dettare le battute e a orchestrare le alleanze dentro e fuori la DC.

Continuiamo a pensare con il saggio Emanuele Macaluso che, già prima, al tempo di Berlinguer e per non poche responsabilità dello stesso leader sardo, il PCI ha mancato quella che era la sua naturale evoluzione nella casa riformista socialista. Obiettivo che avrebbe dovuto scontare il passaggio di un accordo con il socialismo craxiano. Si puntò invece alla demonizzazione di Bettino e alle confuse scelte occhettiane e degli eredi berlingueriani, rappresentati dai dioscuri, D’Alema e Veltroni, che da oltre quindici anni caratterizzano la vicenda interna al PCI, PDS, DS, sino alle esperienze dell’Ulivo prodiano e a quella oggi rinnegata della “vocazione maggioritaria” veltroniana.

Sarà assai difficile rovesciare la regola del “cane che muove la coda”, anche se il caso che ha portato Franceschini alla guida del PD, potrebbe rappresentare o l’inizio di un nuovo percorso destinato a soppiantarla, o il momento drammatico di un’implosione tra strategie e tattiche difficilmente compatibili.

Resta il fatto indubitabile che ciò che accade e accadrà nel PD non potrà non avere conseguenze sull’intero quadro politico italiano. Anche nel Partito del popolo della libertà che non potrà fermarsi al palo del congresso di fondazione Tema quest’ultimo su cui torneremo quanto prima.



    Radioformigoni, 15 Giugno 2009
 

In attesa dei ballottaggi

Sarà la settimana decisiva dei ballottaggi. Quella in cui si completeranno le scelte degli elettori per quelle amministrazioni provinciali e comunali che non glie l’hanno fatta a garantire il 51% ai candidati in lizza alle cariche di sindaco o di presidente di provincia.

Dal voto del 6 e 7 giugno è emerso un profondo mutamento della geografia politica dell’Italia, con un netto spostamento delle amministrazioni locali a vantaggio del centro-destra. Ora la partita si fa più dura in un secondo turno quasi sempre meno partecipato dagli elettori. Una scarsa propensione al voto, questa volta alimentata anche dall’appello all’astensione per il concomitante voto referendario. Un appello assai diffuso nel centro-destra, specie da parte della Lega, ma non meno presente nel fronte di centro-sinistra, anch’esso diviso tra opposte opzioni.
La partita è particolarmente delicata in casa del PD, costretto al ballottaggio in alcune delle sue roccaforti tradizionali, come le città di Firenze e di Bologna, e in altri non meno importanti capoluoghi di provincia. Continuasse il crollo amministrativo delle vecchie giunte di centro-sinistra la situazione interna del PD, già in forte convulsione, diventerebbe esplosiva.

Non manca l’interesse anche sul fronte del centro-destra, specie in alcune realtà lombarde e venete. Realtà che, con i casi di Bari e Torino, assumeremo quali elementi cartine di tornasole dei rapporti nei e tra i partiti del centro-destra. Da valutare, infine, l’ambigua e opposta scelta che verrà assunta dall’UDC in diverse situazioni locali e provinciali. Il partito di Casini si schiererà, dunque, a favore del centro destra o del centro sinistra pur di non perdere posizioni di potere e come prova per future avventure.

Il voto per le amministrazioni provinciali di Milano e di Venezia, da un lato, accanto a quella per il rinnovo del consiglio comunale di Bari e della provincia di Torino, forniranno, così, delle significative indicazioni con possibili proiezioni politiche di prospettiva.

A Milano, il presidente uscente Filippo Penati, pur distanziato di dieci punti, è riuscito ad evitare l’esito che sembrava possibile al primo turno, sulla base dei voti conseguiti dai partiti del centro-destra, se si fossero conservati compatti sul voto del candidato presidente, l’on.Guido Podestà.

Ciò non è avvenuto e si profila un testa a testa dall’esito quanto mai incerto giocato da Penati tutto sulla sua personalità anomala di ex comunista padano, e legato all’affluenza degli elettori in una giornata di inizio estate più favorevole alla fuga dalla città e provincia che al soddisfacimento del dovere elettorale.

Se, come ci auguriamo, il popolo della libertà e gli elettori della Lega partecipassero compatti al secondo turno, certo rispettando, questi ultimi, l’indicazione bossiana di rifiuto della scheda per il referendum, a Milano non ci dovrebbe essere partita.

Così come per la provincia di Venezia, dove la candidata leghista, Francesca Zaccariotto, dispone sulla carta, in base ai voti del primo turno, una netta maggioranza rispetto al presidente uscente del PD, Davide Zoggia. Non sarà ininfluente l’ondivago orientamento del sempreverde Ugo Bergamo, componente in aspettativa del CSM, già sindaco di Venezia, candidato non eletto dell’UDC per il parlamento europeo e alla stessa presidenza provinciale veneziana, forte di un 5,6 % che sino all’ultimo ha voluto mantenere in bilico circa l’appoggio ad uno dei due contendenti. Conseguenza anche di una malcelata insofferenza dei candidati leghisti, a Venezia, come a Belluno e a Rovigo, per una partecipazione diretta dell’UDC con il proprio simbolo nelle liste del centro-destra. Alla fine per la provincia di Venezia, l’UDC appoggerà il candidato del centro-destra.

Netta, invece, la scelta dell’UDC a favore dei candidati del PD a Bari a Torino e in altre città minori. Sarà una prova decisiva per valutare il grado di tenuta dell’elettorato di quel partito, nell’ipotesi di spostamento a sinistra di Casini e C., in una situazione assai diversa da quella già sperimentata nelle recenti elezioni trentine.
Domenica scorsa speriamo che il presidente emerito Cossiga le abbia sparate un po’ troppo grosse in merito alla presunta compartecipazione del leader UDC al tentativo di ribaltone, alla vigilia del G8 del l’Aquila, in combutta con il partito de la Repubblica,il PD e il magnate Murdoch, per issare il governatore Draghi al posto del Cavaliere alla guida del governo. Stavolta, però, al Quirinale non c’è Scalfaro, e, mentre confidiamo nella saggezza e onestà di Napolitano, siamo sicuri che stavolta, se succedesse, il ribaltone non potrebbe avvenire senza conseguenze pesanti sul piano della tenuta democratica del sistema.

Insomma anche da questo turno non mancheranno gli elementi per una riflessione attenta, dopo che, a conclusione del voto, potremo discutere sia sulle scelte degli elettori nelle diverse realtà territoriali, sia per quanto riguarda la vicenda referendaria relativa alla legge elettorale.



    Radioformigoni, 8 Giugno 2009
 

Elezioni europee: nuovi scenari a Strasburgo e in Italia

Il primo dato da cui partire è la partecipazione al voto: 66,47 % rispetto al 72,88 % del 2004: sono quasi sette punti percentuali in meno. Certo, restiamo il Paese che vota di più in Europa ( media del voto europeo 43,01%), ma se consideriamo che alle politiche del 2008 aveva votato l’80,51 %, ogni confronto tra i risultati ottenuti da ciascun partito non può prescindere da questa realtà: alle elezioni europee ha votato il 7 % in meno rispetto alle precedenti elezioni e ben il 16% in meno di elettori rispetto alle politiche di un anno fa.
In ogni caso: il Pdl non sfonda la soglia del 40% vaticinata dal Cavaliere, restandone al di sotto di ben cinque punti percentuali e perdendone due rispetto alle politiche del 2008, mentre il PD perde altri 7 punti percentuali, sempre rispetto alle politiche dell’anno scorso.
Unici trionfatori: l’IdV di Di Pietro e la Lega che supera il 10% a livello nazionale e sfiora il primato nel Veneto e buona la crescita dell’UDC. Con lo sbarramento del 4% non ce la fanno i radicali, le tre sinistre divise e l’MPA di Lombardo, per cui si riconferma con diverse variazioni tra i partiti, il risultato politico del porcellum 2008, pur in una competizione svolta con il sistema proporzionale puro. Cinque partiti sono quelli rappresentati nel Parlamento italiano e cinque partiti saranno quelli che avranno seggi in quello europeo.
In tutta Europa crollano i partiti socialisti con la debacle nella Francia di Sarkozy e, soprattutto in Gran Bretagna, dove il Labour si riduce addirittura al terzo posto e con Gordon Brown assai vicino al getto della spugna; mentre assai emblematico è il sorpasso del PPE spagnolo sul PSOE di Zapatero.
Straordinario il risultato del PPE che passa da 220 a oltre 270 seggi riconfermandosi di gran lunga il partito di maggioranza relativa in Europa, con Mario Mauro assai probabile nuovo Presidente del Parlamento europeo.
Berlusconi, stavolta, non glie l’ha fatta a raggiungere il risultato sperato. Coloro che rispondevano ai sondaggi, pur partecipando alle rilevazioni prelettorali, non si sono recati alle urne e l’astensionismo penalizza fortemente il Pdl, anche se la contemporanea crescita della Lega rafforza ulteriormente il distacco della maggioranza di governo dal maggior partito d’opposizione.
Il PD cala nettamente(7 punti rispetto alle politiche), ma Franceschini ne ha evitato il crollo a rischio di implosione ed ora, a due settimane dal voto referendario, la situazione politica si rimette in movimento.
Di Pietro, avendo assunto la dimensione di quarto partito nazionale, annuncia di ritirare il suo nome dal simbolo dell’IdV e lancia la proposta di una nuova coalizione. Crediamo che anche nuove regole interne finiranno con l’imporsi in quel partito, mentre una profonda riflessione si imporrà nel PD. Primo dilemma: che fare nel prossimo voto referendario? Partecipare e concorrere al raggiungimento del quorum, con indubbia prevalenza della scelta bipartitica che annullerebbe d’un colpo tutte le forze “minori”, o tentare faticosamente di percorrere la strada di una nuova alleanza in grado di costruire una coalizione, se non un nuovo soggetto, realmente spendibile sul piano dell’alternativa alla coalizione Pdl-Lega?
Stessa riflessione nel Pdl, anche se, rinunciato alla carta del voto referendario alla sua scadenza naturale del 6 e 7 giugno, in cui sarebbe sicuramente passato il progetto Segni-Guzzetta e con esso la certa crisi di governo, è assai probabile che, anche alla luce del nuovo rapporto di forza dentro la coalizione di maggioranza, non si punterà al raggiungimento del quorum, dopo che il proprio elettorato ha dato un indiscutibile segnale di sofferenza e disimpegno, per tentare, invece, modifiche condivise del porcellum, magari verso formule vicine al sistema proporzionale tedesco.
Una cosa è certa: Pdl e UDC stanno insieme nel PPE e la Lega ha assunto ancor di più il carattere di un partito che, pur passando il confine della riva sinistra del PO, permane fortemente collocato nel suo territorio padano e finirà con l’assumere le caratteristiche sempre più simili alla CSU bavarese. E’ proprio di lì che bisognerà ripartire per ricostruire un’alleanza che, guarda caso, è proprio quella che auspicavamo sin dal 1994 e che adesso ci appare assai più probabile di allora.



    Radioformigoni, 1 Giugno 2009
 

E' la solita storia

Era già accaduto al G8 di Napoli nel 1994: avviso di garanzia al premier, mentre era in pieno svolgimento quell’assise internazionale, con conseguenze immediate sul piano politico e assoluzione…….. dopo dieci anni.
C’era Oscar Luigi Scalfaro alla Presidenza della Repubblica e Francesco Saverio Borrelli alla Procura di Milano, dove imperavano i D’Ambrosio e i Di Pietro. Il primo é, oggi, senatore del PD e l’altro, é a capo del partito dell’Italia dei valori. Prova provata dell’indubbia propensione politica di alcuni magistrati militanti.

E si tenta di replicare anche adesso.

Alla vigilia del prossimo G8 dell’Aquila, con la pubblicazione mirata delle motivazioni della sentenza in primo grado dell’avv Mills, condannato per corruzione, in vigenza del Lodo Alfano che rende inattaccabile il presidente del consiglio nel tempo in cui esercita per mandato popolare le sue funzioni, la solita tenaglia mediatico-giudiziaria tenta di ribaltare per via impropria ciò che il voto degli elettori, unica espressione della sovranità popolare, ha deciso sul piano politico.

E sono sempre quei ben noti settori dell’establishment finanziario editoriale, miracolosamente sopravvissuti alla rivoluzione di mani pulite degli anni’90, a dettare tempi e ritmi di un’indegna operazione mediatica che si sviluppa a ritmo di gossip e di intrusioni in vicende private e familiari, con l’obiettivo di screditare il capo del governo, nel momento in cui raggiunge il massimo grado di consenso nel Paese.
E, quel che è più grave, con il maggiore partito dell’opposizione, in piena crisi di strategia e di leadership, ridotto alla mercè del giustizialismo di un falso moralista e pronto a cavalcare l’onda di ritorno di una magistratura militante terrorizzata dall’idea di una riforma di cui la maggioranza degli italiani reclama al più presto l’ approvazione.

E’ in questo scenario che siamo chiamati al voto europeo e per le amministrative in molti comuni e province il prossimo 6 e 7 giugno.

Per adesso, la solita Associazione nazionale dei magistrati si limita a fare appello al Presidente della Repubblica che, fortunatamente, non è più il rancoroso e inaffidabile politico novarese. Da molte parti, tuttavia, si temono ritorsioni e amplificazione dei rumors sollevati dalle motivazioni del magistrato Nicoletta Gandus sul caso Mills e l’assunzione di possibili provvedimenti a ricalco del modello del G8 napoletano.

Una tragicommedia già vissuta con enorme disdoro per le nostre istituzioni, magistratura compresa, che renderebbe fondata la denuncia del Cavaliere del tentativo di alcuni magistrati di ribaltare per via giudiziaria il risultato elettorale dell’aprile 2008.

Noi crediamo che sia necessario garantire la continuità di questa legislatura nella quale l’elettorato italiano si è espresso in maniera inequivocabile per una maggioranza parlamentare forte, ulteriormente consolidatasi con la formazione del partito del popolo della libertà.

D’altra parte, la riforma della magistratura con la separazione delle carriere, oltre alle funzioni, tra magistratura inquirente e magistratura giudicante è materia non più rinviabile e facente parte del programma di governo che ha ricevuto piena approvazione dall’elettorato italiano. Una legge va assolutamente approvata nei tempi e modi costituzionalmente previsti e con eventuale avallo di un referendum popolare.

E, intanto, la prima risposta da dare a questi inaccettabili tentativi di destabilizzazione politica per via impropria, sarà proprio il voto del prossimo 6 e 7 giugno: una valanga di preferenze dovrà essere garantita al leader del Pdl, capolista in tutte le circoscrizioni elettorali per le elezioni europee.
Molti, troppi candidati e loro supporter, in questi giorni e in queste ore si stanno preoccupando, come è giusto che sia, per la propria preferenza, dando quasi per scontato che il voto a Berlusconi sarà garantito.

Vale la pena di ricordare che anche per il capolista non basta il segno della croce sul simbolo del Pdl, ma serve scrivere il nome di Berlusconi sulla scheda.

Ai D’Avanzo e ai Travaglio, censori di nulla credibilità, e ai tentativi perpetrati da alcuni ambienti politico editoriali di destabilizzazione si risponda con l’unica arma che rimane al popolo sovrano: una valanga di voti a sostegno del Presidente del consiglio in una fase delicatissima della nostra vita politica.
Ne parleremo meglio, salvo sorprese, il prossimo lunedì, a risultato elettorale acquisito.



    Radioformigoni, 25 Maggio 2009
 

Tre fatti rimarchevoli

Emma Marcegaglia nel suo intervento all’Assemblea generale di Confindustria di Venerdì 22 Maggio ha rappresentato l’attuale situazione del mondo imprenditoriale italiano, riconoscendo i meriti acquisiti dal governo Berlusconi, e, al contempo, richiedendo più coraggio per le riforme a un governo che gode di un così vasto consenso.
Consueta acclamazione per il ministro Brunetta e giudizio positivo su quello del welfare Sacconi; appena sufficiente il giudizio per Gelmini e Alfano, un po’ freddina con il ministro Scajola e , soprattutto, con Giulio Tremonti, considerato non estraneo alla stretta di liquidità attuata dalle Banche in un momento nel quale le aziende richiederebbero ossigeno di sopravvivenza.
In contemporanea si svolgeva il congresso nazionale della CISL per la riconferma di Raffaele Bonanni alla guida della confederazione e in quella sede il sindacato italiano che sembra meglio degli altri rapportarsi alla nuova situazione dello sviluppo industriale e della trasformazione del sistema capitalistico a livello internazionale, ha riproposto le linee di un riformismo possibile su cui chiamare al confronto le parti sociali e il governo del Paese.
Fatto rimarchevole la partecipazione al dibattito, per la prima volta nella storia del sindacato di Pastore,Storti,Macario, Carniti, Marini, D’Antoni e Pezzotta, del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Espressione di un rinnovato clima di confronto e collaborazione tra le parti sociali ben sottolineato dalla presenza non solo di Angeletti della UIL, ma dai toni nuovi usati dal segretario generale della CGIL, Guglielmo Epifani. Questi, dopo molti mesi di politica del rifiuto e della rinuncia, ha riconosciuto la necessità di superare l’isolamento in cui ha ridotto il più grande sindacato italiano, e richiesto la riapertura di un tavolo di confronto tra governo e parti sociali. Richiesta immediata raccolta dal ministro del welfare Sacconi, accolto dagli applausi di un’assemblea da tempo in forte sintonia con le posizioni riformiste del giovane ministro trevigiano.
Timidamente sembra far breccia il tema della riforma pensionistica, con possibilità, almeno su base volontaria e fatti salvi i diritti sin qui acquisiti dai lavoratori in servizio, del prolungamento dell’età lavorativa.
Insomma uno spirito nuovo che fa ben sperare dopo i fatti minacciosi di Napoli e di Torino dei Cobas in rivolta permanente e senza speranza.
Terzo e ultimo fatto significativo della scorsa settimana, il permanere e l’acuirsi dello scontro sempre più palese tra Berlusconi e Fini sui temi istituzionali e politico culturali che agitano il dibattito politico italiano.
Attaccato continuativamente, prima per l’insostenibile favola rosa di Casoria con la giovane Noemi, poi per la delicata questione dell’annunciato divorzio di Veronica, e, quindi, con le inevitabili speculazioni sulle motivazioni della condanna dell’avv. Mills, per corruzione, uscite con cronometrica precisione alla vigilia delle prossime elezioni europee, il Cavaliere è impegnato a districarsene con permanenti annunci sulle cose fatte e da fare e con proposte che, corrispondendo perfettamente al sentir medio della gente, spiazzano parrucche e parrucconi impegnati nella conservazione dello statu quo e nella difesa formale e retorica dell’esistente. Ed anche il Presidente Fini ci mette del suo.
Non si contano ormai più le questioni su cui il presidente della camera, quasi quotidianamente, assume posizioni distinte e distanti da quelle espresse da Berlusconi con piena condivisione del Pdl,; tanto che l’omologa carica dello Stato, il Presidente del Senato, Schifani, è costretto a giocare di rimessa pressoché su ogni esternazione del collega della Camera.
Dalle questioni etiche a quelle più propriamente politico istituzionali, dal tema dell’integrazione o espulsione degli immigrati clandestini a quelle dei rapporti con il mondo cattolico, non si comprende ancora bene dove Fini voglia parare.
E, intanto, in attesa dei risultati del voto del 6 e 7 Giugno p.v. sembrano impazzire le posizioni che si annunciano sul voto referendario del prossimo 21 giugno, con repentini rovesciamenti di posizioni tra coloro che firmarono per il referendum e ora si dichiarano contro e coloro che prima si professavano bipolaristi e bipartisti ed, ora, sono diventati assai poco credibili emuli di Catilina nel denunciare inesistenti pericoli per la democrazia.
Insomma molta confusione sotto il cielo, anche se, il prossimo sondaggio del voto di giugno, sicuramente fornirà qualche elemento di chiarezza in più.



    Radioformigoni, 18 Maggio 2009
 

Fine della luna di miele?

Con i dati di Eurostat che segnalano un calo del PIL su base annua al 5,6 % e la sua quarta diminuzione consecutiva trimestrale, la situazione economica del Paese sembra essere giunta al punto morto inferiore.
Hanno ragione quelli che insistono a sostenere che andremo sempre più in giù, come “il Manifesto”, che giunge a ipotizzare oltre 8 milioni di disoccupati in Europa entro l’anno; o hanno ragione quelli che, come Fortis su “ Il Messagero” e il ministro Tremonti al Corsera, colgono nei dati sulla fiducia degli italiani e sul pur timido incremento dei consumi il segnale che, forse, il momento peggiore sta per passare?
Per adesso, ci sta salvando la grande capacità di risparmio degli italiani e la sommatoria tra debito pubblico, enorme, e debito privato, assai contenuto, che assegna all’Italia lo stesso valore di debito complessivo di Paesi assai meno indebitati sul piano pubblico, ma enormemente più indebitati su quello privato come Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Spagna e Francia.
Ciò comporta un’inevitabile contrazione della spesa pubblica nel 2009 e probabilmente anche nel 2010, assai più consistente in Italia che rischia di rinviare investimenti che pure facevano parte importante degli impegni del governo. Non ci resta che affidarci a quella che sembra una generalizzata domanda di “buy Italia”, ossia di comprare italiano, che emerge tra le indicazioni statistiche più autorevoli.
Crisi economica, con le prime avvisaglie di alcune non sottovalutabili situazioni di profonda crisi sociale, come quelle che emergono dai fatti di Napoli di Venerdì scorso, allorché, in occasione dello sciopero dell’autotrasporto locale, un gruppo di dimostranti ha bruciato alcuni autobus e giovani disoccupati hanno fatto irruzione, devastandola, in una sede del Pdl. Gravissimo, poi, l’episodio dello Slai Cobas contro il segretario della FIOM CGIL, Claudio Rinaldini, di Sabato a Torino, aggredito durante la manifestazione sindacale per la difesa dei posti di lavoro della FIAT negli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Termini Imerese.
Si aggiunga la conseguenza che, almeno sul piano psicologico, sembra aver subito il Cavaliere per la delicata situazione familiare determinatasi con lo sfogo pubblico della sua consorte.
Può darsi che, come scriveva alcuni giorni fa, Il Foglio, sia finita la luna di miele del Cavaliere con il Paese, anche se non sta molto meglio l’opposizione divisa pressoché su tutto, quanto a strategie e già in un vorticoso fermento che annuncia tempesta, dietro una sequela sgangherata di posizioni tattiche a corrente alternata assunte da un Franceschini in preda ad un radicalismo senza costrutto.
Da tempo vado denunciando i limiti e le difficoltà di una leadership popolare e carismatica, sempre debole e a rischio permanente sul piano della tenuta e che, mai come in questi giorni, sta rivelando una sostanziale solitudine del Presidente.
Non è solo il caso delle continue prese di distanza di Fini su ogni questione portata avanti dall’esecutivo, o l’inevitabile concorrenza pre elettorale con l’alleata Lega, quanto piuttosto la difficoltà di un partito appena nato e costruito con logiche centralistiche, con presenze sul territorio fatta di eletti che dipendono non dagli elettori, ma da chi li ha nominati e da coordinatori calati dall’alto, privi di qualsivoglia legittimazione democratica fondata sul consenso liberamente acquisito dagli iscritti e dagli elettori.
Una solitudine dal e del partito che la precaria costruzione sin qui progettata dovrà essere in ogni caso profondamente ripensata dopo il voto per le europee e l’incerto esito referendario.
Anche se i sondaggi continuano a registrare dati positivi per il Pdl e la Lega, non sarebbe male tener presente che non c’è una grande voglia di partecipazione al voto tra la gente. Oltretutto per elezioni di scarso o nullo significato che non sia quello di un interessante ennesimo sondaggio su dati reali degli umori del Paese.
Mancano pochi giorni alla data del 6 e 7 aprile e sin qui il Cavaliere è sembrato disinteressato a ciò che sta per accadere o, quanto meno, poco impegnato, nonostante abbia voluto metterci la faccia in tutti i collegi elettorali.
Attenti che si può ancora vincere questa ennesima sfida con il carisma e la fiducia della gente, ma, a lungo andare, senza un partito vero e rappresentanti effettivi degli elettori non c’è futuro non solo per la sinistra, ma anche per il partito dei moderati.



    Radioformigoni, 11 Maggio 2009
 

Il miraggio Trentino

Con il 64,2% il sindaco reggente, Alessandro Andreatta del PD, stravince le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Trento eguagliando la percentuale del 2005 di Alberto Pacher. Deve far riflettere, tuttavia, l’alta astensione, considerando che a Trento è la prima volta che partecipa al voto solo il 60% degli elettori.
Il risultato è la dimostrazione della bontà del sistema di potere trentino fondato sulla straordinaria disponibilità di risorse pubbliche che non ha confronto con altre realtà provinciali italiane, Bolzano e la Val d’Aosta escluse, unita ad una solida tradizione del buon governo della cultura popolare e democristiana trentina di cui Andreatta è un degnissimo erede.
Questo risultato, in netta contro tendenza con tutti i sondaggi pre elettorali delle prossime europee, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Dario Franceschini il quale, commentando quel risultato, si è lasciato andare a interpretazioni fuorvianti e a giudizi non all’altezza del leader del più importante partito di opposizione.
Nessuno dubita che i trentini siano persone di buon senso ma arrivare a dire, come ha fatto il giovane leader ferrarese che i cittadini di Trento sono: "persone serie, con la testa sulle spalle, lavoratori, gente concreta che non si fa condizionare dalle favole della tv", quasi adombrando che gli altri italiani sarebbero una sorta di pirla, per dirla alla milanese, mi sembra il sintomo di una seria difficoltà che, tra meno di un mese, si andrà a verificare.
I risultati di Trento andrebbero meglio analizzati considerando che il PD, pur restando il primo partito in città con il 30,02% dei voti, risulta in leggero arretramento rispetto ai dati cittadini delle recenti elezioni provinciali (31,94%).
In realtà chi guadagna voti è l’Unione per il Trentino (Upt), ossia il laboratorio politico territoriale del governatore Lorenzo Dellai, come contraltare di centro al PD per le provinciali 2008.
I risultati dell’anomala regione Trentino Alto Adige, anomala nel senso che trattasi di una regione speciale dotata di una specialità del tutto particolare dove, sull’antica tradizione della buona amministrazione asburgica, si è innestata la grande disponibilità di risorse che vedono un ritorno pro capite delle entrate fiscali che non ha eguali nel resto del Paese, sono del tutto atipici e difficilmente ripetibili in altri contesti politico-amministrativi.
E non è un caso, infatti, che molti comuni delle confinanti regioni della Lombardia e del Veneto, da tempo perseguono l’obiettivo di saltare il fosso, per vedersi garantiti gli stessi privilegi, sissignori perché ora di autentici e non più sopportabili privilegi si tratta, dei loro vicini trentini.
Si aggiunga che questa speciale condizione istituzionale si sta ulteriormente aggravando con il ritorno degli ultimi episodi di tracotante pangermanismo in Alto Adige, sempre più intollerante nei confronti dell’ unica vera minoranza esistente in quelle terre , ossia quella italiana (24,4% contro il 64% di lingua tedesca e il 4% di lingua ladina- bilancio Istat dicembre 2006)
Da tempo vado pensando che dopo le difficili condizioni pattuite per l’Italia da Alcide De Gasperi con l’accordo De Gasperi-Gruber per garantire un assetto stabile in questa regione, sarebbe forse il tempo di rivedere quegli accordi.
Sarebbe ora di ricordare con forza al governatore dell’Alto Adige Luis Durnwalder e alla Volkspartei che, continuando questa politica anti italiana in quella provincia, perché non chiedono di entrare a far parte dello stato austriaco, riconoscendo a parti invariate alla minoranza linguistica italiana gli stessi privilegi che da decenni l’Italia riconosce profumatamente a quella, che minoranza non è, di lingua tedesca?
Se poi Franceschini si illude che il buon senso trentino possa trasferirsi come per incanto nel voto degli italiani, cominciasse a sostenere l’idea che i privilegi delle regioni speciali debbono cessare con il riallineamento di tutte le regioni alle medesime condizioni di federalismo fiscale e solidale. Ecco un terreno di possibile immediata convergenza tra i due poli….



    Radioformigoni, 4 Maggio 2009
 

Candidature da copertina e il caso Sgarbi

Con la presentazione delle liste dei candidati alle elezioni europee del 6 e 7 Giugno si sono potuti ancora una volta costatare i limiti e le contraddizioni di un sistema senza regole che appare sempre più intollerabile.
E’ accaduto nel Partito Democratico, con i catapultati Sergio Cofferati nel collegio del Nord Ovest e Luigi Berlinguer in quello del Nord Est, in netta opposizione ai desiderata degli organi locali del partito. Così com’è avvenuto per la designazione del mezzo busto televisivo David Sassoli per la circoscrizione laziale in alternativa ad un imbufalito Goffredo Bettini.
Ed è successo anche nel Partito del popolo della libertà con il clamoroso gesto di dissenso di Gianfranco Rotondi per la mancata designazione di Paolo Cirino Pomicino tra i candidati nelle liste del centro-sud e, soprattutto, per l’irrilevanza in cui è stata ridotta la componente democristiana nella spartizione pressoché perfetta tra ex FI e AN con la formula congressuale del 70 e 30.

Non sono mancate le sorprese nelle liste dell’Italia dei Valori di Antonio di Pietro, in cui hanno cercato rifugio ex intellettuali diessini e della sinistra radicale in cerca di un posto al sole. Per non parlare del caso dell’ex PM De Magistris, fonte di tante polemiche prima e durante e dopo la sua decisione di entrare in politica a fianco del partito degli amici Di Pietro,Travaglio con la benedizione mediatica del solito Santoro.

Ovunque si è andati alla ricerca di volti e personaggi noti al grande pubblico. Le prime indiscrezioni sulle probabili veline nella lista del Cavaliere hanno finito con il suscitare un netto dissenso persino in casa Berlusconi, dove la signora Veronica non le è parso vero di cogliere l’occasione per far valere in pubblico le sue malcelate ragioni di malumore privato. Anche i vecchi amici dell’UDC non si sono sottratti al rischio del ridicolo candidando il rampante erede di Casa Savoia, Emanuele Filiberto, dopo il suo successo danzante alla sfida televisiva di “ Ballando con le stelle”. Un monarchico in rapida conversione repubblicana e democristiana difficilmente accasabile nella DC dei Bisaglia, Donat Cattin e Marcora.
Sopra tutti i diversi casi, però, brilla quello di Vittorio Sgarbi, fino all’ultimo ondivago tra la ricerca di un posto nelle liste dell’UDC prima e della Lega poi, per approdare infine, assai più coerentemente, si fa per dire, in quelle dell’MPA di Raffaele Lombardo, in coalizione con la Destra di Storace e la lista dei Pensionati del solito Carlo Fatuzzo, alla ricerca del fatidico quorum del 4%.

Veramente emblematico il caso di Sgarbi, il quale, dopo la sconfitta elettorale del 1996 nel Veneto, dichiarò : « [Gli elettori veneti] Sono dei deficienti. Egoisti. Stronzi. Destrorsi. Unti. Razzisti. Evasori. Hanno scelto la Lega? Complimenti. Risultato: si ritrovano a essere governati dai meridionali democristiani e dai comunisti. (...) Voglio fare un'Antilega al Sud, incitando i meridionali a non comprare più prodotti veneti. Questi qui ormai coltivano il razzismo puro. Questa gente non è stupida. È peggio: ignorante e plebea. Il concetto di fondo è: questi elettori sono tutti delle teste di cazzo » (Stella, Rizzo - la Casta pag 164 )
Peccato per queste sconsiderate farneticazioni, dato che al dr Sgarbi non manca un'acuta intelligenza e dei pensieri anticonformisti apprezzabili. E’ il tono e il temperamento, uniti a uno smisurato e incontrollabile ego, che lo portano talora a straparlare, come in questa intemerata contro i veneti da cui, lui, originario di RO ferrarese, ossia dell'altra sponda del PO, non è poi così distante....

E' la triste stagione dell'apparire, quella in cui siamo costretti a vivere. La spettacolarizzazione della politica conseguente ai criteri nominalistici e presidenzialistici introdotti in Italia dal primo referendum Segni in poi, hanno portato a questo bel risultato. Esso è sostenuto da quell'eccitazione progressiva presente nei talk show televisivi in cui, dalla fine degli anni’80, si sono affermati con la Vanna Marchi e gli altri venditori urlanti, personaggi come Funari, Sgarbi ed altri vocianti imbonitori dello schermo. Se confrontassimo il simpatico Romolo Mangione, che nelle tribune elettorali di Ugo Zatterin e Jader Jacobelli, era l'unico giornalista che si permetteva qualche volta di alzare il tono delle voce, lui socialdemocratico rancoroso anticomunista, con queste starnazzanti controfigure da avanspettacolo, veramente egli ci apparirebbe oggi come una candida educanda. Unica possibilità: cambiare canale…anche sul piano politico e augurarci che, prima o poi, la gente rinsavisca.



    Radioformigoni, 27 Aprile 2009
 

Un 25 Aprile all’insegna dell’unità…nonostante Milano

Faccio parte di quella generazione che molti anni fa era orgogliosa di chiamarsi la prima della repubblica italiana.
Sono nato a Nettuno il 1 marzo 1945, 55 giorni prima del fatidico 25 aprile. Una data storica che segna la fine della tirannide nazifascista e la vittoria della democrazia.

Da dirigente della DC veneta e nazionale, in occasione di questa data, ho svolto molte volte interventi e comizi su varie piazze d’Italia a cominciare dal mio Polesine. Anche in alcuni paesi sulla riva del Po, autentiche roccaforti del PCI, quel partito che, dalla fine dei governi del CLN, aveva deciso di assumere la paternità esclusiva di una vicenda vissuta, in realtà, da una pluralità di componenti politiche culturali e ideali. Di qui la comprensibile difficoltà di aderire a quella giornata da parte di molti moderati anche in casa democristiana.

Ricordo che a 24 anni, 40 anni fa, fui inviato dal delegato nazionale a rappresentare il MG della DC alla celebrazione del 25 aprile nella piazza di un paese dell’alto polesine. All’indomani mi trovai denunciato ai probiviri del partito accusato di aver partecipato a una manifestazione antifascista senza l’autorizzazione del segretario doroteo di quella sezione DC.

Ebbi un richiamo scritto dall’organo giudicante del partito che decisi di conservare a futura memoria.

Con l’avvento della cosiddetta seconda repubblica, i già lacerati rapporti tra e nelle forze politiche si spezzarono ancor di più sino a caratterizzare il 25 aprile e il 1° maggio come due date in cui la sinistra poteva manifestare in piazza tutto il suo rancore verso l’odiato cavaliere di Arcore.

Punta massima di quello scontro, dopo la dimostrazione di forza del 1994 anti Berlusconi, la squallida contestazione alla signora Letizia Moratti l’anno in cui partecipò a Milano alla sfilata della liberazione accompagnando il suo papà invalido, resistente della brigata Sogno e deportato in campo di concentramento. Una biografia a tutto tondo ma insufficienti per quei facinorosi interessati solo a contestare l’emergente candidata a Sindaco di Milano, colpevole di intelligenza con il nemico.

Finalmente sembrava che quest’anno le cose dovessero andar meglio. E così è stato in quasi tutte le piazze d’Italia. Tranne che a Milano, dove i soliti contestatori non hanno mancato l’occasione per esprimere il loro rumoroso dissenso verso Roberto Formigoni, l’uomo politico e di governo più rappresentativo sceso in piazza per celebrare il valore dell’unità degli italiani attorno agli ideali della resistenza e della libertà posti a fondamento della costituzione repubblicana. Vergogna a questi squallidi personaggi indegni di rappresentare i valori di tolleranza e di civiltà propri della città di Ariberto da Intimiano!

Certo è tragicomico constatare gli applausi per puro opportunismo ad un DC convertito, come Franceschini, nel momento in cui si è cercato di contestare un cattolico liberale che non è mai venuto meno alla coerenza e alla fedeltà ai propri valori originari.

Giungono impietose e dure come pietre le parole di Francesco Cossiga sulla coerenza di questi ex DC che sembrano vergognarsi della loro antica appartenenza al partito di De Gasperi, Moro e Andreotti e che a Milano fu largamente rappresentato dagli uomini delle brigate verdi Alfredo di Dio, con Enrico Mattei e Albertino Marcora tra i principali leader di quell’epopea partigiana.

Noi, vecchi DC non pentiti, che non siamo mai venuti meno al rispetto del sentimento di appartenenza a questo nobile partito della storia democratica del Paese, abbiamo salutato positivamente le parole del Presidente Napolitano all’altare della patria e quelle del capo del governo a Onna in Abruzzo, per la prima volta sceso in piazza a celebrare il 25 aprile, guadagnandosi la sciarpa tricolore della gloriosa brigata partigiana della Maiella.Ci auguriamo che le intolleranze milanesi cessino per sempre e che la giornata della liberazione diventi veramente per tutti gli italiani una giornata di unità attorno ai valori della democrazia e della libertà.



    Radioformigoni, 20 Aprile 2009
 

Quel tormentone di Mariotto

Legge elettorale, riforme costituzionale e federalismo fiscale sono le tre questioni dalla soluzione delle quali si decideranno le sorti del sistema politico italiano.

Giunti ad un passo dell’ultimo voto parlamentare per quanto riguarda il federalismo fiscale, si sta consumando in queste ore, fuori tempo massimo, la decisione sul sistema elettorale collegata al referendum sulla proposta Segni-Guzzetta. E’ un passaggio delicato e decisivo che comporta forti implicazioni tra gli schieramenti di partito e al loro stesso interno.

La nuova proposta Segni-Guzzetta, come ho avuto modo di ricordare in più occasioni, non mi piace, poiché assomiglia troppo alla famigerata Legge Acerbo. Ricordiamo che con quella legge si stabiliva l’assegnazione dei due terzi dei seggi parlamentari alla lista che avesse avuto più voti. In tal modo si garantì a Mussolini, “democraticamente”, il controllo totale del Parlamento e del Paese.

La proposta contenuta nel testo del referendum Segni-Guzzetta intende assegnare la maggioranza dei seggi parlamentari alla lista che prende più voti.

e non alla coalizione, come è nell’attuale porcellum. Se non è Acerbo gli assomiglia assai.

Comprensibile l’opposizione della Lega da una parte e dei sopravvissuti per grazia veltroniana ricevuta, quelli dell’IdV, dall’altra; così come quella degli amici dell’UDC da sempre schierati, come il sottoscritto, per il sistema proporzionale alla tedesca.

Purtroppo si è giunti a ridosso del termine ultimo utile per la decisione sulla data di svolgimento del turno referendario, in una situazione di assoluta divergenza all’interno e fra le stesse coalizioni prevalenti dell’attuale schieramento politico parlamentare.

Se, come vanno predicando con ritmo ossessivo, i Di Pietro e i Travaglio di turno, amplificati da quell’istrione della propaganda politica a senso unico, Michele Santoro, il Cavaliere perseguisse effettivi disegni autoritari, sarebbe bastato sfidare la Lega sulla data del 7 Giugno, accorpando elezioni europee e referendum.

Anche a costo di una crisi di governo per decisione leghista, il Cavaliere avrebbe fatto il pieno: sicurezza del quorum per la validità del referendum, assai probabile vittoria del SI, immediate elezioni politiche e filotto con la nuova indecente legge elettorale.

Silvio Berlusconi, valutata la situazione politica generale e finanziaria dell’Italia, l’emergenza terremoto in Abruzzo, ha sapientemente deciso di non forzare e ora si sta valutando, con Lega e opposizioni, se votare il 21 Giugno o, più responsabilmente, rinviare di un anno la consultazione referendaria.

Ha deciso, cioè, di salvaguardare il valore della coalizione Pdl-Lega, in vista di possibili modifiche per via parlamentare della legge, che dovrà garantire con il rafforzamento del bipolarismo e non l’avvento di un bipartitismo forzato, quel cancellierato che, come in Germania, garantisce al capo del governo il potere di scegliere e cambiare i ministri e di sciogliere le camere.

Se ci si muoverà su questa strada virtuosa, in sintonia con tutta la nostra storia politica, ancora una volta il Cavaliere avrà segnato un punto in suo favore a vantaggio di una trasformazione necessaria e non stravolgente del nostro sistema istituzionale.

Certo il clima tra le forze politiche, alcune assai divise al loro interno, non sembra il più favorevole per un simile accordo e, in presenza di consistenti dubbi di natura politica e costituzionale espressi anche dal Colle sulla proposta di rinvio, è probabile che si finisca con l’andare a votare il 21 giugno mettendo una volta per sempre, almeno si spera, la parola fine al tormentone di sistema che dal 1992 Mariotto Segni, a più riprese, ha introdotto, con alterne fortune, in Italia.



    Radioformigoni, 15 Aprile 2009
 

Su la testa

Sono solo scricchiolii di una maggioranza destinata a durare per l’intera legislatura o segnali inquietanti di un imminente sconquasso ?
Impegnato com’era, Mercoledì 8 aprile, nella straordinaria opera di mobilitazione per i terremotati dell’Aquila e dell’Abruzzo, il presidente Berlusconi con molti uomini del governo, tutti coinvolti in un’azione che non si era mai vista prima in occasioni di disastri simili, era raggiunto dalla notizia dei primi 17 franchi tiratori che, per ben tre volte, mettevano in minoranza il governo sul provvedimento della sicurezza. Immediata la reazione della Lega che ritirava i suoi parlamentari costringendo a un altro bagno il governo sul provvedimento concernente la politica del credito.
Alla vigilia delle elezioni amministrative in molti enti locali e delle europee, vero termometro del consenso di ciascun partito, con la spada di damocle della decisione da prendere sulla data del referendum sulla proposta Segni-Guzzetta, era inevitabile la fibrillazione di mercoledì scorso.
Il Pdl ha appena avviato un percorso complesso e con la tecnica del bilancino (quote del 70 e 30) che, se è sopportabile nell’equilibrio romano, ha creato grandi difficoltà nelle regioni e nelle province, specie per le nomine dei coordinatori. Una sorta di missi dominici, talora assolutamente ininfluenti e di nullo spessore carismatico, senza alcuna legittimazione democratica dal basso, catapultati alla vigilia di elezioni amministrative in cui si sta verificando quanto da tempo vado prevedendo: liste civiche a go go e il pdl ridotto, in molti casi, alla dispersione.
La Lega è impegnata sulla DdL del federalismo fiscale e, in diverse occasioni, ha dimostrato di voler instaurare un rapporto diretto con il PD, scavalcando il Pdl, per puntare a una condivisione ampia del testo di riforma, al fine di evitare la brutta replica di quanto accadde nel 2006, dopo l’approvazione a maggioranza delle pur necessarie ed oggi da tutte riconosciute modifiche dell’art V. della Costituzione.
La proporzionale pura, con il solo sbarramento del 4%, e la reintroduzione delle preferenze, costituiscono l’occasione di scontro aperto tra tutti i partiti alla ricerca del massimo di visibilità per misurare il loro grado di consenso. L’assenza della necessità del “voto utile” e, dunque, nessuna immediata apparente conseguenza sugli equilibri di governo, mette gli elettori in una condizione di assoluta libertà di espressione. Di qui i movimenti incontrollati e incontrollabili dentro e fra le coalizioni che si erano confrontate con esito largamente bipolare nelle politiche del 2008.
Se ne vedranno delle belle, specie se, come si annunciano, si riproporranno alle europee veccbie cariatidi in pista da oltre trent’anni, logorate dal potere e da tempo invise alla stragrande maggioranza degli elettori. Nel Veneto, ad esempio, spira un’aria assai favorevole alla Lega che rischia il sorpasso sul Pdl.
Ancora una volta si punterà sul carisma del Cavaliere, quanto mai efficace in elezioni politiche generali, ma di dubbio risultato quanto sono in gioco, come nelle elezioni amministrative, equilibri locali. In assenza di regole democratiche condivise nella selezione dei candidati e degli stessi dirigenti del partito, difficilmente il pdl potrà consolidarsi a livello territoriale. Una sorte già sperimentata dallo stesso PD.
E, sebbene, si predichi il contrario, mentre gli amici di AN restano coesi e voteranno compatti per i loro candidati nelle elezioni europee e locali, e analoghi appelli sono lanciati per e tra i liberali delle diverse confessioni, noi continuiamo a pensare che sarebbe ora di ricostruire una presenza forte e non effimera della componente di ispirazione democratico cristiana.
Senza volontà egemoniche, pressoché impossibili dopo oltre quindici anni di dominio di altre correnti politico culturali, ma nella consapevolezza che, assunta la carta dei valori del PPE a fondamento del Pdl, un ruolo decisivo spetta a coloro che di quei principi sono sempre stati fedeli sostenitori, facciamo ancora una volta appello a Formigoni, Giovanardi, Rotondi, Pisanu, Fitto, Scajola, affinché con i laici di comun sentire, da Sacconi ad Alemanno, da Alfano a Pera, si possano creare le condizioni di una maggiore visibilità al centro e nella periferia.



    Radioformigoni, 30 Marzo 2009
 

Riflessioni dopo il congresso del PdL

Dopo quindici anni dalla sua “discesa in campo”, a meno di sedici mesi dal discorso del predellino, quella che Gianfranco Fini ha chiamato la “lucida follia” del Cavaliere è diventata realtà. Si è avverato il disegno che aveva intuito Pinuccio Tatarella e che Berlusconi aveva avviato con il suo ormai storico discorso della discesa in campo nel gennaio del 1994. Ed ora, per dirla con la metafora evocata nella lettera al congresso di don Gianni Baget Bozzo, quello che “era come il calabrone che, secondo le leggi della statica, non dovrebbe volare”, “ il brutto anatroccolo è diventato un’ aquila reale”.

E’ nato il partito del Popolo della libertà destinato a diventare, e già lo è realmente, il maggiore partito dei moderati in Italia e in Europa, pilastro del PPE alla cui Carta dei Valori tutti si sono impegnati ad ispirare la propria azione.

E’ il punto di arrivo di un cammino durato quindici anni che vede fondersi insieme le esperienze politiche di Forza Italia e di AN e con loro quelle di gruppi minori, ma con non minore storia e cultura politica, tutti concorrenti con pari dignità alla formazione del nuovo partito

Partito destinato, per dirla con Sacconi, a sintetizzare le antinomie che hanno caratterizzato lo scorso secolo e l’intera Prima Repubblica; casa comune di laici e cattolici, di credenti e non credenti che assumono come termine di riferimento, proprio, la carta dei valori del PPE.

Unanime il riconoscimento della leadership berlusconiana al cui impegno e al cui potere carismatico e popolare, per usare note categorie weberiane, si deve in larghissima parte la realizzazione di questo sogno. Così come unanime è la volontà di costruire un partito in cui le diverse antiche appartenenze dovranno costituire il patrimonio storico culturale di ciascuno, con l’impegno di tutti,tuttavia, di procedere verso un’integrazione sempre più sostanziale. Un’autentica fusione a caldo che faccia scomparire le antiche divisioni tra democristiani e missini, tra socialisti e liberali, tra repubblicani e socialdemocratici, per ritrovarsi uniti sotto la stessa bandiera del Popolo della libertà.

Un partito che nei sondaggi è già al 44% del consenso elettorale e che punta, coma ha detto Berlusconi, al 51 %, ossia alla maggioranza assoluta degli elettori italiani.

Se Fini aveva indicato nei tre patti, tra le generazioni dei padri e dei figli, tra il capitale e il lavoro, tra il Nord e il Sud, gli obiettivi a medio lungo termine su cui impegnare il partito, Berlusconi nel suo intervento finale di domenica, dopo la sua elezione per acclamazione a Presidente del nuovo partito, ha precisato gli obiettivi che stanno davanti al Pdl:

a) verso il governo, che dovrà operare,come già sta attivamente operando, per far uscire l’Italia dalla grave crisi economica che ha sconvolto il mondo;

b) verso la maggioranza parlamentare, impegnata a realizzare, possibilmente in accordo con l’opposizione, le necessarie e non più rinviabili riforme istituzionali indispensabili per garantire l’ammodernamento del Paese;

c) verso il Partito, che dovrà diventare ed è già il partito degli italiani, e nel quale tutte le diverse sensibilità e culture politiche che hanno concorso alla sua realizzazione e che concorreranno al suo sviluppo avranno piena cittadinanza e garanzia di una partecipazione libera e democratica, con ampia discussione interna senza che ciò possa far nascere le antiche derive correntiste.

Credo che, al di là di questa fase da statu nascenti in cui si è dovuto necessariamente organizzare con prudenza ed equilibrio la composizione tra le diverse classi dirigenti dei partiti che hanno concorso alla formazione del popolo della libertà, e in attesa di conoscere analiticamente le nuove norme statutarie, frutto di una certosina elaborazione di un vasto gruppo di lavoro, per la verità riunitosi assai di rado, e di fatto licenziate solo nella serata di sabato 28 marzo, il tema della democrazia interna e delle regole democratiche per la selezione della classe dirigente, si porrà immediatamente. Non a caso è stato il tema centrale dell’intervento assai applaudito di Roberto Formigoni al congresso.

Un tema che si porrà, soprattutto, a partire dalle realtà territoriali dove i tradizionali “unti dal signore”, ancorché rinnovati con il bilancino del 70/30, se pensassero di muoversi come elefanti nella cristalleria, come in non pochi casi è successo in passato, credo che si troverebbero di fronte a pericolosi fenomeni di disimpegno e di abbandono. E, nel frattempo, che proceda speditamente la fusione calda tra le diverse culture di provenienza per garantire al partito la massima unità.



    Radioformigoni, 23 Marzo 2009
 

Peccato che non ci sia l'UDC

Sarò fissato, però questa silente entrata degli ex DC nel Pdl mi lascia assai perplesso.
Mentre salutiamo con piacere la confluenza del partito di Gianfranco Fini nella grande famiglia del PPE, ci rattrista non vedere con noi tutti gli amici dell’UDC con cui pure si era compiuto un lungo tratto di strada.

Sdoganata la destra, rappresentata nel dopoguerra italiano dal MSI, grazie a Berlusconi, con la scelta di Fini pronunciata l’anno scorso a Parigi di entrare nel PPE, giunti all’ultimo miglio di un percorso destinato a segnare profondamente la vita politica italiana, Casini e i suoi si sono intestarditi nella politica dello splendido isolamento.

Poteva essere l’occasione unica e forse irripetibile per mettere insieme le tradizioni storiche del riformismo liberale, socialista e cristiano sociale, all’interno delle quali la componente di ispirazione democratico cristiana ha il diritto di una sua legittima rappresentanza, ed, invece, quel testimone è rimasto nelle mani dei soli Formigoni, Rotondi, Fitto, Giovanardi e Pisanu con i quali sarà nostro compito continuare un’azione mai interrotta di testimonianza politica e culturale.

Certo in questi giorni sono sugli scudi gli eredi di Almirante e dei “berluscones” della prima e ultima ora che sembrano farla da padroni nel nuovo partito che nascerà a Roma alla fine della settimana.

Noi tuttavia continuiamo a credere e forse sarà pure l’ultima speranza, che ai cattolici ex DC, resti ancora un tempo nel quale concorrere con altri amici a sviluppare coerenti politiche ispirate al valore essenziale del primato della persona, della sussidiarietà e della solidarietà. Ossia ai pilastri del pensiero della dottrina sociale della Chiesa che trova oggi numerosi sostenitori anche da parte di alcuni campioni del pensiero liberale, come Pera e Quagliariello, del riformismo socialista, come Sacconi e Tremonti e con gli stessi esponenti della destra nazionale, come Alemanno e Gasparri.

Convinti che, come anche lo scrittore Mario Vargas Llosa ha evidenziato nella recente intervista al Corriere della sera, un partito del 40%, come già lo fu la DC, non possa essere guidato dal solo potere carismatico del leader, e preoccupati per quello che potrà essere il futuro di questo contenitore che raccoglie alcune tra le migliori tradizioni politiche della nostra storia, vogliamo batterci affinché anche la componente di ispirazione democratico cristiana non risulti ininfluente e subalterna.

Già a Riva del Garda al convegno di Reteitalia abbiamo ritrovato la verve del nostro campione, Roberto Formigoni, e con lui una forte sintonia con i nuovi giovani, Alfano, Fitto, la Gelmini, Sacconi, Frattini e Alemanno. Questa è secondo noi la squadra destinata a segnare profondamente il futuro del Popolo della libertà.

Come sarebbe bello se Casini e gli amici dell’UDC, con il loro leader, presidente dell’Internazionale democristiana, sapessero cogliere questa occasione per ritrovare le ragioni di una politica sempre più nazionale e sempre più europea che si dovrà inevitabilmente declinare nel segno della comune appartenenza al PPE, e, dunque, necessariamente e coerentemente alleata se non proprio coincidente con quella del Pdl.

Guai se come per la manifestazione del dicembre 2006 l’UDC scegliesse ancora una volta la strada dell’abbandono solipsistico e della fuga in terra siciliana, dove, peraltro, sembrano venir meno le tradizionali certezze garantite dai Mannino e dai Cuffaro.

Da vecchio “DC non pentito” mi sento di rivolgere questo fraterno appello ad amici con cui si sono condotte in passato tante e buone battaglie politiche. Torniamo insieme per dare più voce ad una tradizione politica di cui non si può solo andare fieri per il passato, ma declinare costruttivamente per un futuro che ancora ci appartiene.
clicca qui per ascoltare la nota dalla voce di Don Chisciotte



    Radioformigoni, 16 Marzo 2009
 

Dopo il convegno di Riva del Garda

Il convegno dei gruppo liberale degli Onn. Dalla Vedova, Martino e Quagliariello e la tre giorni di Rete Italia a Riva del Garda hanno caratterizzato il fine settimana scorso.
Seguirà il congresso di chiusura dell’esperienza di Alleanza Nazionale alla fine di questa settimana, pochi giorni prima della celebrazione del congresso di fondazione del Partito del Popolo della libertà il 27-28 e 29 Marzo p.v.

Sono tappe di avvicinamento a un traguardo che segnerà una svolta storica della politica italiana, con la formazione del più grande partito dei moderati italiani, sezione italiana del PPE, dopo l’esperienza della Democrazia cristiana.

Da parte di tutti si pone l’accento sulla necessità di non procedere ad una fusione a freddo delle diverse componenti dalle tradizioni e storie politiche diverse e talora segnate da forti contrapposizioni, quanto piuttosto cercare di realizzare una sintesi delle antinomie che hanno caratterizzato larga parte della storia politica italiana della seconda metà del secolo scorso.

A Riva del Garda, di fronte ad una platea di oltre 1200 persone che hanno seguito con intensa partecipazione lo svolgersi di un dibattito avviato dalle riflessioni del Card.Angelo Scola su “ Chiesa e Politica oggi: spunti per un giudizio”, si sono succeduti ministri, parlamentari e studiosi sul tema generale del convegno: “Cattolici e laici per un Popolo della Libertà”.

Il tema intendeva sviluppare una recente indicazione di Papa Benedetto XVI secondo cui: “…il mondo ….necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati…”
E una nuova generazione di laici impegnati si è potuta conoscere da vicino, con la gradita sorpresa di riscontrare rilevanti convergenze tra persone provenienti dall’esperienza del riformismo socialista, come i ministri Sacconi e Frattini e persone di diretta, seppur diversa, formazione cattolica, quali la Gelmini, Fitto, Alfano e Alemanno, tutti concordi nel ritrovarsi uniti nella condivisione della carta dei valori del Partito Popolare Europeo, come più volte sottolineato da Roberto Formigoni.

A distanza di due anni e mezzo dalla nascita di Rete Italia molti si sono chiesti, durante i lavori di gruppo e negli interventi in assemblea plenaria del sabato pomeriggio, se e quale natura e funzione debba oggi essere attribuita a questa realtà associativa, nel momento in cui nasce il Popolo della libertà, partito presidenzialista e in cui, secondo quanto indicato dal Cavaliere, non devono nascere correnti e gruppi di potere consolidati.

Netta è stata l’indicazione di Formigoni e di Luppi nel connotare Rete Italia non come una corrente all’interno della variegata nuova realtà che si andrà a costituire nel nuovo partito, quanto piuttosto come il frutto di una più alta ambizione: quella di diventare la felice esperienza di uno strumento e di un metodo che consenta l’ elaborazione e il confronto in campo aperto di proposte e soluzioni ai grandi temi culturali, economici, politici e sociali emergenti nella società e da ricondurre a sintesi nel partito. Non,dunque, un partito in piccolo, una conventicola di cattolici rinchiusi in se stessi, ma lo strumento in grado di portare dentro al Pdl le idee e le proposte che emergono dalla realtà complessiva della Rete.

Rete Italia è stata, sin qui, il luogo prezioso di elaborazione e di confronto politico e culturale che si intende conservare e sviluppare confermando, per dirla con Formigoni, che “ non ci rassegneremo facilmente alla possibilità che scompaiano altri luoghi nel partito simili a questo e con cui poterci confrontare”. Insomma, Rete Italia non può essere vissuta come un’appartenenza ad una componente guidata verticisticamente, ma come un’esperienza di amici che intendono verificare, nelle diverse realtà territoriali, in piena autonomia e senza direttive preordinate, progetti e soluzioni politiche e amministrative, sempre aperta a quanti sono interessati al dialogo fecondo e costruttivo. Esperienze locali e territoriali da ricondurre in rete per una reciproca conoscenza, quale frutto di un metodo di lavoro di autentica partecipazione democratica.

L’ambizione che ci sorregge è quella di ritrovare tante sedi di elaborazione aperte al dialogo e al confronto, all’approfondimento e all’elaborazione di proposte politico-programmatiche da far rifluire dentro il Pdl. Il tutto caratterizzato da forti autonomie decisionali territoriali, anche se sorrette dalla sintesi politica che non potrà che essere unitaria e nazionale, da declinare nel rispetto dei principi della carta dei valori del PPE. Valori che si racchiudono in uno essenziale, al quale tutti hanno fatto riferimento nei loro interventi: la centralità della persona umana.

Forte e chiara l’indicazione di Formigoni, peraltro ribadita dall’intervento in diretta telefonica del presidente Silvio Berlusconi di domenica mattina, della necessità di metodi di selezione democratica della classe dirigente a tutti i livelli, nella consapevolezza che le élites dirigenti nascono e si impongono solo se e quando sono il risultato di scelte democratiche.

Ci può essere un tempo, come quello attuale della fondazione del nuovo partito, in cui il rinvio dell’esercizio della democrazia in favore di scelte dirigistiche dall’alto trova oggettive necessità, ma questo non può che essere un tempo breve e non a termine indefinito e senza certezze.
Questo è il messaggio che da Riva del Garda è stato lanciato alla vigilia del congresso di fondazione del Pdl e che gli amici della Rete sempre più diffusa nelle diverse province italiane intendono sviluppare con spirito di totale apertura con tutti coloro, cattolici e laici che intendono riconoscersi nel Popolo della Libertà.
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    Radioformigoni, 9 Marzo 2009
 

Cattolici e laici per un popolo della libertà

E’ un effluvio di dichiarazioni quotidiane alla vigilia del congresso di fondazione del Partito del Popolo della Libertà che si terrà a Roma dal 27 al 29 marzo p.v.
Aveva cominciato l’On Denis Verdini dichiarando con un’intervista a “Il Tempo” nella quale sosteneva che :” Vogliamo creare un partito moderno. In passato c'erano le sezioni come luoghi d'incontro e di discussione politica, io penso invece a Internet, Facebook, a siti dove scambiarsi opinioni, inviare al partito suggerimento, proposte.
Per chi vuole fare politica, la sezione non sarà più l'unico punto di riferimento come in passato”. E così continuava: “Avremo tante sezioni virtuali - Questo non vuol dire che non ci saranno sedi del Pdl sul territorio, ma siccome saremo un partito nuovo, dobbiamo inserire elementi di modernità e tali da allargare il più possibile la partecipazione. Ogni persona deve sentirsi libera di mandare un parere, un messaggio, sapendo che dall'altra parte c'è un partito che ascolta. E non solo. Penso anche a un giornale, a una tv del Pdl”. In verità abbiamo inviato alcune proposte e la richiesta di un incontro all’On Verdini, senza aver ricevuto alcuna risposta.
Era seguita l’ennesima stucchevole polemica tra AN e FI, interpretata da La Russa, Quagliariello, Cicchitto, Bondi e Ronchi, incentrata sul ruolo di Berlusconi e di Fini, monarchia o diarchia e su quello dei coordinatori bini o trini e sulle loro eventuali incompatibilità con i ruoli ministeriali.
Insomma un affare esclusivo tra i due partiti sin qui di maggiore peso elettorale, con gli ex DC pressoché silenti e del tutto ininfluenti, se si eccettua quella voce intelligente e solitaria del ministro Gianfranco Rotondi.
E se Cicchitto tentava di risolvere il caso con AN, con un’intervista a “ Il Messaggero” sostenendo che : “Il nascente Pdl avrà in Silvio Berlusconi il Presidente di un partito "leaderistico-presidenziale", in vista del Presidenzialismo che "nelle sue varie forme è uno degli obiettivi di riforma istituzionale su cui FI e An hanno sviluppato la loro elaborazione", Rotondi si affrettava a dichiarare che: ''Il problema del Pdl non e' il modo in cui si elegge Berlusconi o il destino di Fini, bensi' la sua natura. E' un partito di ispirazione cristiana e, dunque, degno di entrare tra i protagonisti e non tra gli associati del Ppe? E la sua ispirazione cristiana e' quella laica di Sturzo e De Gasperi o quella clerico-reazionaria? Questo mi interessa del PdL, non i destini delle persone anche quando sono grandi amici come Fini e Berlusconi''.
Si aggiunga che le ultime rilevazioni sugli orientamenti elettorali per le prossime europee danno in caduta libera il PD che perderebbe tanto a sinistra quanto sul versante IdV e UDC e in lieve flessione anche il Pdl, a vantaggio soprattutto della Lega. Si dirà: normale risultato del sistema proporzionale, per il quale non sempre uno più uno fa due. In realtà, se non si porrà mano quanto prima alla riforma della legge elettorale vigente o con un accordo parlamentare o con il referendum non più rinviabile, la situazione, stante anche la perdurante crisi economica con sempre più evidenti ripercussioni sociali, non potrà che rapidamente evolvere.
E, non a caso, sempre Rotondi nei giorni scorsi ha evidenziato maliziosamente che:
” il tema del giorno e' presentare il Pdl agli italiani: le alleanze verranno dopo e l'Udc, come noi, e' nel Ppe. Su questa strada e' possibile una nuova unita' dei cattolici nella vita politica italiana".
Esiste, infatti, una forte sottovalutazione del significato della nascita di un nuovo partito quale sezione italiana del Partito Popolare europeo. Da alcuni, infatti, il PPE è considerato un semplice contenitore di diverse istanze e provenienze liberal conservatrici, mentre per tutti noi è il riferimento ad una tradizione politica che ha visto nei grandi democratici cristiani De Gasperi, Adenauer, Schuman, i fondatori di quell’esperienza. Un approdo al quale non a caso sembrerebbe aspirare lo stesso On Fini, ragione, peraltro, della nostra stessa adesione al nuovo partito.
Non è un caso se il tema che discuteremo nei prossimi giorni a Riva del Garda nell’annuale incontro di reteitalia, sviluppando l’indicazione pastorale di Papa Benedetto XVI: “…il mondo….necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati…” sarà proprio quello dei: “ Cattolici e laici per un popolo della libertà”.
Si tratterà di capire quale ruolo nel nuovo partito avranno i cattolici e, tra questi, non ultimi quelli di netta tradizione democratico cristiana, nel nuovo partito e con quali regole potranno apportare il loro contributo in condizioni di effettiva partecipazione democratica.
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    Radioformigoni, 2 Marzo 2009
 

Il bipolarismo imperfetto

Il mio vecchio professore di Trento, Giorgio Galli, nel 1967, scrisse quel suo bel libro, diventato un best seller della cultura politica italiana: “Il bipartitismo imperfetto- Comunisti e democristiani in Italia”.

Era lo sviluppo logico e storico politico di quell’anomala situazione italiana che Alberto Ronchey dalle colonne del “Corriere della sera”il 30 marzo 1979 sintetizzerà nel cosiddetto fattore K (” La sinistra e il fattore K”, dove K stava per “Kommunizm”, in lingua russa), ossia nell’improbabilità, se non impossibilità, che il Partito comunista potesse giungere al potere nel nostro Paese, destinato così a vivere sotto la perenne egemonia della DC e con i comunisti che si auguravano di “ non morire democristiani”.

Dopo il crollo del muro di Berlino, alla Bolognina, Achille Occhetto tentò di traghettare il PCI fuori delle secche in cui era finito con la fine dell’URSS, passando dal PCI al PDS, poi DS, Ulivo ed oggi PD, senza tuttavia mai compiere quella trasformazione socialdemocratica che l’avrebbe reso veramente alternativo allo schieramento moderato secondo i canoni prevalenti politici europei.

In realtà. gli ex comunisti al governo ci arrivarono con Prodi e con D’Alema e se anche non sono morti democristiani, hanno, tuttavia, finito con lo scegliersi come leader proprio un ex democristiano, il giovane-adulto Dario Franceschini da Ferrara.

Se nella Prima Repubblica si poteva parlare e scrivere di “bipartitismo imperfetto” nel senso su indicato, oggi siamo in una situazione di “bipolarismo imperfetto.” Se prima funzionava in senso limitativo il cosiddetto “fattore K”, oggi la situazione è assai più complessa poiché la fusione a freddo tra cultura comunista e cultura delle vecchia sinistra dossettiana DC sembra non riuscire a compiersi con il risultato di un PD che non è più, nè il vecchio PCI, con il suo tradizionale retroterra sociale e culturale, né quel partito radicale di massa auspicato dai mentori della Repubblica scalfariana- debenedettiana.

Ne è uscito uno strano ircocervo privo di un solido blocco sociale, economico e culturale che si è andando progressivamente sfaldando e con l’aggravante di tragici errori politici che hanno finito con l’assegnare a Di Pietro il ruolo di sanguisuga permanente di un consenso elettorale in continua erosione.

Di qui la condizione della coalizione PdL-Lega necessitata a governare poiché non solo realizza, come è necessario in democrazia, il consenso maggioritario degli elettori, ma anche perché è l’unica coalizione fondata su un blocco sociale, culturale, economico e politico sufficientemente omogeneo e solido. Insomma gli interessi e i valori su cui si fonda la politica, ogni politica, sono più omogenei nel centro-destra che a sinistra.

E’ regola generale della politica che i partiti si organizzano al proprio interno con regole di funzionamento strettamente correlate al tipo di sistema elettorale esistente. E’ derivata da questa elementare constatazione, mattarellum in corso di gestazione, la scelta del Cavaliere nel 1993-94 di scegliere la forma del partito-azienda al posto del partito-società al quale pure era invitato ad orientarsi da parte di alcuni autorevoli consigliori politici; così come è in funzione dell’esistente porcellum, che i partiti, tutti i partiti, hanno accentuato progressivamente al loro interno il carattere cesaristico, con pieni poteri concentrati sui leaders.

Se con il mattarellum, la residua quota del 25 % proporzionale permetteva una assai ridotta possibilità di scelta da parte degli elettori, con il porcellum, il 100% della selezione dei candidati e, dunque, degli eletti, viene decisa senza alcuna procedura democratica dai vertici di partito e la possibilità di scelta degli elettori è del tutto annullata.

Con le prossime elezioni europee la musica cambia, o, meglio, si torna all’antico di sempre: proporzionale con uno sbarramento al 4% e voto di preferenza. Lì si misurerà la forza effettiva di ogni formazione politica e da lì si muoveranno le carte della nuova partita.

Referendum sulla legge elettorale nella stessa data (6 e 7 Giugno) o, fatto slittare verso una più estiva, con il desiderio di alcuni di puntare a far saltare il quorum, sarà l’altro passaggio politico destinato a mutare la natura stessa del nostro sistema politico-istituzionale.

Per adesso si andrà al congresso di formazione del PdL senza alcuna certezza di cosa accadrà dopo e, quindi, giocoforza con un sistema di regole interne provvisorio, da risistemare in funzione della nuova legge elettorale che o dal referendum o da un accordo parlamentare si finirà con l’adottare.
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    Radioformigoni, 23 Febbraio 2009
 

E dopo Veltroni che ne sarà del bipolarismo?

Cinque sconfitte consecutive: politiche dell’aprile 2008, amministrative di Roma, regionali del Friuli V.Giulia e cappotto alle amministrative siciliane, regionali di Abruzzo e, adesso, la più cocente: le regionali della Sardegna.

Avevamo scritto che se avesse vinto Soru, avrebbe vinto il padrone di Tiscali e dell’Unità e Veltroni si sarebbe ritrovato un concorrente in più alla segreteria del PD; se avesse perso Soru, come di fatto è avvenuto e in maniera clamorosa, avrebbe perso Veltroni.

Si pensava che avrebbe resistito anche alla quinta sconfitta, ma dopo l’annuncio alla vigilia del voto, della discesa in campo per la segreteria del partito dell’alfiere di Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Veltroni non ha retto e ha gettato la spugna.

Un fallimento clamoroso della sua strategia fondata sulla “vocazione maggioritaria”, smentita dopo le promesse del Lingotto, con l’innaturale collegamento con quell’Italia dei valori del leader di Montenero di Bisaccia, che gli ha succhiato il sangue e, dopo la Sardegna, ha la sfrontatezza di dichiararsi l’unica vera opposizione al Cavaliere.

Risultato: Veltroni che sognava Obama ha partorito Di Pietro. E per il PD si è aperta una fase drammatica in cui è in gioco la sua stessa sopravvivenza come partito unitario. Di possibile 8 settembre ha parlato, infatti, l’On Enrico Letta.

Convocata d’urgenza l’assemblea nazionale, Sabato 21 febbraio si è puntato sullo stagionato giovane Dario Franceschini, il Caronte di Ferrara, che dovrebbe traghettare il Partito, attraverso lo Stige delle elezioni europee ed amministrative di Giugno, fino al congresso.

Grande è la confusione adesso sotto il cielo del PD.

Attenti, tuttavia, a non pensare che la crisi drammatica in cui è caduta la più grande formazione politica dell’opposizione si risolva in una polizza assicurativa per la maggioranza e, tanto meno, un bene per il Paese.

Senza un’opposizione in grado di far valere le ragioni dell’altra Italia, la nostra democrazia sarebbe monca. Oggi è tempo di riflessione rigorosa in entrambi gli schieramenti, al fine di capire se e su quale strada ci si intende incamminare a partire dal voto per le europee, e, soprattutto, alla luce della difficilissima situazione economica e finanziaria che caratterizza questa crisi di sistema a livello planetario.

Con Berlusconi e Veltroni si era avviata una strategia politica per l’Italia all’insegna del bipolarismo, strategia largamente sostenuta dagli elettori nelle elezioni politiche dell’Aprile scorso. Se viene meno il PD, seppure restino intatte le ragioni della costruzione del Pdl, sezione italiana del PPE, il destino bipolare italiano dipenderà da cosa resterà del sogno veltroniano e da come ci si regolerà, in materia di nuova legge elettorale, pendente il referendum, sulla proposta Segni-Guzzetta.

Sono già partite le sirene del nuovo centro che si dovrebbe alleare con una nuova sinistra più o meno unita, con l’esclusione della sola improponibile IdV. Da tempo Rutelli e Casini cinguettano alla ricerca di amorosi sensi e il fedifrago Follini ipotizza già una versione italiana del partito Kadima, un grande centro che dovrebbe riunire, dopo una prevista implosione del PD, ex margheritini e UDC.

Proposta ragionevole, se si avessero in Parlamento i voti per una legge elettorale alla tedesca in grado di evitare il passaggio referendario. Ma quei voti dove andarli a trovare, considerato le trasversalità che su quel tema ci sono tra i diversi schieramenti in campo? A Todi al convegno di Liberal sono iniziate le manovre di avvicinamento, anche se il tema è rimasto sullo sfondo.

Questo, in realtà, è e rimane lo snodo politico fondamentale su cui eserciteremo, come da molti mesi stiamo facendo, il massimo di attenzione, poiché dipenderà da come le diverse forze politiche si orienteranno a favore o contro una nuova legge elettorale alternativa al porcellum e al referendum, che si saprà se l’idea di un’Italia bipolare era solo un sogno veltrusconiano che muore con l’implosione del PD, con il ritorno ad un pluripartitismo inevitabilmente oggi ancor più confuso ed incerto di quello della Prima Repubblica.
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    Radioformigoni, 23 Febbraio 2009
 

E dopo Veltroni che ne sarà del bipolarismo?

Cinque sconfitte consecutive: politiche dell’aprile 2008, amministrative di Roma, regionali del Friuli V.Giulia e cappotto alle amministrative siciliane, regionali di Abruzzo e, adesso, la più cocente: le regionali della Sardegna.

Avevamo scritto che se avesse vinto Soru, avrebbe vinto il padrone di Tiscali e dell’Unità e Veltroni si sarebbe ritrovato un concorrente in più alla segreteria del PD; se avesse perso Soru, come di fatto è avvenuto e in maniera clamorosa, avrebbe perso Veltroni.

Si pensava che avrebbe resistito anche alla quinta sconfitta, ma dopo l’annuncio alla vigilia del voto, della discesa in campo per la segreteria del partito dell’alfiere di Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Veltroni non ha retto e ha gettato la spugna.

Un fallimento clamoroso della sua strategia fondata sulla “vocazione maggioritaria”, smentita dopo le promesse del Lingotto, con l’innaturale collegamento con quell’Italia dei valori del leader di Montenero di Bisaccia, che gli ha succhiato il sangue e, dopo la Sardegna, ha la sfrontatezza di dichiararsi l’unica vera opposizione al Cavaliere.

Risultato: Veltroni che sognava Obama ha partorito Di Pietro. E per il PD si è aperta una fase drammatica in cui è in gioco la sua stessa sopravvivenza come partito unitario. Di possibile 8 settembre ha parlato, infatti, l’On Enrico Letta.

Convocata d’urgenza l’assemblea nazionale, Sabato 21 febbraio si è puntato sullo stagionato giovane Dario Franceschini, il Caronte di Ferrara, che dovrebbe traghettare il Partito, attraverso lo Stige delle elezioni europee ed amministrative di Giugno, fino al congresso.

Grande è la confusione adesso sotto il cielo del PD.

Attenti, tuttavia, a non pensare che la crisi drammatica in cui è caduta la più grande formazione politica dell’opposizione si risolva in una polizza assicurativa per la maggioranza e, tanto meno, un bene per il Paese.

Senza un’opposizione in grado di far valere le ragioni dell’altra Italia, la nostra democrazia sarebbe monca. Oggi è tempo di riflessione rigorosa in entrambi gli schieramenti, al fine di capire se e su quale strada ci si intende incamminare a partire dal voto per le europee, e, soprattutto, alla luce della difficilissima situazione economica e finanziaria che caratterizza questa crisi di sistema a livello planetario.

Con Berlusconi e Veltroni si era avviata una strategia politica per l’Italia all’insegna del bipolarismo, strategia largamente sostenuta dagli elettori nelle elezioni politiche dell’Aprile scorso. Se viene meno il PD, seppure restino intatte le ragioni della costruzione del Pdl, sezione italiana del PPE, il destino bipolare italiano dipenderà da cosa resterà del sogno veltroniano e da come ci si regolerà, in materia di nuova legge elettorale, pendente il referendum, sulla proposta Segni-Guzzetta.

Sono già partite le sirene del nuovo centro che si dovrebbe alleare con una nuova sinistra più o meno unita, con l’esclusione della sola improponibile IdV. Da tempo Rutelli e Casini cinguettano alla ricerca di amorosi sensi e il fedifrago Follini ipotizza già una versione italiana del partito Kadima, un grande centro che dovrebbe riunire, dopo una prevista implosione del PD, ex margheritini e UDC.

Proposta ragionevole, se si avessero in Parlamento i voti per una legge elettorale alla tedesca in grado di evitare il passaggio referendario. Ma quei voti dove andarli a trovare, considerato le trasversalità che su quel tema ci sono tra i diversi schieramenti in campo? A Todi al convegno di Liberal sono iniziate le manovre di avvicinamento, anche se il tema è rimasto sullo sfondo.

Questo, in realtà, è e rimane lo snodo politico fondamentale su cui eserciteremo, come da molti mesi stiamo facendo, il massimo di attenzione, poiché dipenderà da come le diverse forze politiche si orienteranno a favore o contro una nuova legge elettorale alternativa al porcellum e al referendum, che si saprà se l’idea di un’Italia bipolare era solo un sogno veltrusconiano che muore con l’implosione del PD, con il ritorno ad un pluripartitismo inevitabilmente oggi ancor più confuso ed incerto di quello della Prima Repubblica.
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    Radioformigoni, 16 Febbraio 2009
 

In attesa del risultato in Sardegna ripensiamo al biennio prodiano

Ho completato in questi giorni l’ultimo mio libro su quello che ho chiamato l’infausto biennio prodiano (2006-2008). Una sorta di “ tutto Prodi minuto per minuto” con cui analizzo il caso, veramente unico nella storia politica dell’Italia, di un governo nato da un risicato risultato elettorale e caduto rovinosamente dopo meno di 24 mesi dalla sua formazione.
E’ la cronaca dell’ascesa, del difficile cammino e della caduta di un progetto politico e di una strategia debole poiché tenuta insieme soprattutto dall’avversione, sino all’odio, contro il Cavaliere; del tentativo rivelatosi impossibile di far convivere in una stessa coalizione partiti uniti nel contrasto a Berlusconi, ma divisi sino all’impotenza e al harakiri sul piano programmatico e della tenuta parlamentare. Ed è anche la storia del difficile e doloroso travaglio che hanno vissuto i partiti che, a diverso titolo, partecipavano alle due coalizioni in cui, grazie al mattarellum, si erano organizzati i due poli dello schieramento politico italiano.
Speravamo di esserne usciti dopo il discorso del Lingotto di Veltroni e la speranza dell’avvio di un bipolarismo che pure era stato indicato dal risultato elettorale del 13 e 14 aprile 2008.
Ed, invece, l’infelice e controproducente alleanza del PD con l’IdV da un lato, e la crisi nella leadership veltroniana nel PD, vacillante ogni giorno di più, con candidati alternativi annunciati, come Bersani e Letta, che attendono solo il segnale del via alle operazioni di ricambio, ha reso tutto più complicato.
Una complicazione politica aggravata da una crisi di sistema a livello planetario che sta creando una situazione economica e finanziaria caratterizzata da debiti fuori controllo causati dai cosiddetti “titoli tossici”, stimati dal ministro Tremonti, “spanno-metricamente”, di un valore quasi 12 volte più elevato dell’intero PIL mondiale ( qualcosa come 25-20 trilioni, ossia milioni di miliardi di dollari)
Le ricadute sul piano dell’economia reale non tarderanno a farsi sentire, anzi già pesantemente incidono in tutto il mondo. Se il PD finalmente ha mostrato le sue
carte con i sette punti proposti per uscire dalla crisi, il governo, alle misure già previste dalla legge finanziaria e dal decreto anticrisi appena votato dal Parlamento, con l’accordo raggiunto Venerdì scorso con le Regioni in materia di ammortizzatori sociali, mette in gioco 8 miliardi di euro (5,5 dello Sato e 2,5 delle Regioni) per aiutare i lavoratori che saranno ridotti alla cassa integrazione. Certo, una boccata di ossigeno necessaria e indispensabile, ma guai se ci si limitasse a distribuire risorse senza contropartite produttive. Abbiamo apprezzato la non reiterazione dell’esclusivo eterno aiuto alla FIAT, di cui pure riconosciamo la valenza economica, politica e sociale per la filiera indotta che quel comparto produttivo comporta. Non possiamo, tuttavia, che auspicare misure di facilitazioni del credito alle nostre piccole e medie imprese che, soprattutto nei distretti industriali del centro-Nord, ed anche in alcune significative realtà meridionali, reclamano il massimo di attenzione. Sono queste, infatti, le risorse strategiche più importanti del nostro tessuto economico, così come sempre più strategici dovranno diventare gli interventi nel settore della ricerca e dell’innovazione senza lo sviluppo permanente dei quali, il Paese, ancora invitato a partecipare, e quest’anno a presiedere le sedute del G7-G8, rischierebbe di restarne escluso.
In attesa dei risultati delle elezioni regionali della Sardegna in corso di spoglio, e soddisfatti per la decisione dell’On Mastella di riprendere l’impegno politico con il PdL, coerentemente con la sua appartenenza da sempre al PPE, sin dalle prossime europee, premessa di assai prossimi possibili cambiamenti nella guida politica della Campania e di Napoli, rinviamo alla prossima settimana un’analisi più attenta del difficile parto del nuovo PdL, della situazione politica e delle sue prospettive a breve-medio termine.
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    Radioformigoni, 2 Febbraio 2009
 

Due Tappe Decisive

Scelta della nuova legge elettorale per le europee ed elezioni per il rinnovo del consiglio regionale sardo. Sono queste due tappe importanti per capire dove stiamo andando nella politica italiana.

Raggiunto un compromesso assai al ribasso sulla legge elettorale per le elezioni europee, costatiamo una crescente difficoltà di Veltroni nel tenere unito il suo partito nella difesa della soglia di sbarramento al 4 % con il mantenimento degli attuali collegi assai vasti e delle tre preferenze.

Il risultato immediato che si otterrà sarà: l’aumento vertiginoso delle spese da parte dei candidati rispetto a quella dei partiti e una situazione in cui, di fatto, non si facilita il bipolarismo e si rende solo problematica la continuazione stabile delle attuali o delle auspicate future alleanze.

Da un lato, si dovrà verificare il grado di tenuta del PD, nel momento in cui la soglia ridotta al 4%, potrebbe non escludere la possibilità di un’aggregazione a sinistra delle componenti più radicali, con il risultato che, senza facilitare l’alleanza del PD a sinistra, come è negli auspici dei dalemiani e degli amici di Prodi, l’unico effetto sarebbe il definitivo affossamento di quella strategia dell’autosufficienza su cui si era costruita la nuova leadership veltroniana.

Dall’altro, sarà essenziale valutare il risultato cui potrà giungere l’Italia dei Valori di Tonino di Pietro, dopo la lunga marcia di sfiancamento e progressiva erosione dei consensi sul fronte giustizialista e del falso moralismo a danno del PD, per determinare i destini della leadership veltroniana nel Partito democratico.

Una leadership che potrebbe essere messa a dura prova assai prima, dal risultato delle prossime vicinissime elezioni sarde. Se perde Soru, sono già pronti Bersani e Letta per la resa dei conti anticipata. Se vince Soru, con i corifei della sua Unità, di cui l’altro giornale del PD, Europa, denuncia la progressiva deriva filodipietrista, ai due contendenti emiliani alla leadership veltroniana, si aggiungerebbe quella minacciosa di quel “pescecane travestito da spigola”, dell’industriale sardo, così come è stato descritto da chi lo conosce bene: Giovanni Valentini, della scuderia debenedettiana, in una recentissima intervista al giornale dell’odiato cavaliere.

Peraltro, anche per il Pdl la situazione non è affatto tranquilla. Abbandonato il progetto di una legge elettorale per le europee effettivamente selettiva con lo sbarramento al 5% e l’annullamento assurdo delle preferenze, la vera partita che si giocherà, specialmente al Nord, nelle due regioni strategiche della Lombardia e del Veneto, sarà quella con la Lega.Tutti i sondaggi la danno in forte crescita, sia nella terra del “Leon che magna el terron”, sia in quella lombarda.

Si dice che il Cavaliere voglia presentarsi alle europee capolista in tutti i collegi elettorali in cui si svolgerà la campagna elettorale. Attento presidente Berlusconi. Ci è andata bene per un soffio in Abruzzo e non sappiamo ancora come finirà in Sardegna. Dopo il voto isolano avremo elementi sufficienti per una seria valutazione. Non dimentichi cosa capitò all’allora presidente D’Alema quando si impegnò in prima persona nelle passate elezioni regionali. E mal gliene colse….

E, soprattutto, stiamo attenti, che dopo le europee, molte delle aspirazioni della Lega sinora annunciate, come in Lombardia, o assai più direttamente reclamate come nel Veneto, potrebbero diventare comprensibili e ben realistiche proposte politiche. Attenti che ad eccessiva esposizione, purtroppo ahimè, ancora necessaria per pochezza di visibilità del nuovo partito, non subentri la curva discendente verso un esito terminale di assai ardua prevedibilità. Meglio sarebbe impegnare ministri e governatori nelle sedi territoriali di loro competenza e aspettare il che fare, prima del referendum Segni-Guzzetta che, specie in assenza di accordo sulla nuova legge alternativa al porcellum,potrebbe diventare il vero spartiacque finale del passaggio dalla fragile e ballerina Seconda Repubblica alla Terza di cui si attende l’avvio.
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    Radioformigoni, 24 Gennaio 2009
 

Stavolta il Secolo d’Italia l’ha fatta fuori del vaso

Può darsi che Agostino Carrino con il suo provocatorio articolo pubblicato su “ Il Secolo d’Italia” di Venerdì 23 gennaio dal titolo: “Don Sturzo? Se lo tengano quelli del PD”, abbia necessità di “lasciare che i morti seppelliscano i morti”. Così scrive a conclusione di uno squinternato articolo su stato, società civile e politica nel pensiero di Sturzo, replicando a due articoli usciti in occasione del 90° anniversario dell’appello sturziano “ai liberi e forti” di Ceccanti su il Riformista e di Gerardo Bianco su Liberal.
Se Bianco evidenziava che sarebbe ora di ricominciare il cammino della storia del popolarismo democratico cristiano, Carrino concludeva che la destra non ha bisogno di questi , per lui, sorpassati riferimenti e che, appunto : “sarebbe bene per tutti lasciare che i morti seppeliscano i morti”. Si è avuta una prima risposta dal centro studi Tocqueville-Acton e ottima quella odierna di don Gianni Baget Bozzo su “ Il giornale”. Don Chisciotte, da parte sua, intende ribadire quanto il suo fedele amico Bonalberti ha scritto venerdì scorso replicando al giornale di AN.
Si illude il sig Carrino se pensa di entrare nel PPE prescindendo da quella che è stata l’esperienza del democratici cristiani italiani ed europei, in larga parte legata agli insegnamenti, a nostro parere, ancora quanto mai attuali, di Sturzo dell’appello ai liberi e forti e dello stesso Sturzo del dopoguerra.
Si illude soprattutto che noi si partecipi passivamente al processo di formazione del nuovo partito del popolo della libertà, pronti a ad accettare, dopo la parentesi dell’egemonia berlusconiana, il naturale passaggio del testimone ad un delfino, spesso assai imprudente ed ondivago, che, forse, lui sì, ha la necessità, mostrata con una certa frequenza, che i suoi morti seppeliscano i suoi morti e non se ne debba parlare mai più.
Siamo stati abituati ad una scuola politica che ci ha insegnato a tenere la schiena diritta e non confonderci con i ragazzi del coro. Sappia Carrino e i suoi amici, tra cui qualche nostalgico camerata, che da parte nostra, dopo il Cavaliere nulla è scontato.
Non vogliamo né aspiranti delfini, né unti del Signore. Ci teniamo la nostra tradizione politico culturale del popolarismo alla quale, semmai, sono proprio gli ex MSI che hanno deciso, con riconosciuta responsabilità, di avvicinarsi, accettando , non senza qualche ritrosia, dopo il discorso del predellino, di far parte del partito del popolo della libertà, sezione italiana del PPE.Un PPE, caro Carrino, in cui a don Luigi Sturzo è riservato un ruolo non secondario e in cui non si vuol sentir parlare né di nostalgici richiami d’antan, né di fumose fughe in avanti verso un nuovismo senza valori e senza speranza.
clicca qui per ascoltare la nota dalla voce di Don Chisciotte



    Radioformigoni, 19 Gennaio 2009
 

Simul stabunt, simul cadent

La strategia della “vocazione maggioritaria” su cui era nata la segreteria Veltroni del PD sembra ormai definitivamente abbandonata.
Quelli che al finto congresso erano stati dei finti competitori, Bersani e Letta, stanno assumendo il ruolo di possibili alternative , dopo che anche gli ex popolari di Marini e Fioroni, assieme a D’Alema, hanno preso le distanze dal leader romano. Gli ex prodiani, con Parisi e Monaco, continuano la loro solitaria battaglia di irriducibili nostalgici dell’era ulivista. Dalla Sardegna, infine, avanza il padrone de “L’Unità”, Renato Soru, sponsorizzato dall’ingegnere De Benedetti e da “La Repubblica”. E Rutelli, infine, tuba con Casini sottoscrivendo documenti di programma.

Tutto ciò comporta l’abbandono dell’idea di modificare la legge elettorale per le europee con alto sbarramento e liste bloccate che sembrava cosa fatta, con la mediazione di Franceschini sul metodo misto di tipo svedese e, se non succede qualcosa di nuovo, si andrà a votare con l’attuale legge che farà rinascere a destra e a sinistra ciò che con il porcellum e per deliberata volontà degli elettori era magicamente scomparso.

Ritorneranno partiti e partitini e riprenderà quota l’idea di ripristinare alleanze che, nei piani di D’Alema e compagni, sembrano indirizzarsi verso un recupero a sinistra e, soprattutto, in direzione della disponibilità espressa da Casini e dall’UDC a ricostruire un centro diverso dal vituperato “partito azienda” del Cavaliere. Un centro che volge lo sguardo a sinistra.

Resta l’incognita del referendum Segni-Guzzetta sul sistema elettorale per le elezioni politiche che, prima o dopo le europee, ma, in ogni caso entro il 2009, si dovrà necessariamente celebrare in assenza di un accordo sulla modifica dell’attuale porcellum.

Nella situazione di grave crisi economica che sta cominciando a mordere sul piano della tenuta delle nostre aziende e dell’occupazione, con gravi conseguenze sul piano sociale, assistiamo ad una confusa ed incerta situazione nel centro-sinistra, privo di una leadership forte e autorevole, mentre nel centro-destra, pur permanendo inossidabile la leadership di Berlusconi, si aprono crepe minacciose, foriere di imprevedibili conseguenze politiche a livello nazionale e soprattutto nelle realtà locali (comuni,province e regioni) che nei prossimi mesi saranno interessate dai rinnovi politico-amministrativi.
E’ tempo di trovare soluzioni condivise sulle regole con cui costruire il Pdl per non disperdere sciaguratamente ciò che con grande saggezza l’elettorato aveva saputo indicare: la volontà di dar vita ad un grande partito dei moderati e riformisti, sezione italiana del PPE. A questa prospettiva noi ancora crediamo.

Se si sfarina il PD e la strategia della sua vocazione maggioritaria, anche per l’azione di costante erosione compiuta ai fianchi da un’Italia dei valori, sempre meno credibile per le vicissitudini permanenti del suo leader, ma ancora in grado di incamerare consensi da quella sponda giustizialista e santoriana, anche sul fronte opposto del costituendo Pdl le cose si fanno più difficili.
Simul stabunt simul cadent: nella nuova fase apertasi con le elezioni del 13 e 14 aprile 2008, il bipolarismo emergente poteva affermarsi se i due poli, usciti nettamente maggioritari dalle urne, fossero stati in grado di consolidarsi. Altrimenti niente si tiene.
Troppo disomogenee le culture assemblate nel PD e suicida la scelta di imbarcare Di Pietro, alle condizioni di autonomia da lui imposte, per consolidare una leadership di Veltroni apparsa sin dai primi atti debole e confusa.

Ovvio che, indebolendosi quel fronte, anche nel centro-destra si stiano rinfocolando le comprensibili personali ambizioni e sorgano diverse valutazioni strategico-tattiche. Ciò accade non solo tra i contraenti del nuovo patto costitutivo di un partito le cui regole non sono ancora definite, ma, soprattutto, nei confronti di una Lega sempre più orientata ad incassare la rendita derivantele dalla sua posizione di partito di lotta e di governo. Essa le permette di condizionare e raccogliere risultati sul piano dell’esecutivo e mantenere viva la contestazione nella periferia nordista sempre più inquieta.



    Radioformigoni, 12 Gennaio 2009
 

Bipolarismo Confuso

Sembrava fatta, dopo il Lingotto e l’ultima campagna elettorale. Vocazione maggioritaria di Veltroni, dialogo con la controparte anche sul sistema elettorale.
Purtroppo Walter si alleò con Tonino Di Pietro per ragioni politicamente tuttora incomprensibili e le batoste alle elezioni politiche prima e a quelle per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Roma, della regione Sicilia e, solo poche settimane fa, in Abruzzo, rendono la situazione sempre più confusa: per il Partito Democratico e per la leadership dell’ex sindaco di Roma, sino a minacciare la stessa tenuta della difficile alleanza tra gli ex DS e la Margherita.
Le oramai quotidiane notizie di indagini giudiziarie a carico di numerose amministrazioni di centro-sinistra dal Nord al Centro e al Sud d’Italia, oltre a sfatare l’antica favola della “diversità della sinistra”, aprono una devastante questione morale destinata a spezzare l’organica alleanza che dal tempo di Mani pulite si era sviluppata tra molte procure e il Partito di Gramsci,Togliatti e Berlinguer. E giù per li rami sino ad Occhetto, e ai più giovani e meno temprati suoi allievi ed eredi.
Veltroni è ridotto a richiedere una tregua “almeno sino alle elezioni amministrative ed europee” , tentando di rinviare a dopo quel risultato il regolamento dei conti interno che potrebbe sfociare anche nel ritorno alle antiche appartenenze diessine e della Margherita. La rissa è, tuttavia, continua e giornaliera. Linda Lanzillotta è invitata “a farsi i fatti suoi “ dalla Jervolino di cui l’ex ministra lombarda aveva chiesto le dimissioni; Piero Fassino, generalmente controllore, per antica educazione sabauda e dei gesuiti, del proprio temperamento, non si trattiene e manda a quel Paese il povero on Mantini, reo di ricordargli il progressivo assorbimento strutturale dei margheritini nella soffocante struttura diossina; con il PD costretto a pagare gli affitti delle proprie sedi al vecchio tesoriere dei DS , Ugo Sposetti, che, dopo le disgrazie di Marcello Stefanini, resta il custode fedele e rigoroso dell’inviolabilità del patrimonio immobiliare dei comunisti. Massimo Cacciari, infine, ad ogni intervista replica il suo messaggio bartaliano del : “è tutto sbagliato, è tutto da rifare” a cominciare da una leadership da lui apertamente riconosciuta incapace e logora.
Insomma una situazione nella quale quella che sembrava destinata a diventare una seria prospettiva di evoluzione politica verso la normalità bipolare, se non proprio bipartitica, così come il voto di Aprile dell’anno scorso aveva saputo nettamente indicare, si sta sfilacciando ogni giorno di più in una condizione di precarietà e di anomia politica che lascia grandi spazi alle incursioni corsare di Di Pietro, “populista minoritario” secondo D’Alema, autentica spina nel fianco del PD.
Nel centro-destra, seppur continua la leadership indiscussa del Cavaliere, costretto al tour de force dall’Abruzzo alla Sardegna, a sostenere i vari candidati alla guida di quelle regioni, nel momento in cui fatica a decollare il Partito del popolo della libertà, grande invenzione del predellino di Piazza San Babila, non mancano alcune avvisaglie di smarcamenti tattici ricorrenti da parte di Fini e di alcuni dei suoi.. Sembra quasi che lo scranno della terza carica dello Stato sia contagiosa per l’ambizione di chi lo occupa, prima con Casini e adesso con Fini.
E non manca una più disinvolta ed autonoma posizione della Lega, dal caso Malpensa alla tassa d’ingresso per gli immigrati, a difesa di una strategia che punta al pieno elettorale alle prossime europee.
Non si parla più di modifica dei sistemi elettorali né per le europee, né per le elezioni politiche generali. E, d’altronde, in questa situazione con chi parlare a sinistra? E con quali proposte omogenee dalla parte di Veltroni, D’Alema e Parisi, ossia da tre leader che sostengono ipotesi di leggi elettorali del tutto diverse e contrapposte?
In tale contesto, senza un accordo per una diversa legge elettorale, si avvicina la scadenza del prossimo appuntamento referendario sulla proposta Guzzetta-Segni che rischia di diventare lo spartiacque effettivo che potrebbe segnare la fine di questa convulsa fase di passaggio verso la Terza Repubblica.
Non mancano gli appelli di un ritrovato Cesa, voce recitante del ventriloquo Casini, ai moderati del PD per costruire il nuovo centro cui adesso mira l’UDC. Risponde la rediviva pasionaria di Sinalunga, Rosy Bindi, che lei: “moderata non lo è mai stata” (ahinoi Martinazzoli quando ce la inviasti a Padova a distruggere la nostra amata Democrazia Cristiana veneta!) e che, dunque, quella proposta la respinge immediatamente al mittente.
Insomma c’è il rischio di una situazione di “tutti contro tutti” nel momento in cui il Paese avrebbe più bisogno di stabilità e di convergenza politica. Le prossime settimane e i pochi mesi che ci separano ormai dal referendum e dalle europee dovrebbero chiarire verso quali lidi sta veleggiando la nave Italia.



    5 Gennaio 2009
 

Accanimento terapeutico a Napoli

Conoscevamo per antiche frequentazioni democristiane il carattere coriaceo di Rosa Russo Jervolino, ma non pensavamo che la Nostra potesse giungere ad un tale livello di sopportazione al limite dell’accanimento terapeutico.
La ricordavamo nei vari incontri ai consigli nazionali della DC, o ai convegni annuali di St Vincent, dove l’allora allieva di Forlani, con Enzo Carra, partecipava ai riti estivi del gruppo di Forze Nuove.
In una nota del 27 gennaio 2001, alla vigilia delle elezioni amministrative di Napoli che, con l’apporto determinante di Bassolino, l’artefice del “rinascimento napoletano”, Rosetta si apprestava a vincere, così veniva da me descritta: ” Non traggano in inganno la stridula voce e i modi gentili di Rosa. Dietro quell’apparente e soave dolcezza ci sta un carattere forte e determinato. Insomma un misto della flemma forlaniana e del piglio decisionista fanfaniano. Sono questi i segni distintivi essenziali del DNA politico dell’Onorevole Russo Jervolino”.
Non mi sbagliavo. Con una giunta decimata dagli arresti e dagli avvisi di garanzia, dopo un settennato alla guida di Palazzo San Giacomo, esauritosi nella “monnezza” da cui la città si è liberata solo dopo l’intervento risolutore di Berlusconi, ancora domenica scorsa, 4 gennaio, Rosetta era alle prese con il suo nuovo partito, il PD napoletano, diviso tra bassoliniani e avversari del Governatore, per tentare di rattoppare una situazione al limite dell’accanimento terapeutico.
Che il PD, squassato dalla bufera giudiziaria che, da Trento alla Calabria, ne sta minando le principali roccaforti del potere locale, non senta il dovere civico di staccare la spina e di andare finalmente al voto, la dice lunga sulla crisi profonda che lo sta soffocando. Stretto nella morsa delle indagini giudiziarie ( che presto , probabilmente, apriranno il capitolo romano) e dell’azione cannibalesca di quel disinvolto Tonino da Montenero di Bisaccia, falso predicatore di moralità pubblica, il quale punta dritto dritto al cuore del consenso elettorale diessino, il PD sembra colpito da un ictus politico irreversibile.
Se, come viene annunciato, nella giornata di oggi, lunedì 5 gennaio, Rosetta riuscirà a presentare la sua nuova giunta incerottata, non sarà un bel giorno per la città di Napoli e nemmeno per la nostra amica. L’estremo tentativo di salvare uno zombie non servirà né alla città, né a Bassolino che punta a resistere sino all’elezione liberatoria delle prossime europee, né alla stessa Rosetta che sembra voler pagare il conto a “U’ governatore” per il sostegno assicuratole in questi anni di insostenibile sopravvivenza, con molta reciproca infamia politica e amministrativa e assai poche lodi.
Così anche al Sud, dopo la frana del Nord, si sta consumando, con il mito della “diversità” degli ex comunisti, la tenuta stessa di una componente che resta, in ogni caso, essenziale per la democrazia italiana. Ed è solo annunciato lo tsunami del Centro, con Umbria e Lazio in stato di preoccupante fibrillazione



    1 Gennaio 2009
 

Il Buon Anno di Don Chisciotte

Buon Anno al Presidente Giorgio Napolitano ed un grazie sincero per le parole da lui pronunciate nel discorso di San Silvestro per un rinnovata coesione nazionale
Buon Anno al Presidente Silvio Berlusconi, con l’augurio che alla presidenza del G8, alla quale ritorna dopo due precedenti esperienze, possa apportare un contributo positivo per allontanarci dalle cattive eredità dell’anno bisesto e far riprendere al mondo uno sviluppo di pace e maggiore giustizia
Buon Anno all’On. Walter Veltroni, con l’augurio che abbandoni il soffocante abbraccio con Di Pietro e possa ritrovare “ lo spirito del Lingotto”, grazie al quale si riconosca finalmente al capo del governo il ruolo di guida del Paese, cui è stato chiamato dalla maggioranza degli italiani e con cui è indispensabile confrontarsi da parte di una sinistra autenticamente riformista.
Buon Anno pure all’On Tonino Di Pietro, cui auguriamo di ritrovare maggiore equilibrio non solo nel giudicare i comportamenti di suo figlio Cristiano, ma anche quelli dei suoi avversari politici.
A Tonino di Pietro vorremmo che il 2009 gli portasse:
a) il coraggio di dirci finalmente le ragioni vere che lo portarono, a suo tempo, ad abbandonare la Magistratura, tanto più curiosi dopo la recente intervista del Presidente Cossiga a “Il giornale”;
b) il coraggio di dirci chi lo informò dell’apertura dell’inchiesta sul suo collaboratore, dr Mario Mautone, che manteneva cordiali rapporti telefonici con suo figlio Cristiano e, soprattutto, vorremmo sapere dall’ex ministro quali fossero i suoi rapporti con il provveditore alle OO.PP. di Campania e Molise, poi direttore generale all’edilizia pubblica, suo subalterno e da lui “promosso” all’incarico ministeriale, dopo l’informativa di cui sopra.
Buon Anno a Francesco Rutelli, al quale vorremmo sommessamente consigliare di stare attento alle confidenze telefoniche di quel “facilone” del suo compagno Renzo Lusetti e di chiedere ammenda per quelle brutte parole da lui pronunciate contro Bettino Craxi, al quale augurò di:” finire in cella e che si buttassero le chiavi”. Rutelli dovrebbe ricordare, da buon cristiano, la massima evangelica: “ chi è senza peccato scagli la prima pietra”. E gli auguriamo che, stavolta, le pietre non finiscano con il colpirlo pesantemente con la sua delicata Margherita.
Buon Anno al Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, al quale, dopo il più che bisesto 2008 politico, vorremmo augurargli di riprendere il ruolo che gli spetta ai massimi livelli del costituendo Partito del Popolo della Libertà. Continuiamo a credere che il governatore della più importante Regione-Stato italiana e tra i quattro motori dell’Europa, non possa che ricoprire, dopo quasi quindici anni di buon governo lombardo, un ruolo di primo piano nella politica nazionale. Pole position, dunque, per Formigoni, anche in prospettiva della futura leadership del Partito del Popolo della Libertà.
Buon Anno anche al Presidente della mia Regione, Giancarlo Galan, con l’augurio che possa dimostrare anche in futuro quanto da lui sostenuto nel suo recente pamphlet: “ Il Nordest sono io”. Quale migliore opportunità sarebbe quella rappresentata dall’impegnarsi a guidare la prossima lista delle elezioni europee di primavera nel collegio del Nord-Est, per valutare sul campo il suo attuale grado di consenso, in una competizione che, se non cambiano le regole, assegnerà a ciascuna forza politica il suo reale peso elettorale. E tutto ciò, non solo per favorire il voto al Pdl, ma anche per riproporsi per la quarta volta, come da lui più volte sostenuto, con ancora più forte autorevolezza alla guida della nostra Regione.
Buon Anno, infine, a tutti i miei fedeli lettori, sia a quelli che da qualche anno seguono le mie note settimanali su radioformigoni (www.radioformigoni.it), che a quelli che visitano il mio sito: www.don-chisciotte.net; a quelli che mi leggono sul sito del collega ed amico Sindaco di Alessandria, Piercarlo Fabbio: www.fabbio.it, ed, infine, anche a quelli che da quest’anno avranno il piacere di visitare il blog dell’associazione di informazione politico-culturale, “Insieme”: www.insiemeweb.net