Le note di Ettore Bonalberti
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24 Dicembre 2011

Grilli parlanti e Banche silenti

Ho ricevuto da un caro amico, già dirigente della DC lombarda e nazionale, la notizia
di una dichiarazione del vice Ministro Grilli, secondo cui lo Stato non può pagare i suoi debiti con le imprese italiane (per un totale di circa 60 miliardi di Eu), poiché tutte le risorse finanziarie vanno incanalate sull' abbattimento di quota parte del debito italiano.

L'ultima affermazione non farebbe una grinza, stante la situazione in cui ci troviamo, se non ci fossero alcuni inquietanti fatti che gridano vendetta:

- nel Nord Est sono stati registrati 50 suicidi di imprenditori piccoli e medi che sono falliti perché lo Stato non ha pagato i crediti che questi ed altre migliaia di PMI attendono dallo Stato (articolo di qualche giorno fa sul Corriere della Sera, firmato da Dario Di Vico e che ha interessato tutti i quotidiani del Veneto e del Nord-Est);

- le Banche italiane hanno ricevuto dalla Bce un prestito di tre anni con un costo dell'1% (!!!!!!) per un totale di 125 miliardi di Euro,il 25% del totale europeo (ancora Corriere della sera di giovedì 22/12) e la loro tendenza è di tenersi queste risorse (che, sino a prova contraria, rappresentano risorse finanziarie italiane, di proprietà di tutti, gestite dalla Banca Centrale Europea);

- in parte, vorrebbero ricapitalizzare se stesse e in parte, vorrebbero ricavare alti benefici  investendo sui mercati finanziari per portare a casa operazioni che quotano 5/7% di rendimento, rispetto all'1% dei debito verso Bce;

- c'è stata una stretta di credito nei confronti del 78% delle imprese italiane (dati SWG di Trieste) peggiore di quella registrata nel 2008-2009;

- le PMI, davanti ai rischi di recessione, temono di essere lasciati da soli, in particolare dalle Banche, mentre l'aspirazione sarebbe che imprese e banche si muovessero insieme, ogni giorno, sul territorio, per rimetter in moto questo Paese (Dario Di Vico, esperto di tematiche sulle PMI, sul Corriere della sera di giovedì 22/12. (HYPERLINK "mailto:twitter@dariodivico"twitter@dariodivico);

- nei giorni scorsi, la proposta di Corrado Passera di pagare i debiti dello Stato alle imprese italiane con Bot, Btp e/o altri titoli di Stato e consentire loro di darli in garanzia alle Banche per ricever almeno  quote importanti dei loro crediti con lo Stato, è stato bocciata sui giornali italiani da tecnici non meglio identificati;

con le risorse dei 125 miliardi ricevuti dalle banche italiane, si dovrebbe invece operare esattamente nella direzione di quanto proposto da Passera e di quanto scritto da Di Vico sul tema e che anche noi, più modestamente, da tempo andiamo sostenendo.

Abbiamo girato queste considerazioni ad alcuni amici parlamentari affinché si facciano portavoce con un'interrogazione parlamentare urgente al Presidente del Consiglio e al super ministro Passera, di tale grave situazione.

Se i Grilli parlassero di meno e le Banche fossero meno silenti e sollecitate a erogare il credito, non per gli irresponsabili giochi finanziari che ci hanno condotto alla condizione in cui siamo, ma per le attività produttive delle PMI, forse il governo dei tecnici potrebbe assolvere a quella funzione di supplenza che l'impotenza della politica e di questi partiti in liquidazione della seconda repubblica ha, di fatto, reso inevitabile.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELEF verso il PPE
Venezia, 24 Dicembre 2011



17 Dicembre 2011

Nuovo patto costituzionale o il caos

Il voto di fiducia alla Camera sul decreto "salva Italia" ha fatto emergere un fatto nuovo e incontrovertibile: il progressivo sfarinamento dei poli così come si erano andati costruendo, con fasi e sviluppi alterni, negli anni della seconda repubblica (1994-2011).
Pdl,PD, Terzo polo, con non pochi distinguo interni palesi o sotto traccia, tengono in piedi un governo nato dall'impotenza delle forze politiche, all'interno di una crisi economico finanziaria internazionale e italiana tra le più gravi della storia, e sperimentano il logoramento, se non ancora la fine, del rapporto organico con gli antichi alleati: la Lega per il Pdl e l'IdV di Di Pietro per il PD.
L'obiettivo perseguito di isolare le ali di un bipolarismo malato sembra si stia realizzando. Si tratta di capire con quali conseguenze e verso quali sbocchi politici.
Intanto la crisi non sta mettendo in discussione solo le antiche alleanze, fenomeni di preoccupante erosione si stanno verificando all'interno dei partiti, più evidenti nel Pdl.
Conclusa, per getto della spugna, la lunga leadership del Cavaliere, nei giorni scorsi abbiamo assistito all'uscita dell'On Stefania Craxi dal partito e il suo passaggio nel gruppo misto, interessata a costruire un nuovo movimento per l'unità dei riformisti, mentre si annuncia il prossimo passaggio di Letizia Moratti dal Pdl al FlI di Gianfranco Fini.
Sono due episodi che rendono palese lo stato di crisi del blocco sociale e politico culturale su cui si era costruita l'egemonia-dominio berlusconiana a Milano, dove la perdita della guida dell'amministrazione di Palazzo Marinoa, è stata la conclusione politico amministrativa inevitabile di tale crisi.
Ancora una volta l'establishment di una certa borghesia milanese dei salotti buoni, ben rappresentata dal Corriere della sera e dal quotidiano La Repubblica, come già con il vecchio Albertini in funzione antigiolittiana agli inizi del secolo scorso, è riuscito nel tentativo di mettere in crisi il governo centrale del Paese, dopo aver riconquistato a pieno titolo ed evidente diretta rappresentazione l'amministrazione milanese.
A Roma i banchieri e gli economisti della Bocconi, quasi tutti soci dell' esclusivo "clubino" milanese, a Milano Pisapia con gli amici degli amici.
Negli anni '20 la folle politica condotta dal direttore del Corsera contro lo statista di Dronero sappiamo come andò a finire, dopo le dimissioni di Giolitti e la crisi del governo Facta, la marcia su Roma e l'avvento del fascismo. Ora siamo, invece, in una fase confusa e di disaggregazione delle forze politiche, in balia di un governo di tecnici dal quale, per adesso, ci arrivano solo certezze di lacrime e sangue e nemmeno per tutti; forse, per i soliti noti.
Non crediamo siano possibili soluzioni di tipo autoritario come nel 1919-22, anche se non possiamo nascondere di trovarci in una tragicomica situazione di sospensione della democrazia, con un parlamento nel quale le forze politiche dell'impotenza sono costrette a sostenere provvedimenti in larga parte espressione dei tributi che l'Italia è chiamata a pagare al duo Merkel – Sarkozy.
Il recente compromesso di Bruxelles se non un fallimento vero e proprio, come sostiene il sen Monti, se non sarà modificato al prossimo giro, per l'Italia si prefigura una situazione drammatica con il rischio di dover svendere la golden share dei gioielli di famiglia: ENI, ENEL e Finmeccanica.
E' forse il tempo di guardare oltre il binomio franco-tedesco e valutare con più attenzione possibili offerte anglo americane.
Sul fronte interno è ormai tempo di considerare come tutto l'impianto costituzionale su cui si è retto sin qui il Paese sia da cambiare, mentre il disagio crescente e che si acuirà nelle prossime settimane e mesi, sotto il peso dei sacrifici che soprattutto le classi popolari saranno costrette a subire, potrebbe facilmente sfociare in un ribellismo sociale sul quale potrebbero soffiare sul fuoco proprio le componenti che si sono sfilate dal gioco delle ambiguità su cui regge il governo dei tecnici.
O una forte discontinuità alla ricerca di un nuovo patto costituzionale, che passa attraverso una fase costituente da preparare con un 'assemblea votata con metodo proporzionale in grado di riscrivere in breve tempo la nuova carta, oppure, con istituzioni ingessate e la sospensione delle normali procedure democratiche, il rischio di un caos politico diventa altamente probabile.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELEF verso il PPE
Venezia, 17 Dicembre 2011



7 Dicembre 2011

Varato il "decreto salva Italia" si faccia adesso quello "salva italiani"

Continuiamo a pensare che la democrazia nel nostro Paese abbia subito un drammatico vulnus, con la formazione di un governo costruito al di fuori delle normali procedure che hanno caratterizzato la storia della nostra Repubblica.
Comprendiamo le ragioni di necessità e urgenza al limite della catastrofe annunciata, ma continuiamo a ritenere che fosse possibile una soluzione più coerente con quanto prevede la nostra Costituzione.
In ogni caso: cosa fatta capo ha.
E, onestamente, contenuti, modalità e tempi con i quali il senatore a vita Prof Mario Monti ha affrontato l'emergenza e la sta risolvendo con il suo "Decreto salva Italia" ci sembrano credibili e accettabili.
Scontata la fine della seconda repubblica e il fallimento di un'intera classe dirigente dei partiti a conduzione cesaristica, c'è bisogno di una forte discontinuità che può venire solo dall'indizione di una nuova assemblea costituente. Quella invano da noi richiesta al presidente Berlusconi nel dicembre 2010, solo con la quale si potrà superare le rigidità di una costituzione del 1948 non più in linea con la nuova situazione della politica italiana ed europea nel tempo della globalizzazione.
Nel merito dei provvedimenti previsti dal "decreto salva Italia", riteniamo si sia tentato con molto equilibrio di ricercare la giusta quadra tra le opposte esigenze delle due più importanti forze politiche che, con il terzo polo, sostengono il governo: Pdl e PD.
Cessata ogni manifestazione degli indignados e dei grillini, del popolo rosso, verde e viola e ridotta la protesta sindacale a minimale episodio rituale con lo sciopero di lunedì di poche ore finiranno anche: il salmodiare costante di Bersani contro il Cavaliere, i silenzi colpevoli del super ministro Tremonti ( alla fine rivelatosi il più sprovveduto di tutta la compagnia) e le ripetute espressioni di ottimismo di facciata del Cavaliere.
Sacrifici durissimi siamo chiamati a compiere, salvo che gli stessi non sono a carico di tutti, proprio tutti.
Chi resta ancora ben garantito nei privilegi , oltre agli evasori fiscali di sempre, è l'assai poco onorevole casta dei politici a tempo pieno a livello nazionale, regionale e locale con diffuse e odiose sperequazioni non più tollerabili da un popolo di elettori ai quali si chiedono lacrime e sangue.
Basta con stipendi da nababbi e vitalizi da superprivilegiati. Basta con le differenti e assurde situazioni previdenziali tra ex consiglieri regionali dalle Alpi alla Sicilia, con il caso estremo del piccolo Molise, dove il vitalizio degli ex consiglieri regionali si trasmette ereditariamente per quasi cent'anni.
Stabilito che dal 2012 per gli italiani che lavorano nel pubblico e nel privato, ai fini pensionistici scatta per tutti la quota pro rata in base al sistema contributivo per versamenti pari ad almeno 41 e 42 anni, rispettivamente per le donne e per gli uomini, analogo trattamento sia riservato a tutti coloro che a diverso titolo hanno svolto e svolgano funzioni di rappresentanza politica ad ogni livello.
E, soprattutto, si equiparino gli emolumenti di tutti gli eletti a quelli medi dei loro pari grado in Europa.
Solo così, nominati o votati, si avrà una classe dirigente politica scelta per libera e personale passione civile e volontà di contribuire al bene comune, e non una casta di aspiranti al privilegio e alla mobilità sociale i quali , sin qui, sono stati garantiti dall'esercizio dell' attività politica, spesso unica professione di molti di questi patetici attori, anche quando questa è stata resa con la normale diligenza del buon padre di famiglia.
Caro presidente Monti, visto che in questa situazione di emergenza democratica le sono stati concessi poteri e un consenso parlamentare mai avuti da nessun suo predecessore capo di governo, tranne Mussolini, proceda ben oltre a quanto deciso con il decreto salva Italia.
Adesso si accinga a varare il decreto salva italiani: salvi i suoi concittadini da una casta famelica e non più credibile comodamente assisa su privilegi incompatibili con i sacrifici che sono richiesti a tutti gli italiani.
E, infine, contro l'altra "mala bestia", gli evasori fiscali, si introduca finalmente quella regola del contrasto di interessi che permetta a ciascuno di detrarre dalla propria dichiarazione dei redditi una serie di spese collegate/bili alle attività a maggior rischio di evasione.
Infine, per dare un po' di respiro alle Piccole Medie imprese, si recuperi la proposta del ministro Passera secondo la quale lo Stato e gli enti locali potrebbero saldare i loro debiti verso i privati con BOT, CCT e BTP utilizzabili dalle PMI quali garanzie verso le banche attualmente scarsamente erogatrici di crediti. Banche le quali, dopo che per molti anni hanno colpevolmente trasformato la loro natura e funzione da regolatrici della raccolta e distribuzione del denaro per attività produttive a quella di gestori di pratiche finanziarie al limite dell'illegalità, devono tornare a svolgere la loro insostituibile funzione al servizio dell'economia reale.
Non sappiamo se e per quanto tempo i partiti la lasceranno lavorare: non perda, dunque, alcun giorno per riformare ciò che una classe dirigente imbelle e impotente dopo quasi vent'anni non è riuscita colpevolmente a realizzare.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELEF verso il PPE
Venezia, 7 Dicembre 2011



26 Novembre 2011

Morire democristiani

Contro la vulgata vecchia e stantia di coloro che " non vogliono morire democristiani", noi invece, da sempre DC non pentiti, vorremmo continuare a vivere da democristiani e, quando sarà, farci accompagnare al cimitero con la bandiera dello scudo crociato con la scritta in bella vista: LIBERTAS.
E' stato il vessillo che ha rappresentato gli ideali e i valori dell'intera nostra vita ai quali, pur con molti errori ed omissioni, abbiamo cercato di ispirare i comportamenti e le azioni da politici impegnati nelle istituzioni.
Nel blocco del sistema democratico conseguente a ciò che nei giorni scorsi abbiamo definito un autentico "Golpe blanco", con partiti e mass media proni a incensare un ricco professore rivestito del laticlavio senatoriale a vita, che, da quando è stato eletto da un voto bulgaro di un parlamento impotente, non è riuscito sin qui a firmare un solo provvedimento contro la crisi finanziaria, molta gente rimpiange la Democrazia Cristiana.
L'asticella dello spread continua a ballare attorno ai 500 punti di differenziale tra BTP e BUND tedeschi, mentre il tasso dei BTP a breve sta toccando il livello limite, indicato dalla Banca d'Italia come ultimo sostenibile, dell'8%, praticamente raddoppiandosi rispetto all'ultima emissione di Ottobre.
Altro che, amico Buttiglione, il calo da te profetizzato di almeno 200 punti con l'uscita del Cavaliere dal suo legittimo incarico di capo del governo.
Insomma cambiando l'ordine dei fattori, anche negli attuali mercati finanziari, il prodotto non sembra mutare.
Il Pdl non sa che pesci pigliare tra chi, almeno sottobanco, secondo la formula indicata dal pizzino di Enrico Letta al prof Monti, lavora per consolidare un finto tripartito; chi vorrebbe lanciarsi all'arma bianca contro il governo che, marxisti non pentiti considerano a tutti gli effetti un autentico "comitato d'affari della borghesia" e, quelli che, non sapendo come uscirne, propongono la guerriglia giorno per giorno, provvedimento su provvedimento, tanto per arrivare ai cinque anni dell'ultimo regalo vitalizio.
La realtà è che non ci sono più politici con il coraggio di uomini, come Alcide De Gasperi, Fanfani e Moro, i quali lo possedevano e lo dimostrarono, tanto sul piano della politica interna che internazionale.
L'ultimo incontro a Parigi del trio Merkel-Monti-Sarkozy, che ha fatto andare in brodo di giuggiole la Pasionaria di Sinalunga (Rosy Bindi), è sembrata una scena comica delle tre scimmiette che non hanno nulla da dire, non potendo trovare un'intesa sull'unica scelta che potrebbe por fine alla violenta speculazione sui debiti sovrani dei Paesi europei: l'assunzione da parte della BCE del ruolo di prestatore di ultima istanza.
Monti si è limitato a balbettare qualcosa che non toccasse la suscettibilità della Merkel; di fatto, subendo il diktat della Kanzlerin, il cui terrore per le prossime elezioni in Germania rischia di far deflagrare con euro l'intera Europa.
E di fronte a questo triste spettacolo dovremmo essere timorosi di dirci democristiani?
No, non lo siamo e forti della recente sentenza della Cassazione che ha sancito non essere mai stata chiusa la vicenda democristiana, almeno giuridicamente, da Consigliere nazionale tuttora in carica ho operato e opererò per una conclusione costruttiva di quella storia, per concorrere da democristiani a un nuovo patto costituzionale che segni una profonda discontinuità con questo andazzo. Una discontinuità senza la quale l'Italia andrà inesorabilmente in rovina.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELEF verso il PPE
Venezia, 26 Novembre 2011



17 Novembre 2011

E' finita la diaspora democristiana?

"E' finita la diaspora democristiana". Con queste parole Pierferdinando Casini ha salutato la nascita del governo Monti.
Qualcuno l'ha interpretata come un auspicio, altri come una sorta di minaccia, non considerando che democristiani di storia e di sangue sono ai vertici di quasi tutti i partiti presenti nel parlamento italiano.
Per la verità con la sentenza n.25999 del 23 dicembre del 2010 la Cassazione ha posto la parola fine alla lunga diatriba tra i presunti eredi della DC, affermando in modo inequivocabile ed inappellabile che la Democrazia Cristiana non è mai stata sciolta e quindi è ancora in vita.
Almeno dal punto di vista giuridico, dunque, la DC ancora vive, anche se politicamente è invece defunta nel momento in cui Mino Martinazzoli con i dirigenti dell'epoca decisero la sua trasformazione nel PPI.
Ieri si è inaugurato a Roma e resterà aperta sino a sabato al Tempio di Adriano, la mostra di documenti e manifesti che raccontano la storia della Democrazia Cristiana.
L'amico Castagnetti, nella conferenza stampa di presentazione dell'evento,ha ascritto, in maniera errata e superficiale, ad un'associazione dei Popolari l'eredità storico politica della Democrazia Cristiana.
Errata e superficiale interpretazione quella del deputato reggiano del PD, tenendo presente che, in base alla sentenza della corte di Cassazione citata, la Democrazia Cristiana non è mai stata sciolta e gli unici eredi legittimi sono tuttora i consiglieri nazionali eletti dall'ultimo congresso del partito.
La maggior parte di essi, grazie al Signore, sono tuttora vivi e vegeti. Essi sono gli unici che possono e potranno decidere sul come e quando scrivere anche giuridicamente, in maniera legittima, la parola fine a quella straordinaria esperienza storico politica.
Chiunque in questi diciotto anni ha tentato di appropriarsi di pezzi di un'eredità di un de cuius mai morto dovrà tener conto di quanto la Cassazione ha sentenziato.

Ettore Bonalberti
CN della DC
Venezia, 17 Novembre 2011



12 Novembre 2011

Golpe blanco o colpo rosso ?

Avevamo temuto un golpe blanco, mentre il nostro amico "L'eretico", ha scritto di un "Colpo Rosso".
Blanco o Rosso che sia, ciò che sta accadendo è in tutti i sensi la fine della seconda Repubblica e una discontinuità costituzionale senza precedenti.
Un candidato alla presidenza del consiglio nominato prima dell'investitura a vestire il nobile laticlavio di senatore a vita e l'avvio di un'insolita procedura per l'incarico in cui parlamento e partiti sono ridotti a comparse.
Un presidente della Repubblica parlamentare che, di fatto, assume i pieni poteri propri di un sistema presidenzialistico nel il tentativo di varare un governo espressione delle coartate volontà dei partiti, di senatori e deputati e del peggior trasformismo politico.
Se deve essere un governo in grado di realizzare il memorandum richiesto dall'UE non si comprende come potrebbe essere sostenuto da chi quella politica, anche nella versione soft di Berlusconi, ha sempre contrastato.
Se deve essere un governo per punire il berlusconismo sul viale del tramonto, non si capisce come e perché dovrebbe essere sostenuto da chi del berlusconismo è un' esplicita derivazione.
Se, peggio, dovesse essere un equivoco compromesso tra le prime due ipotesi non si capisce perché dovrebbe passare senza il necessario vaglio elettorale.
Se, infine, deve essere un esecutivo che spariglia la maggioranza che ha vinto le elezioni del 2008 e guida la maggior parte delle regioni italiane, questo non lo può determinare il Presidente della Repubblica, ma solo la sovranità popolare attraverso libere elezioni.
Non ci piace che a dettare lo spartito sia la Framania di Sarkozy e della Merkel con un direttore d'orchestra che dirige al di là degli stretti compiti previsti dalla Costituzione di cui dovrebbe essere il supremo garante.
Insomma, per dirla tutta, a questi inciuci contro la democrazia, preferiamo che sia il popolo sovrano a decidere chi debba governare l'Italia e non quei soliti noti invitati una volta sul Britannia (1992) e, una volta all'anno, a quell'esclusivo Club di potenti, nato in una cittadina olandese divenuta famosa e chiamata Bilderberg usi a determinare le politiche economiche e finanziarie "all over the world" ( in tutto il mondo).

Don Chisciotte
12 Novembre 2011



5 Novembre 2011

OLTRE L’ORIZZONTE:
PREPARARSI ED ESSERE PROTAGONISTI DEL CAMBIAMENTO: PER UNA NUOVA COSTITUENTE DELL’ITALIA DEL XXI° SECOLO NELL’EUROPA POLITICA

Premessa
In Italia –e  non solo in Italia – siamo in una fase di stallo che dura ormai da troppo tempo, divisi tra due diversi concetti del potere politico che si riconoscono  nei partiti al Governo e quelli all’opposizione, ma che nei parlamentari hanno in comune un solido interesse: arrivare alla fine della legislatura per mantenere il privilegio dello status quo e poi si vedrà.
In questo senso la rappresentanza parlamentare non è più rappresentativa: il Paese vuole cambiare e lo dimostra il successo della raccolta delle firme per chiedere l’abrogazione del  “porcellum”.
Bisogna prepararsi alla nuova tornata elettorale. Non sappiamo cosa accadrà con il prossimo voto di fiducia sul documento di politica economica del governo. Se, come ci auguriamo, si andasse alla normale scadenza della legislatura ( primavera del 2013) ,  18 mesi di tempo sono sufficienti a mettere in piedi un MOVIMENTO, non partitico, che abbia come centralità del suo disegno un principio: un modello di sviluppo della Società Civile e del Paese  basato sullo  SVILUPPO NELLA SOLIDARIETA’ e cioè definire una serie di regole semplici che vedano il principio della sussidiarietà nella Società Civile come regola “aurea” di comportamento.
Un rinnovato patto costituzionale che tenga conto delle contraddizioni attuali tra sovranità nazionale annichilita senza un potere politico alternativo unitario dell’Europa. Un meccanismo ancor più inceppato dalle conseguenze politiche, monetarie, economiche e finanziarie di una costruzione dell’Europa titolare di una moneta, senza il potere di un autentico Stato a garanzia e protezione.
Le drammatiche situazioni di molte categorie di disoccupati o sotto-occupati non sono più moralmente accettabili  in un Paese nel quale il 10% delle persone dispone del 90% della ricchezza legale, oltre a tutto quello che possiede all’estero.
È  di queste settimane la notizia che l’Agenzia delle Entrate tramite EQUITALIA può ipotecare i beni dei Contribuenti senza procedimento giudiziario  se non pagano le cartelle entro 60 giorni: questa è una grande disfatta per i diritti elementari di Giustizia che sottrae al Giudice naturale  il potere della soluzione della controversia e si è condannati alla pena – pagare con interessi usurai  le tasse contestate -  senza contradditorio.
Non è accettabile questa situazione soprattutto da uno Stato che deve, nelle sue diverse articolazioni, 40 miliardi di € alle Imprese per prestazioni di beni e servizi,  con un micidiale effetto domino sulla non solvibilità delle Imprese, sulla concessione di credito da parte della banche, sulla tenuta dell’occupazione.
Sul decreto in questione Il MOVIMENTO può prendere iniziativa e presentare ricorso al Capo dello Stato e chiedere l’immediata sospensione dei poteri dati a EQUITALIA  e restituire al Giudice ordinario i poteri che la Costituzione stabilisce.  Dall’altra, stante l’attuale situazione, chiedere con un movimento di opinione che lo Stato paghi i suoi debiti alle Imprese con BOT e/o CCT  con i quali le Aziende a loro volta possono dare in pegno agli Istituti di Credito nonché, come nel 1992, pagare i contributi INPS compensando con i crediti vantati nei confronti dello Stato.
Questo  intervento serve a dare un minimo di serenità al Sistema  Produttivo e si fonda sul primo Titolo della Costituzione art.1 e cioè che  “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Il caso di Equitalia è, tuttavia,  solo il primo di una lunga serie di attacchi ai fondamentali della Costituzione propri di un sistema che si è  avvitato su se stesso in una crisi senza prospettive. Non è più questione di nuovi equilibri politici di fronte ad una crisi di sistema caratterizzata non solo da palesi violazioni della norma costituzionale, ma dalla stessa realtà di una norma del 1947 in palese conflitto con quanto è avvenuto, specie dopo Maastricht, nel nuovo assetto politico e amministrativo dell’Europa.
Chi punta alle elezioni anticipate dovrebbe spiegare al Presidente della Repubblica, nella situazione esistente in Italia e in Europa, su  quali domande politico istituzionali e su quali offerte da parte delle forze politiche  si richiedono indicazioni e consenso  ai cittadini depositari della sovranità popolare.
E’ possibile restare in un‘Unione Europea  pallido ectoplasma del sogno dei Padri fondatori  De Gasperi, Adenauer, Schuman?
E’ possibile rimanere nel “sistema stupido” di Maastricht e all’interno di una moneta senza alcuna copertura politica o si pensa di  tornare alla lira e a quale prezzo?
La partita che sta davanti all’Italia e non solo ad essa riguarda la compatibilità con le stesse ragioni fondanti dell’Unione Europea. Per quanto ci riguarda intendiamo concorrere con quanti sono interessati ad una grande battaglia politica per rilanciare l’unità politica dell’Europa.
Sarà questo il contributo che da cattolici possiamo fornire in coerenza con la grande tradizione  democratico cristiana europea che ha ispirato e ispira la nostra azione.
Quanto ai temi di breve periodo si evidenzia quanto segue:
La legge elettorale
Su come rifare la legge – mattarellum, modello tedesco, modello francese- ci sarà da riempire gli spazi di convegni, gruppi di studio, salotti:  qualsiasi modello che superi quello attuale va bene e se qualcuno dice che vi è rischio di contaminazioni con le preferenze  le soluzioni sono semplici:

  • I Partiti costituiti ai sensi della Costituzione debbono svolgere le primarie per la individuazione delle liste da farsi poi in ordine alfabetico. Si  viene eletti sulla base  dei voti ottenuti singolarmente e non sulla distribuzione dei voti di lista. La coalizione di partiti o di altri soggetti che si presenta avrà tanti seggi ripartiti su base proporzionale, con eventuale sbarramento al 5% alla Camera più un premio di maggioranza. Al Senato delle Regioni i  senatori sono designati su base locale e non vi deve essere premio di maggioranza.
  • Nessuna persona può essere votato in più di un collegio.
  • La preferenza espressa deve essere unica
  • Curriculum dei candidati obbligatoriamente su Internet
  • Va attivato il voto elettronico
  • Il numero dei Parlamentari deve scendere complessivamente a 600 unità.
Ma nel frattempo bisogna proporre da parte del MOVIMENTO una legge di iniziativa popolare nella quale sia previsto un solo articolo:
“il mandato di parlamentare è incompatibile con qualsiasi altra carica elettorale, con l’esercizio della libera professione  - pertanto la sospensione dagli albi professionali -   la posizione di amministratore di società a qualsiasi titolo, l’attività sindacale, attività inerenti Industria e Commercio.”
Cose dell’altro mondo?  No, sono le regole della Dirigenza del Pubblico Impiego, dei Professori Universitari e dei Magistrati.
 Un Parlamentare eletto a rappresentare i Cittadini non può avere incompatibilità minori  ed il suo eventuale patrimonio  ( con esclusione di quello in comunione di beni )  va gestito da un Collegio nominato dal Presidente della Camera o del Senato, sentiti gli interessati.
La retribuzione di Parlamentare va ovviamente adeguata in quanto diventa unica fonte di reddito, ma con l’abolizione di tutti i benefits a mandato scaduto  in modo da compensare la spesa complessiva

Le disposizioni contingenti
Siamo entrati in Europa e la situazione dell’Euro non consente il mantenimento di privilegi e quindi avremo solidarietà solo per le misure attuate che non possono essere rimandate ; diversamente a figli e nipoti lasceremmo un debito ancora più alto da pagare poiché l’Italia sta piazzando BOT ad interessi crescenti.

  • Con esclusione dei lavori usuranti, le pensioni di anzianità devono cessare dal 2013, mantenendo comunque inalterati i sistemi di contabilità degli anni.
  • Immediata parità, dal prossimo anno, tra uomo e donna  in adesione all’art.3 del Titolo I della Costituzione per quanto attiene all’età di pensionamento.
  • Titolarità individuale dei fondi versati all’INPS dai datori di lavoro che oggi vanno in un fondo indiviso di solidarietà; queste somme debbono essere rese disponibili quali garanzie su prestiti per le necessità delle persone titolari.
  • Le imprese che hanno  crediti verso Pubbliche Amministrazioni devono compensare con la contribuzione INPS, che ovviamente deve verificare la sussistenza del credito.   A tale scopo presso l’INPS   va costituito apposito fondo di gestione rotativa della relativa contabilità.
  • L’INPS deve mettere sul mercato  tutto il patrimonio immobiliare  tecnicamente non necessario al suo equilibrio patrimoniale direttamente senza Società veicolo offrendolo con mutui venticinquennali alle famiglie e  legittimi eredi delle stesse al tasso corrente dei BOT ( pertanto variabile ) . Per quest’operazione può intervenire la Cassa depositi e Prestiti  che finanzi  direttamente l’INPS; il valore del contratto fa riferimento al valore dell’immobile al momento della occupazione aumentato dal coefficiente dell’inflazione , a quanto già versato e quindi al debito residuo da saldare.
  • Questa tipologia di operazione potrebbe essere  messa in atto dalle Regioni sui propri patrimoni immobiliari e dare così risorse ai Piani Casa regionali  orientati non a nuove costruzioni ma al riuso del patrimonio esistente.
  • Il  Governo deve  sospendere il Ponte sullo Stretto  e con gli stessi soldi dare mandato a Trenitalia di ammodernare  la rete ferroviaria in Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna.  Dopo che la rete ferroviaria sia completata,  si potrà riprendere, sulla base di nuove valutazioni economiche,  il progetto del Ponte sullo Stretto
  • Lo Stato deve mettere in vendita tutti i plessi militari non utilizzati e che non possano essere utilizzati come istituti di pena per detenuti in attesa di giudizio per reati di minore gravità.  I fondi acquisiti dalla vendita vanno utilizzati  per un piano urgente di ammodernamento delle carceri. I plessi vanno posti in vendita con un bando internazionale prevedendo comunque un’ opzione, a parità di risultato economico, per cordate a maggioranza italiana.  I Comuni devono dare comunque un parere obbligatorio sul piano di utilizzo proposto dall’Acquirente.
  • Altri beni dello Stato possono passare agli Enti Locali  con un intervento a loro favore della Cassa Depositi e Prestiti, previa valutazione del merito di credito dell’Ente. Le relative entrate  vanno esclusivamente ad abbattimento del debito statale.
  • Tutti i fondi erogati da persone fisiche e giuridiche  a favore di Università, Enti pubblici di Ricerca e Enti iscritti all’elenco del FIS del MIUR, con esclusione delle attività per conto terzi e analogamente  per Accademie di Belle Arti, Musei di rilevanza nazionale e locale, Istituzioni Musicali e del Teatro,  vanno considerate al 100%  come credito di imposta  nell’anno di competenza di cassa.               Detti crediti non possono comunque costituire posta di debito per lo Stato  qualora non vi sia capienza nella dichiarazione di reddito. Per  Musei di rilevanza nazionale e locale, Istituzioni Musicali e del Teatro, è abolito il pagamento dell’ICI che sarà compensato da una tassa obbligatoria sulla tariffa degli alberghi a favore dei Comuni ed una partecipazione del 5% sull’incasso dei biglietti. Larga attuazione, altresì, alla legge sul mecenatismo culturale, con significativi sgravi fiscali per gli operatori privati che decidano di investire nei settori della ricerca, dell’arte e della cultura.
I problemi di medio-lungo periodo
Il problema del Sud  non è solo il Sud,  ma un Nord miope ed egoista  che ha usato i fondi per il Sud come cassa, spesso senza lasciare  nulla  ed ha utilizzato le Regioni del Sud come immensa pattumiera  risparmiando sui costi di produzione.
  • Il Nord ha bisogno del Sud  se vuole una piattaforma logistica  per i suoi beni  verso i mercati orientali ed i Paesi del Sud America  e quindi  è necessaria una struttura di trasporto su rotaia, ma anche su gomma, verso i porti del Sud  potenziati ed adeguati;  è fondamentale   per le imprese del Nord che dovranno altrimenti servirsi dei porti atlantici, bulgari e romeni.                                                    
  • Questo significa però aprire il traffico ferroviario ai privati   e privatizzare le Autorità Portuali vendendo quote che garantiscano un piano di sviluppo.
  • Abolire, recependo la norma europea, tutte le discariche che vanno messe in sicurezza  e promuovere piattaforme di gestione degli RSU  su moduli che si facciano carico di 500/700.000 abitanti equivalenti.   Le esperienze  europee e nazionali dimostrano che è possibile avere un buon rapporto costi, efficienza e tassa sui rifiuti.  La risorsa RSU in termini energetici vale 15 milioni tons/anno di petrolio equivalente e può impegnare  250.000 addetti in forma stabile.
  • Valorizzare la risorsa  Turismo  rendendo trasparente tutta la filiera da cui può venire un buon gettito erariale;  anche i servizi resi da strutture religiose debbono assoggettarsi al pagamento della tassa comunale da parte della loro clientela, come le strutture private.
  • Proteggere la produzione agroalimentare italiana autentica:
  • Fare una legge immediata che inibisca l’uso del tricolore, sotto qualsiasi forma, per marchi commerciali italiani che vendono invece prodotti comunitari o extracomunitari
  • Sostenere  le iniziative che portino i turisti sui luoghi di produzione di prodotti tipici
  • Con i pubblici esercizi sostenere il consumo di prodotti  autenticamente nazionali e regionali  con visibilità in Internet;  superare la logica che i controlli possano essere fatti solo da associazioni di produttori, ma stimolare il ruolo dei Consumatori
  • Rendere obbligatorio per le mense pubbliche e quelle ospedaliere l’uso di prodotti di origine regionale con tracciabilità garantita per quanto attiene olio, carni di qualsiasi tipo e pesce.  Il prezzo più basso non è mai indice di qualità e quindi negli appalti il valore qualitativo deve avere almeno il 70% del punteggio
  • Dare un premio di produzione alle aziende agricole  montane ( da definire ) e comunque a quelli che provengono da territori tutelati e che insistono lontani da insediamenti industriali e grandi vie di comunicazione.
  • Vivificare le piazze cittadine centrali e periferiche per la vendita diretta da parte degli agricoltori e  favorendo il rapporto tra produzione diretta e piccoli negozi.
  • Rendere obbligatorio il conferimento alla Caritas e alle Mense Sociali di prodotto in buona stato ( ultimo giorno di scadenza) dando loro priorità di scelta.  Tutto il resto deve essere obbligatoriamente conferito per smaltimento come RSU e raccolta differenziata per produzione di energia e concime.
  •   Favorire lo scambio per i giovani studenti e laureati con i Paesi del Centro e Sud America, affini al nostro Paese da un punto di  vista storico e culturale;  la Cina è un grande rischio prima di essere una opportunità ed i Paesi di cultura latina, Italia, Spagna e Portogallo   debbono fare squadra per un grande progetto di integrazione socio economica basata sui valori cattolici che li accomunano. Rispetto ad una programmazione energetica basata sulle fonti fossili, questo aggregato di territori, persone e tradizioni può rispondere con la proposta dell’uso responsabile delle risorse naturali e delle energie rinnovabili.
  • Far emergere sempre di più il lavoro  non legale con un’educazione alla “cittadinanza responsabile e partecipata”  poiché questo contribuisce non solo alle casse erariali ma alla sicurezza sociale se i versamenti all’INPS, come indicato in precedenza, restano nelle disponibilità delle persone.
Considerazioni particolari 

Il modello anglo-americano con la crisi attuale finanziaria,  frutto di una visione cinica ed irresponsabile del “dio mercato”,  ha finito di essere un punto di riferimento per il mondo, né può essere sostituito da quello cinese che ha una visione egemonica del potere, irrispettosa di qualsiasi valore della persona.

La visione invece di un mondo più equo che fa perno su Paesi  a forte presenza cattolica e che non ha tradizioni egemoniche  è una grande opportunità ed è quanto mai positivo che il Santo Padre dopo Barcellona abbia scelto il Brasile per la prossima giornata della Gioventù.

Nella situazione di grave crisi istituzionale, economica, finanziaria, politica e sociale dell’Italia il ruolo dei cattolici e dei laici che condividono gli stessi valori di ispirazione sturziana e degasperiana  è indispensabile per concorrere con quanti interessati alla costruzione della sezione italiana del Partito Popolare Europeo, che si faccia promotore di una fase costituente attraverso cui rifondare il patto costituzionale dell’Italia del XXI secolo per un’Europa  politica unita secondo quanto indicato dai Padri fondatori.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELEF verso il PPE
Venezia, 4 Novembre 2011



2 Novembre 2011

Povera Italia!

Squassato da una crisi mondiale di enormi dimensioni, appesantito da un debito sovrano tra i più elevati al mondo, conseguenza di lunghi anni vissuti da cicale dalla scarsa propensione civica, il governo Berlusconi, unica espressione della volontà popolare espressa nelle elezioni democratiche del 2008, si trova in queste ore ad affrontare la prova più difficile.
La pressione congiunta della grande stampa guidata del duo Mieli-Mauro, con i sussiegosi contrappunti domenicali di Barbapapà Scalfari, unita ad un’opposizione più interessata a far cadere l’odiato Cavaliere che al bene comune degli italiani, si accompagna all’atteggiamento schizofrenico di un superministro dell’economia, vittima di un misto freudiano di frustrazione e di arroganza senza pari.
Siamo all’ultima sfida all’OK Corral. E’ questione di giorni, forse di ore.
I tentativi di coinvolgere il presidente Napolitano in un tentativo di “golpe blanco” con un governone di larghe intese o di salute pubblica, con la dichiarazione di ieri del Capo dello Stato, sembrano aver trovato orecchie disponibili.
Attenti amici che si sta scherzando con il fuoco.
Se i dati del tesseramento al Pdl sono esatti, oltre un milione di iscritti, interessati alle prossime scadenze interne congressuali, siamo vicini alle cifre che nella Prima Repubblica registravano i grandi partiti popolari come la DC e il PCI.
Una ropture violenta del quadro politico emerso dalle ultime elezioni, con l’avvento di un governo di salute pubblica, contro metà del Paese e con partiti dell’attuale opposizione divisi su tutto, fuorché dalla volontà di vedere nella polvere Berlusconi, è l’ultima delle cose di cui l’Italia ha bisogno.
Meglio, molto meglio che l’On Tremonti rinsavisse e decidesse una volta per sempre se intende restare nella maggioranza e concorrere a sostegno della politica di risanamento proposta dal governo all’UE, o se, viceversa, non riconoscendosi in quella politica, si ritirasse da un incarico sin troppo oneroso da potere essere esercitato con l’abulia e la malavoglia, quando non anche l’aperta avversione,  degli ultimi tempi.
Papandreu in Grecia, nel deficit di consenso tra obblighi imposti dall’UE e la capacità di sopportazione degli oneri da parte della gente, ha scelto la strada del referendum popolare dall’esito pressoché scontato, e, nel timore di una ripetizione della tragedia già vissuta dei colonnelli, ha proceduto a cambiare tutti i vertici delle forze armate.
Il rischio della fine dell’euro e del fallimento di molte banche francesi e tedesche non è più una lontana probabilità . La fine dell’euro, d’altra parte, sarebbe la fine della stessa fragilissima Unione Europea.
Possibile che, di fronte a questo drammatico scenario, i soliti noti abbiano come unica preoccupazione quella di inseguire le assurde e stupide  proposte  di Di Pietro e la ricerca di una soluzione extra parlamentare qualsivoglia, purché caratterizzata dall’uscita di scena del Cavaliere?
Povera Italia se, anziché alla saggia espressione della volontà popolare, pensasse, come pare, di affidarsi alle pericolose avventure di “lor signori “ e di qualche frustrato accolito dell’ultima ora.

Don Chisciotte
Venezia, 2 Novembre 2011



11 Ottobre 2011

Preparare il futuro….con juicio

Si agitano in molti nel Pdl e si agitano pure nel PD. C'è chi punta alla formazione di un nuovo governo e chi al traguardo di elezioni anticipate. E diffusa è la preoccupazione di un ritorno dei democristiani.
Per la verità, noi " DC non pentiti" non eravamo defunti. Solo ci si era allontanati da una politica che era passata nelle mani di dilettanti allo sbaraglio, alle terze e quarte file della Prima Repubblica, accompagnate da improvvisati mestieranti e aspiranti statisti senza cultura.
Alla fine siamo scaduti ai famigli e alle ragazze di facili costumi.
Nel 2008 il Cavaliere e la coalizione Pdl-Lega trionfarono su una coalizione ulivista deflagrata dalle divisioni e messa in ginocchio da uno sconosciuto magistrato campano. Ora la stessa coalizione di centro-destra ha perduto il suo smalto inziale e, dopo il XXV Aprile 2008 di Onna , con Berlusconi applaudito dagli ex partigiani, si è avviata una campagna mediatico-giudiziaria senza precedenti.
Colpito pesantemente nel portafoglio dal quel gentiluomo di Carlo De Benedetti, con gli oltre 500 milioni di euro versatigli, sulla base di una sentenza unica nella storia dei risarcimenti civili, il Cavaliere è sotto il tiro incrociato delle procure di Milano, Napoli e Bari, con i soliti gufi pronti a decretarne l'imminente fine politica.
Questa settimana, tra approvazione della legge sulle intercettazioni e decreto per lo sviluppo, si vedrà se la reiterata conferma della maggioranza parlamentare si conserverà ancora una volta e nonostante le azioni di disturbo dei "frondisti" Pisanu e Scajola.
Una fronda mossa da personaggi di lungo corso, per la verità, assai poco qualificati per intraprendere credibili e durature iniziative politiche, ma, forse sufficiente per determinare una crisi politico parlamentare che, alla luce di quanto sta accadendo anche nella sinistra, sembrerebbe senza vie d'uscita.
Diversa la posizione di quanti, da Alemanno a Formigoni, da diverso tempo stanno richiedendo l'avvio di un processo di autentica democratizzazione del Pdl. Un processo necessario e inevitabile se non si vuol correre il rischio che, finita la lunga esperienza berlusconiana, avvenga l'implosione dell'area politica moderata e del centro-destra italiano.
Da molte parti si è immediatamente scatenata una canea contro il governatore lombardo accusato di ingratitudine, del peccato originale democristiano e dell'appartenenza alla comunità di cielleina, senza considerare i meriti propri di una dimostrata capacità di governo regionale sin qui unica e senza paragoni.
Ad un vecchio amico DC lombardo che tiene Formigoni " in gran dispitto", mi sono permesso di chiedergli: chi se non il governatore lombardo vedresti a candidato per la Presidenza del consiglio dell'Italia, dopo Berlusconi ?
E ho fatto i nomi di: Casini, Cesa, Vendola, Bindi, Veltroni, Bersani, e D'Alema.
Nessuna risposta. In realtà anche lui trovava difficile indicare una figura con capacità di governo comparabili con quelle di Formigoni.
Ora pensare che il ciclo berlusconiano abbia un fine non è peccare contro i comandamenti, considerando che, un'esperienza che dura da diciotto anni, se non immediatamente, certamente dopo il 2013, muterà quanto meno in maniera profonda nella sua stessa leadership politica.
Non si tratta di fomentare frondismi velleitari, ma di preparare il futuro….. con juicio.
Noi ci auguriamo che il governo, oggi senza serie alternative, possa condurre in porto almeno alcune delle riforme annunciate: legge sulle intercettazioni, decreto sullo sviluppo economico, modifica della legge elettorale e, se avesse un po' più di coraggio, indizione della costituente per la riforma della Costituzione.
E nello stesso tempo siamo interessati al processo di democratizzazione che Formigoni, con Alemanno e lo stesso Alfano, intendono realizzare nel Pdl, mentre continuiamo a guardare oltre l'orizzonte e a lavorare per la ricomposizione di quanti sono interessati alla costruzione della sezione italiana del PPE.

Ettore Bonalberti
Venezia, 11 Ottobre 2011



02 Ottobre 2011

Assemblea costituente: una necessità

La situazione è talmente grave e seria che non sarà la pur necessaria riforma della legge elettorale in grado di risolvere il problema italiano.
E non saranno nemmeno le reprimende della signora Marcegaglia al capolinea della sua avventura "sanza infamia e sanza lode" alla guida della Confindustria, o gli appelli giornalistici contro i politici del solito Diego Della Valle a fornire un contributo serio ed efficace.
E nemmeno servono i pur lodevoli sermoni del Presidente della Repubblica, di cui comprendo il compito istituzionale di difensore strenuo della nostra Costituzione; un patto del 1947 che, tuttavia, per molti versi, costituisce il problema piuttosto che un'opportunità per l'Italia.
Costituzione rigida e il cui equilibrio, con l'eliminazione dell'immunità parlamentare, è stato fortemente distrutto a vantaggio di una magistratura auto referente, sostanzialmente libera da qualsivoglia controllo e in grado di svolgere, come di fatto è avvenuto in tutta la lunga estenuante stagione della seconda repubblica, un ruolo del tutto incompatibile con la funzione assegnatole dalla Costituzione e in netta contrapposizione con la stessa espressione democratica della sovranità popolare.
Al Presidente Napolitano, giustamente preoccupato per le insorgenti velleità secessionistiche indicate da alcune esternazioni bossiane, vorremmo sommessamente evidenziare come la pazienza dei cittadini piemontesi, lombardi e veneti, ossia di tre regioni rette da maggioranze politiche di centro-destra e forzieri in grado di sostenere in via prevalente la situazione economica e finanziaria dell'Italia, sia giunta al limite.
Non sono più accettabili le enormi sproporzioni esistenti nella gestione delle politiche economiche e nei trasferimenti fiscali tra i cittadini del nord e quelli del centro – sud e l'attesa del troppo conclamato e sin qui mai realizzato federalismo fiscale rischiano di tradursi in un'ennesima pesante frustrazione.
E, d'altronde, anche alla Lega vorremmo ricordare che continuare a promettere il federalismo, senza una profonda revisione del sistema costituzionale, con la riorganizzazione regionale in cinque o sei macroregioni, ogni tentativo di seria riforma rischia di diventare assolutamente insostenibile.
Insomma è la necessità di un nuovo patto costituzionale che si impone.
Non a caso nel dicembre scorso avevamo inviato, senza risposta, una lettera al presidente del consiglio, suggerendogli di proporre l'indizione di un'assemblea costituente con il compito di procedere a una profonda revisione della Costituzione, in grado di renderla adeguata al nuovo contesto interno e internazionale in cui si trova oggi l'Italia.
Ecco perché, dentro una crisi economica e finanziaria internazionale senza precedenti, mentre le forze politiche sembrano molto più interessate ad operazioni di basso respiro, quali la riforma della legge elettorale, il cambio della guida di governo con gli occhi puntati alla prossima scadenza della presidenza della repubblica, ci sembra molto più realistico e indispensabile chiamare il Paese ad eleggere una nuova assemblea costituente, capace di revisionare in maniera profonda l'assetto costituzionale del Paese.
Quanto alla legge elettorale, ribadisco la nostra permanente adesione al sistema proporzionale alla tedesca, con lo strumento della sfiducia costruttiva, e, se per corrispondere alla richiesta di referendum intervenuta con la raccolta di oltre un milione e duecentomila firme, si dovesse, come credo si dovrebbe, procedere per via legislativa, l'attuale maggioranza dovrebbe condividere con l'UDC tale indicazione. E, credo, che anche nel PD non mancherebbero gruppi di parlamentari disponibili al sostegno.
Tuttavia, la strada indispensabile per superare i lacci e lacciuoli che hanno impedito alla seconda repubblica di rispondere alle attese degli italiani, resta quella di una profonda riforma in senso costituzionale del nostro sistema.
Obiettivo che solo una rinnovata assemblea costituente da eleggere con metodo proporzionale è in grado di realizzare.
A questo compito straordinario le forze politiche più responsabili, a partire da quelle delle maggioranza, sono chiamate per il bene dell'Italia.

Ettore Bonalberti
Coordinatore FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Venezia, 2 Ottobre 2011




27 Settembre 2011

Sondaggisti: vola il partito dei cattolici. Con Formigoni leader nuova Dc al 33%


emocrazia cristiana

Promosso il partito dei cattolici evocato da Angelo Bagnasco. Affaritaliani.it ha intervistato i massimi esperti di sondaggi. Per Mannheimer "c'è un gran bisogno di punti di riferimento". Secondo Pessato (Swg) "l'uscita della Chiesa non fa altro che confermare che ci può essere anche nella realtà una terza grande forza politica tra Pdl e Pd". Piepoli ricorda che "con la Dc i cattolici in politica arrivavano al 38%". Più cauto Crespi: "C'è già l'Udc".
Renato Mannheimer, direttore di Ispo: "In questo momento di vuoto dell'offerta politica c'è un gran bisogno di punti di riferimento. E quindi un nuovo partito dei cattolici potrebbe prendere tanti voti. Direi attorno al 20%".
Maurizio Pessato, amministratore delegato dell'Swg: "Dipende da come verrebbe strutturato il partito dei cattolici e dal leader, ma lo spazio per una terza forza c'è e può arrivare anche al 20%. Questa uscita della Chiesa non fa altro che confermare che ci può essere anche nella realtà una terza grande forza politica tra Pdl e Pd".
Luigi Crespi: "Dipende chi lo fa il partito dei cattolici. E' difficile dire quanto potrebbe prendere, perché dipende con quale programma si presenterebbe alle elezioni. Non credo sia possibile indicare un valore. E non credo che sia forte l'esigenza di un partito cattolico. C'è già l'Udc e anche il Pdl ha una certa valenza cattolica. Poi il Pd non è certo un partito anti-cattolico".
Nicola Piepoli: "Con la Dc i cattolici in politica arrivavano al 38%. Il problema è sempre la provenienza dei voti. Più del 50% dei consensi del Pdl vengono dalla Dc. E più del 70% di quelli dell'Udc sono ex democristiani. La Dc non è morta ma è distribuita anche a sinistra e nel Pd. Il bacino potenziale di utenza dei cattolici è tranquillamente il 40%. Nella storia repubblicana la Dc è arrivata al 49% il 18 aprile del 1948. Questo è il bacino potenziale massimo. In questo momento le possibilità sono molto alte perché la gente è disorientata. Un buon leader carismatico è Formigoni, che in Lombardia ha preso 500mila preferenze su un milione della vecchia Dc. Con Formigoni leader, mobilitando il popolo cattolico come al Meeting di Rimini, la nave farebbe sentire il sapore dell'oceano e del mare e potrebbe arrivare a un terzo dell'elettorato".
Notizie correlate




26 Settembre 2011

Perché la profezia si auto adempia

Il sondaggio di "Affari italiani" e la tesi di Nicola Piepoli, noto esperto di rilevamenti demoscopici, secondo cui: ""Con la Dc i cattolici in politica arrivavano al 38%. Il problema è sempre la provenienza dei voti. Più del 50% dei consensi del Pdl vengono dalla Dc. E più del 70% di quelli dell'Udc sono ex democristiani. La Dc non è morta ma è distribuita anche a sinistra e nel Pd. Il bacino potenziale di utenza dei cattolici è tranquillamente il 40%. Nella storia repubblicana la Dc è arrivata al 49% il 18 aprile del 1948. Questo è il bacino potenziale massimo. In questo momento le possibilità sono molto alte perché la gente è disorientata. Un buon leader carismatico è Formigoni, che in Lombardia ha preso 500mila preferenze su un milione della vecchia Dc. Con Formigoni leader, mobilitando il popolo cattolico come al Meeting di Rimini, la nave farebbe sentire il sapore dell'oceano e del mare e potrebbe arrivare a un terzo dell'elettorato", non può che procurarci un gran piacere.
Se poi consideriamo, quanto da molto tempo andiamo sostenendo, che Roberto Formigoni, governatore dell'unica vera Regione-Stato italiana, tra i quattro motori delle più importanti regioni europee, ha avuto il merito di sperimentare, solitario interprete, una delle più avanzate forme di autentico governo sul piano territoriale, è assai probabile che nell'immaginario collettivo il leader lombardo appaia come il naturale successore alla guida del governo nazionale.
Sarebbe per tutti noi dei circoli veneti di Insieme, di ALEF e della Federazione dei Liberi e Forti verso il PPE, il coronamento di un sogno.
Certo, come è ben noto il sondaggio è spesso: "una profezia che si auto adempie o si auto distrugge". Tuttavia che ci sia una gran voglia di riferimenti politici ideali e di valori correlato a interessi trasparenti è nella verifica quotidiana di tutti noi. E proprio per questo, con i piedi ben piantati per terra, continuiamo a batterci affinché la profezia si auto adempia.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Venezia, 26 Novembre 2011




19 Settembre 2011

Populismo carismatico al capolinea

Lontano dall'Italia, seguendo su Rainews ciò che sta accadendo attorno al presidente del consiglio, tento di riflettere su alcuni fatti paradossali e inaccettabili del nostro Bel Paese.
Da un lato, quello di un presidente del consiglio che ha saputo costruirsi intorno una corte dei miracoli assolutamente incompatibile con la funzione ed il ruolo di un capo di governo in un sistema democratico.
Dall'altro quello, altrettanto abnorme, di una magistratura che in Campania è stata capace, contemporaneamente, di controllare sistematicamente oltre centomila telefonate del premier con la scusa di inseguire reati collegati a faccende di prostituzione e di oscuri traffici illeciti tra sesso e appalti, e, nello stesso tempo, di impedire la giusta condanna, per avvenuta prescrizione, di alcuni tra i più odiosi reati ambientali dell'inchiesta "Cassiopea",connessi al traffico di rifiuti nel nostro Paese, transitata a livello giudiziario tra Santa Maria Capo a Vetere e Napoli.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: criminali ambientali salvati dalla malagiustizia e un presidente del consiglio per il quale si finirà con il richiedere al Parlamento italiano. l'accompagnamento coatto.
Non mi dilungo sulla crisi di una magistratura che da oltre diciassette anni, ma ancor prima al tempo di mani pulite, agisce pressoché a senso unico, contro il pentapartito prima e contro Berlusconi da sempre, con un accanimento terapeutico che, se fosse applicato, a qualunque altro imprenditore o politico del nostro Paese, trasformerebbe l'Italia in un autentico orribile stato di polizia. Senza riforma della giustizia e un reale riequilibrio dei e tra i poteri la sovranità popolare rischia di diventare una mera dichiarazione di principio.
E' un peccato e un grave danno per una maggioranza che, sostenuta da un voto popolare amplissimo, si era impegnata al cambiamento di questo andazzo. Una maggioranza che, alla prova dei fatti, sta perdendo la partita.
Mi interessa di più esaminare lo stato di disgrazia in cui sta saltando l'equilibrio politico sin qui retto dall'alleanza Pdl-Lega, con la crisi, a mio parere irreversibile, che ha colpito entrambe le due forze politiche e, in primis, i loro rispettivi leader.
Questo accade quando i partiti da associazioni regolate da meccanismi democratici fondati sulla partecipazione e sulla regola aurea di " una testa un voto", si trasformano in movimenti leaderistico- carismatici, senza sostanziali regole e legati alla figura del dominus cui viene assegnata ogni responsabilità e funzione decisoria. E' la verifica della sostanziale volatilità e debolezza delle leadership carismatiche.
Accade così che, Berlusconi, sulla spinta di un consenso popolare che lo ha baciato in fronte per quasi vent'anni, finisca con l'avvitarsi nelle sue molte virtù e non meno consistenti vizietti che, si potevano, seppur a fatica, derubricare sul piano degli orientamenti affettivi e sessuali individuali, ma che assumono un ben diverso e deplorevole carattere quando, attorno al sesso e al giro di donne e droga, si tende a costruire da parte degli accusati di turno, un sistema di illecite partecipazioni alla spartizione delle torte di potere collegate agli affari e agli appalti interni e internazionali.
E accade, altresì, che nel partito prussiano del Senatur, sotto la spinta di una crisi economica che tocca, con tutti noi italiani, fasce consistenti del suo elettorato nordista, e, in particolare, la nutrita schiera dei giovani e bravi amministratori locali, si organizzino correnti e fazioni che costringono Bossi a designare quale suo successore a leader del movimento,tragicomicamente, quell'assai improbabile "trota" del suo figliolo.
Giunti al punto in cui si è arrivati : o si torna a ripensare globalmente la struttura di queste due formazioni politiche, o con loro rischia di saltare lo stesso sistema politico e di rappresentanza del Paese.
Alla Lega il compito di ritrovare al suo interno un equilibrio tra i colonnelli destinati a raccogliere l'eredità bossiana, mentre al Pdl spetta il compito non più rinviabile di procedere lungo la strada indicata da Angiolino Alfano e da Roberto Formigoni di un'immediata sterzata democratica del partito a tutti l livelli, con la bussola orientata verso la formazione della sezione italiana del Partito Popolare europeo, con quanti, a cominciare dall'UDC di Casini, a quella casa partecipano da sempre e con totale coerenza ideale e programmatica.
Tutti noi di FEDELIF, Federazione dei Liberi e Forti, abbiamo assunto questo obiettivo come stella polare della nostra iniziativa politica che intendiamo sviluppare con quanti condividono con noi interessi e valori ispirati al popolarismo sturziano e degasperiano, al di là degli stop di Cortina e delle velleità secessionistiche riproposte dalla Lega a Venezia.

Ettore Bonalberti
Coordinatore del Nord di FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Da Malta, 19 Settembre 2011




05 Settembre 2011

Mino Martinazzoli, uno degli ultimi "DC non pentiti"

E' morto un amico, un galantuomo di altri tempi, colui che suscitò in molti di noi tante speranze e, alla fine, una cocente delusione.
Eravamo riuniti in un drammatico CN della DC nel settembre del 1992, segretario politico Arnaldo Forlani, Presidente del CN DC,Ciriaco De Mita, dopo il risultato peggiore della storia elettorale del partito che nelle elezioni di quell'anno aveva toccato il minimo storico del 29,65 %. In ogni caso una base su cui sarebbe stato ancora possibile ricostruire e consolidare la presenza dei democratici cristiani nella storia del Paese.
In quel CN iniziato con oltre quattro ore di ritardo, senza un vero dibattito,dopo un odg di Cirino Pomicino che, di fatto chiedeva il rinvio di ogni decisione, era sotteso il grande scontro interno tra andreottiani e noi sostenitori di Forlani per il rinnovo della Presidenza della Repubblica. Uno scontro irrazionale autodistruttivo che porterà alla fine all'elezione subita dell'infido Scalfaro che concorrerà in maniera determinante agli sviluppi successivi della storia politica italiana.
Fu in quell'occasione che, alcuni tra di noi, spingemmo affinchè Forlani si dimettesse dalla segreteria politica, puntando su Mino Martinazzoli, il volto buono e anche per noi "preambolisti" della prima ora , sostenibile e al quale affidare l'indispensabile processo di rinnovamento di un partito che viveva la quotidiana chiamata in causa da una magistratura scatenata a senso unico contro il pentapartito.
La sua antica militanza a fianco di Franco Salvi, capo della corrente morotea di Brescia e della Lombardia, quello della " banda dei quattro" di Zaccagnini (Belci Bodrato, Pisanu e Salvi ) e la sua posizione più moderata tra i nuovi amici basisti demitiani, ci sembrava la naturale prosecuzione dell'eredità zaccagniniana pure a noi cara.
Peccato che appena eletto alla segreteria subì il fascino della pasionaria di Sinalunga, l'On Rosy Bindi, spedita, per l'incapacità dei capi corrente veneti ( " i due Carlini": Bernini per i dorotei e Fracanzani per l'area demitiana) di concordare un equilibrio,chiamandola a guidare, senza titolo, la segreteria regionale di uno delle più consistenti realtà elettorali regionali della DC. La Bindi tanto si agitò che lo convinse dell'opportunità di cambiare nome al partito e fu l'inizio di una nuova storia.
Una decisione alla quale, senza successo, si oppose il lungimirante Granelli e pochi altri , preludio di quella svolta favorevole ad un possibile accordo post elettorale con il PCI, divenuto con la Bolognina, PDS, dopo le elezioni del 1994. Triste preludio di una tragedia incombente per tutti noi, tranne che per la Rosy, oggi presidente del partito che raccoglie l'eredità più consistente dei vecchi comunisti italiani.
Quella decisione portò alla scissione di Mastella,Casini e Sandro Fontana con gli amici del CCD e alla Waterloo del 1994, con il PPI ridotto all'11,1 % dei voti e al drammatico CN post elettorale, in cui, Mino, si congedò con un fax, epitaffio di una tragica sconfitta senza appello.
E così, anche noi che pure avevamo creduto e ci eravamo battuti in Consiglio nazionale per la sua elezione, passammo alla frustrazione e alla rabbia, nella consapevolezza che ci eravamo suicidati politicamente e, quel che è più grave, senza la volontà di combattere.
Seguì la terribile diaspora democristiana che si trascina tuttora, specie dopo la sentenza della Corte di Cassazione del Dicembre 2010, secondo cui la DC, seppur politicamente defunta, non è mai stata giuridicamente e legittimamente chiusa. Un capitolo di cui ci siamo impegnati a scrivere correttamente e secondo le norme la parola fine.
Con Martinazzoli, persa la battaglia con Formigoni alle regionali del 2000, con un risultato clamoroso nettamente a favore del governatore alla sua prima elezione, più volte, con lui nella sua nuova funzione di consigliere regionale lombardo, ebbi occasione di ripercorrere quei passaggi essenziali della storia politica della DC e dell'Italia.
Alla fine anche Martinazzoli, espressione di un cattolicesimo liberale,di chiara ispirazione rosminiana, uomo dall'indiscussa tempra morale, rivelatosi poco adatto a quel ruolo di fighter che la vicenda politica di Tangentopoli avrebbe dovuto fargli assumere, finì con l'osservare con spirito critico l'infimo livello cui era scaduta la politica italiana nella lunga transizione della seconda Repubblica e riconoscere l'errore di aver chiuso l'esperienza della DC.
Resta in tutti noi il ricordo di un amico che, pur negli errori politici compiuti, lo riconosciamo quale parte importante della storia democratico cristiana, un esempio di politico di profonda ispirazione cristiana e che ci ha lasciati, dopo una lunga sofferenza, come uno degli ultimi "DC non pentiti".

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Venezia, 5 Settembre 2011




04 Settembre 2011

Nel Pdl qualcosa si muove e il PD vira a sinistra

Ancora aperta la complessa partita per l'approvazione della manovra finanziaria, con scelte continuamente mutanti di un governo dimostratosi incerto e pasticcione, cosa accade e potrà accadere alla fine della lunga transizione verso la Terza Repubblica ?
Stretti tra mille corporazioni di ogni arte e mestiere, qualunque scelta di rigore si proponga si trova sempre una parte interessata a gridare, con buona pace del buon Jean Baptiste Colbert, ministro delle finanze del Re Sole, per il quale: " l'arte della tassazione consiste nello spennare l'oca in modo da ottenere il massimo delle penne con il minimo di proteste".

Ci ha provato anche il povero Tremonti e lo stesso Cavaliere, ma le oche italiche, già spennate alla bisogna, specie tra i percettori di reddito fisso, sembrano indisponibili a ulteriori sacrifici, nemmeno quello di rinunciare alle tre sacrosante festività laiche del 25 aprile, Primo maggio e 2 giugno. E con uno Stato incapace di tagliare alla radice i suoi esorbitanti costi che, in molti casi, si rivelano autentici inutili sprechi.
Alla fine, anche stavolta "la quadra" si troverà, mentre non cessa il tormentone di Bersani e del puntiglioso Casini sulla necessità di un nuovo governo senza legittimazione democratica popolare, purché Berlusconi ceda il passo.
Meno insistente il vecchio ritornello di elezioni anticipate, dato che con l'affaire Penati- area Falck e autostrada Serravalle in corso, e il terrore del "porcellum", sia Bersani che Casini sembrano puntare piuttosto al più classico dei ribaltoni parlamentari che abbia come base di accordo: il cambio della legge elettorale e reciproche promesse future per Palazzo Chigi e il Quirinale.
In attesa di osservare ciò che accadrà nei prossimi giorni in Parlamento, cerchiamo di capire cosa sta accadendo dentro il Pdl.
Il primo impegno assunto dal nuovo segretario, Angiolino Alfano, è stato quello di azzerare tutti gli incarichi dei coordinatori sino ad ora nominati dall'alto e in base all'obsoleta regola del congresso del 2009: 70% a FI e 30% ad AN, per procedere con i nuovi iscritti alla nomina, con regolari congressi, dei segretari locali e provinciali e, forse, anche di quelli regionali.
Il secondo obiettivo: impegnarsi per la costituente del nuovo centro italiano. Un percorso che dovrebbe sfociare, anche con il cambiamento del nome del partito, ha sostenuto Formigoni nella recente riunione di Reteitalia a Rimini, nella nascita della sezione italiana del PPE.
Quanto al primo obiettivo: è stato posticipata la data di iscrizione al partito con termine ultimo fissato al 15 ottobre. Gli iscritti, si è impegnato Alfano, potranno partecipare alle votazioni che saranno indette in tutte le realtà locali e provinciali per la nomina dei segretari ( non più coordinatori) con voto democratico. E tutto ciò dovrebbe avvenire entro l'autunno.
Trattasi di una novità di assoluto rilievo in un partito sin qui monocratico e senza regole di autentica partecipazione democratica e per la selezione della classe dirigente, rispetto alla quale, non mancheremo di prestare la dovuta attenzione e il giusto interesse con tutti gli amici impegnati a rafforzare la componente di ispirazione democratico cristiana all'interno del Pdl.
Assai più consistente, tuttavia, resta il nostro interesse per la costituente del nuovo centro, per la nascita della quale dovranno concorrere anche gli amici dell'UDC e di quanti, ex popolari nel PD, hanno consapevolezza che la loro partita in quel luogo è finita con l'inevitabile deriva a sinistra che il partito di Bersani e della Rosy Bindi hanno assunto e dovranno ancor di più assumere. La continua rincorsa a Vendola e a Di Pietro, e alle stucchevoli proclamazioni di scioperi generali della CGIL sta lì a dimostrarlo.
Anche settori non indifferenti della Lega, ragionando attorno a ciò che sarà, in tempi non troppo lunghi, il dopo Bossi, potrebbero essere interessati al processo per la costituente di centro.
Mancano meno di due anni al termine della legislatura, ed è pendente un referendum ( la seconda sciagura, stavolta di Di Pietro, dopo quella di Segni del 1992) il cui unico effetto positivo sarà quello di costringere il Parlamento a varare una modifica dell'attuale legge elettorale.
Da sempre difensori della proporzionale alla tedesca con sbarramento al 5% e dell'istituto della sfiducia costruttiva, siamo sicuri che non passerà quello che era stato anche l'obiettivo di Casini e Follini alla fine della legislatura nel 1998. Quella legislatura si concluse, ahinoi, con il compromesso del pasticciato "porcellum", di cui loro stessi hanno non poche e dirette responsabilità. Credo sia più probabile che la modifica al "porcellum" si limiterà all'introduzione delle preferenze, quelle stesse demonizzate, e non ne mancavano anche giuste ragioni, all'epoca del referendum Segni, oggi ritornate in auge, dopo la stagione dei cooptati e nominati in molti casi, senz'arte né parte, se non quella di fedeli esecutori degli ordini dei capi.
Insomma, è mia seria convinzione che il bipolarismo, in versione più o meno in salute, sarà anche il terreno su cui si giocherà la prossima partita elettorale.
Ecco perché, con buona pace di Marini e amici ex DC nel PD, prevedo che quel partito sia destinato, per la leadership interna, alla sfida, già avviata: Bindi-Renzi, mentre sul piano elettorale tenterà di riaggregare le sparse forze di sinistra, caratterizzandosi per il polo alternativo ad un centro-destra che, mi auguro, sarà finalmente ricomposto nella sezione italiana del PPE.
Terzi poli da Fini, Della Vedova, Rutelli a Casini in questo scenario non hanno spazio, mentre tutti loro dovrebbero seriamente misurarsi e concorrere alla costruzione della nuova costituente di centro che, Alfano e Formigoni, hanno indicato come la meta verso cui tende lo stesso Pdl alla vigilia del prossimo confronto elettorale.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Venezia, 4 Settembre 2011




27 Agosto 2011

Cosa farà Formigoni: da Rimini il dado è tratto!

Abbiamo partecipato con una delegazione di FEDELIF, la Federazione dei Liberi e Forti verso il PPE, all’annuale riunione di Rete Italia, tenutasi a Rimini, Venerdì 26 Agosto, in occasione del tradizionale meeting di Comunione e Liberazione .
Dopo i suoi recenti interventi pubblici e sulla stampa, era forte la curiosità di sentire cosa avrebbe annunciato.
Rivendicata le sue solitarie prese di posizione assunte in occasione della manovra finanziaria dello scorso anno, riconfermate, ancora pressoché da solo all’interno del Pdl, su quella di Giugno, e ripetuta con forza, stavolta in compagnia di altri amici dentro e fuori del partito, su quella che sta per essere votata dal Parlamento, Formigoni ha posto l’accento sul fatto nuovo della riunione svoltasi a Roma in mattinata.  
Una qualificata rappresentanza del partito, presieduta del segretario Alfano, con i rappresentanti del  governo, dei rappresentanti delle regioni, comuni e province e  delle forze sociali, si è riunita per predisporre gli emendamenti alla manovra finanziaria da parte del Pdl.
Era la prima volta che accadeva a testimonianza dell’avvenuto passaggio dal  partito monocratico, nato nella primavera del 2009, ad un partito oggi guidato da un segretario politico distinto anche se in piena sintonia con la persona del capo di governo.
Un cambiamento  non solo condiviso, ma ampiamente sollecitato verso un amico, Angiolino Alfano, esponente della medesima cultura politica dei militanti di reteitalia, e da tempo presente alle riunioni annuali della Rete a Rimini e a Riva del Garda.
Lo stesso segretario politico ha inviato il suo saluto caloroso agli amici riuniti nella  sala Tarkovskij di S.Giuliano a mare di Rimini.
Riconfermate le  critiche ad un manovra che colpisce le Regioni per oltre il 60%, ossia verso un’istituzione che concorre alle spese pubbliche per il 16 %, e ribadita la necessità di riequilibrare i sacrifici, a partire da quelli necessari che dovrà assumere in proprio lo Stato, Formigoni ha sottolineato l’inderogabile urgenza e necessità di por mano alle modifiche a favore delle famiglie, col riconoscimento finalmente del quoziente familiare a base delle politiche nei confronti delle famiglie;  un alleggerimento degli oneri fiscali verso le  imprese e le persone fisiche e una  più forte lotta all’evasione fiscale.
Guai se, senza modifiche, si andasse con il testo depositato in Parlamento alle prossime  elezioni politiche. Si rischierebbe lo stesso negativo risultato delle recenti amministrative aggiungendo un altro  errore all’errore precedente.
Tutto ciò è stato scritto  nel documento redatto a termine della riunione  del partito, presenti i responsabili dei gruppi  parlamentari del Pdl e che il segretario dovrà difendere e rappresentare negli incontri con i partner  di coalizione e delle opposizioni.
La curiosità dei presenti era  anche e soprattutto rivolta a conoscere ciò che accade e accadrà all’interno del Pdl e nel futuro politico dello stesso Formigoni.
Affermata la positiva novità della scelta dell’amico Angiolino Alfano alla segreteria del Pdl, un partito  impegnato nella campagna per il tesseramento la cui scadenza è stata prorogata dal 31 luglio al 15 ottobre, Formigoni ha rivendicato con forza il valore della sua battaglia per le primarie a tutti i livelli.
Certo, primarie aperte ai cittadini elettori per la scelta dei sindaci e presidenti delle istituzioni locali, e , invece, scelta con regole democratiche da parte degli  iscritti dei segretari provinciali del Pdl da farsi entro l’autunno e degli stessi segretari regionali. Decisione quest’ultima già condivisa da molti anche se non  ancora  da tutti all’interno del partito. 
Naturalmente  tutto ciò richiederà le opportune modifiche in sede statutaria, per superare quanto fu votato a suo tempo dal congresso di fondazione del Pdl, ad immagine di un partito monocratico e leaderistico da considerarsi non più adeguato alla nuova fase politica.
E con la scelta democratica da parte degli iscritti dei responsabili locali del partito Formigoni ha anche ricordato l’impegno condiviso con Alfano e da quest’ultimo assunto all’atto del suo insediamento nel nuovo incarico, per la costituente di centro che, resta, anche per noi di FEDELIF l’obiettivo strategico per le prossime elezioni politiche.
Un traguardo verso il quale rendere partecipi quanti: partiti, movimenti, gruppi politico-culturali e personalità  si riconoscono negli stessi valori del popolarismo sturziano e degasperiano e sono interessati alla costruzione della sezione italiana del PPE.
Un duplice impegno quindi: dentro il Pdl, per la sua trasformazione democratica e  all’esterno, per la costituente del centro, anche disponibili, ha affermato il governatore lombardo, al cambiamento del nome del nuovo partito, nella fiducia che l’Italia resterà saldamente nelle mani di un movimento politico e ad un partito ispirato ai valori del popolarismo e alternativo alla sinistra.
E per lui,  Formigoni, quale spazio intende ritagliarsi in questa nuova fase?
Lo ha  dichiarato con determinata  sicurezza e molto chiaramente: concorrere al processo di trasformazione democratica del partito insieme al segretario Alfano e impegnato nell’offerta di un sistema di governance, come quello della sussidiarietà, che il governo lombardo da lui presieduto insieme al partner leghista della coalizione, ha saputo dimostrare all’Italia in questi diciassette anni di ininterrotta guida delle Regione Lombardia. Un sistema di governo che si è dimostrato essere uno dei più validi, se non il migliore, dei sistemi di governo sperimentato dai cittadini lombardi e che ha goduto e gode del riconoscimento della stragrande maggioranza degli italiani.
L’annuncio di Formigoni questa volta sembra dire che il dado è finalmente tratto.  Esso ha trovato l’entusiastica approvazione dei presenti, sottolineata da un grande  e prolungato applauso e il riconfermato interesse anche da parte nostra di FEDELIF, ribadito nell’incontro con Formigoni nel primo pomeriggio, e che proseguirà con i colleghi del comitato promotore, a Settembre in un incontro ufficiale di  FEDELIF con il leader lombardo e con lo stesso segretario politico On Alfano.
Un’analoga richiesta  è stata avanzata con una lettera a firma dei tre coordinatori della Federazione (Bonalberti,Fiori e Mannino) all’On Casini e se son rose…..fioriranno.

Ettore Bonalberti
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Venezia, 27 Agosto 2011




14 Agosto 2011

C’è una grande confusione sotto il cielo

Una superfinanziaria che scontenta molti con i “soliti noti” chiamati al contributo triennale di solidarietà, mentre evasori totali o parziali, continuano nei loro delinquenziali privilegi.
Un ceto medio sempre più impoverito e con alcune sue  parti ridotte quasi alle soglie della povertà.
Totale assenza di qualsiasi agevolazione per le famiglie e ridicolo compromesso sulla liquidazione delle province per il quale, principale obiettivo della Lega è stato quello di salvare le poltrone degli amici.
Un taglio sulle entrate agli enti locali, soprattutto alle regioni, che, di fatto, come ha subito denunciato il presidente Formigoni, annulla ogni altra possibilità di federalismo fiscale. L’eventuale immediata applicazione di alcuni dei decreti già approvati comporterà un semplice trasferimento della tassazione da Roma alle periferie o il pressoché dimezzamento di alcuni servizi essenziali oggi garantiti a tutti i cittadini.
La stessa decisione, pur meritoria anche se timida, di chiudere una trentina di province, se non si porrà mano a quanto a suo tempo teorizzato da Miglio e recentemente ricordato dallo stesso Presidente della  Lombardia, ossia alla formazione di 5 o sei macroregioni italiane, non permetterà di realizzare né una significativa riduzione delle spese né il concreto avvio di una sostenibile politica di federalismo fiscale.
Insomma si poteva fare meglio e di più e, unica novità nel metodo, l’annunciato mancato ricorso al voto di fiducia,  poiché, anche all’interno della maggioranza non mancano i mal di pancia e i distinguo che comporteranno inevitabili modifiche, auguriamoci in senso migliorativo e della maggiore equità, del provvedimento in sede parlamentare, anche con il concorso delle opposizioni più responsabili.
Alcuni dei provvedimenti richiesti dalla Banca centrale europea dal duo Trichet-Draghi, potevano essere assunti prima da una maggioranza che fosse rimasta coesa e impegnata sul fronte delle promesse liberali contenute nel programma elettorale.
Senza l’introduzione di un sistema fiscale caratterizzato dal conflitto di interessi ( tu mi fai la fattura e io la posso scaricare nella denuncia dei redditi) e non da quello  attuale  fondato sulla convenienza delle parti all’evasione ( tu non paghi l’IVA se mi paghi in nero) non se ne esce dal quel bubbone dell’ evasione fiscale ( 38,41 % con punte del 66 % al Sud per  un totale del 50,5 % del reddito non dichiarato- nel 2010 gli italiani non hanno dichiarato al fisco redditi per quasi 50 miliardi di euro)  che rappresenta l’autentica palla al piede che costringe i ceti a reddito fisso e accertabile al pagamento alla fonte di tutte le tasse e a costituire il docile gregge su cui esercitare la normale operazione di tosatura da parte dell’erario.
Se poi, a quanto già lo Stato incassa per interporta persona, i datori di lavori, a quegli stessi ceti si richiede anche l’onere dei ricorrenti contributi di solidarietà, è la volta che anziché non “ mettere le mani nelle tasche degli italiani”, qualcuno cominci a menare  lui le mani, se non materialmente, in senso non troppo metaforico, alle urne al prossimo giro di boa.
Si abbia il coraggio e la capacità di applicare corretti, efficaci ed efficienti ISEE, Indicatori della situazione economica dei contribuenti, e la già meritoria azione avviata sul piano della lotta all’evasione farà un salto di qualità e di quantità significativo.
E sul piano del costume, attraverso la completa pubblicità delle denuncie dei redditi di tutti i cittadini, si additino finalmente gli evasori tra i nemici della civile convivenza sociale. Questa semplice e gratuita norma accompagnata all’introduzione del federalismo fiscale con ampi poteri nella raccolta da parte degli enti locali, ridurrà drasticamente il fenomeno e farà emergere del tutto il bubbone di cui sopra e con esso i furbi e furbastri nemici della Patria.
E si abbia finalmente il coraggio di ridurre le aliquote fiscali, introducendo un incremento dell’IVA con la sola esclusione dei beni di immediata necessità,  trasferendo parte dell’attuale imposizione diretta IRPEF a quella sui consumi che ciascun cittadino liberamente decide di effettuare
Siamo consapevoli di essere entrati dalla fine del 2007 e con la crisi dei subprime americani in una crisi finanziaria mondiale ancora più grave per la sua universale estensione a quella stessa del 1929.
Siamo altresì consapevoli che c’è qualcosa di profondamente errato e irrazionale in ciò che sta succedendo.
Tre agenzie  provate di rating internazionali americane ( Moddy’s, Standard & Poor’s, Fitch) alcune nate nel secolo scorso per garantire maggiore trasparenza ai mercati fornendo un giudizio sull’affidabilità dei bilanci societari,  sono diventate i moderni  infernali Minosse in grado di giudicare l’attendibilità dei bilanci degli stati.
Una situazione tanto più incomprensibile nel momento in cui queste stesse società di rating sono compartecipate da molti dei gruppi multinazionali che dovrebbero essere oggetto delle loro stesse valutazioni.
Insomma, un perverso e diabolico intreccio di controllori- controllati che ha indotto a quella “sicura positiva valutazione” di Lehman brothers proprio alla vigilia  del tracollo della banca d’affari nel settembre del 2008;  il più colossale crack finanziario della storia del capitalismo mondiale, al quale hanno largamente contributo J.P.  Morgan e Citigroup.  Banche indebitate, risarcite dallo Stato  che in quel modo ha trasferito i debiti privati nel grandioso debito pubblico americano sin qui sostenuto dai titoli di stato in larga parte acquistati dal dragone emergente cinese.
Una situazione paradossale che dovrà essere riconsiderata a livello globale planetario alla luce dei nuovi emergenti ( Cina-India-Brasile) che hanno mutato profondamente gli equilibri economico-finanziari e di potere internazionali.
Altrettanto paradossale il caso europeo, dove una Banca centrale regolatrice del mercato monetario svolge un ruolo assoluto di potere sugli stati nazionali, senza il contraltare di un potere politico sovra determinato in termini di rappresentanza democratica e con 17 Paesi, quelli dell’area dell’euro, in balia di diciasette diversificati sistemi di politica economica e finanziaria.
Insomma un’unione europea monetaria priva di quell’unità politica e dei sistemi finanziari e fiscali che impedisce all’Europa di svolgere quel ruolo equilibratore nell’attuale sconquasso mondiale.
Si aggiunga una crisi drammatica di leadership, tanto negli Stati Uniti, con un presidente abilissimo nella loquela e altrettanto impotente sul piano delle decisioni, che nell’Europa, dove gli attuali reggitori dei governi sono assai più preoccupati delle scadenze elettorali prossime venture e sempre ricorrenti, che delle necessarie e indispensabili scelte per il bene comune.
In questo quadro assai confuso, per l’Italia, sempre più divisa con corporazioni egoisticamente rinchiuse nella difesa dei propri interessi e privilegi, e partiti incapaci di riconoscersi una reciproca legittimità, serve la scelta  di una coraggiosa discontinuità che può derivare da un nuovo patto sociale e istituzionale da definire attraverso l’indizione di un’assemblea costituente con il potere di riscrivere la Carta costituzionale da cui far nascere senza traumi la Terza Repubblica di cui il Paese ha una grandissima e non più rinviabile necessità.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
Coordinatore per il Nord Italia di FEDELIF (Federazione dei Liberi e Forti) verso il PPE
Venezia, 14 Agosto 2011




22 Luglio 2011

Triste spettacolo di un Terzo Polo esangue

Abbiamo assistito nel pomeriggio al triste spettacolo del  bacio bugiardo e ipocrita dei due che più di tutti hanno concorso alla messa in crisi  dell’esperienza politica del centro destra.
Il solito duo bolognese che, da tempo, ho accostato ai comici della commedia dell’arte: Fagiolino Casini con il Sandrone Fini abbracciati al termine di un intervento in cui, il primo annunciava niente meno che l’avvento della Terza Repubblica e il secondo, l’ennesima richiesta di dimissioni del Cavaliere.
Povera Italia se la terza  Repubblica dovesse nascere dal ruolo di levatrici di questo duo comico cui si è aggiunto il terzo uomo, quell’ex “piacione” di Francesco Rutelli contro cui Fini, grazie a Berlusconi, iniziò il suo sdoganamento e quello del MSI, proprio in alternativa all’ex radicale, nelle elezioni comunali del comune di Roma agli inizi degli anni’90.
Tre  giovani vecchi che hanno conosciuto come lavoro nella loro vita, solo quello della politica  e che da quasi trent’anni, da reggicoda dei Bisaglia e Forlani, Casini, di Almirante, Fini e di Pannella, Rutelli, continuano a sputar sentenze e a ritenersi i salvatori della Patria.
Alle ultime elezioni amministrative sono usciti malconci dalla prova elettorale e, se non cambia il sistema, alle prossime politiche, anticipate o alla scadenza naturale che siano, per molti di loro è a rischio la stessa rielezione.
Tra tutti e tre quello che onestamente risulta più intollerabile è il Presidente Fini che si arroga il diritto di chiedere agli altri di compiere ciò che con il più elementare  senso del dovere avrebbe dovuto compiere dal giorno in cui è  uscito dalla maggioranza che lo ha portato su uno scranno che mai avrebbe saputo raggiungere per meriti e forza propria.
Intanto restituisca ai suoi camerati la casa di Montecarlo finita rocambolescamente  nella disponibilità dei  Tulliani e se proprio vuol aspirare a ritrovare un ruolo di leadership politica oramai perduta, si dimetta dal ruolo di garante della vita parlamentare e in piena autonomia provi a farsi contare alle prossime elezioni politiche.
Ma si sa, come Sandrone, anche Fini è poco incline a scelte coerenti e razionali e finché la barca va, meglio lasciarla andare al di là di coerenze e di onestà intellettuali da rinfacciare semmai sempre e solo agli altri, già sponsor eccellenti e oggi avversari da combattere senza quartiere.

Don Chisciotte
Venezia, 22 Luglio 2011




08 Luglio 2011

Una gabbia di matti

Così sembra ridotta l’Italia alla vigilia di scelte, come quelle sul decreto per la sistemazione dei conti pubblici, con comportamenti assurdi al limite della schizofrenia politica.
Un ministro esperto giuridico, superdotato  di un ego  irraggiungibile, che dà del “cretino” sulla spiegazione dei conti a un collega ipersensibile e riconosciuto esperto in materie economico-finanziarie.
Lo stesso solito ministro superdotato che dà del furbetto al Presidente del consiglio, al quale non gli resta che replicargli di stare,piuttosto,  “attento ai cretini consulenti suoi”.
Un decreto che sul caso del lodo Mondadori sembra non avere né padri e né madri, ma che, intanto, per il modo e i tempi in cui è stato redatto serve a creare ulteriore discredito al Cavaliere e ai fantaccini sui.
E, su tutti, incombe la spada di Damocle di una parte rilevante della Magistratura militante che, da diciassette anni ha assunto Berlusconi quale oggetto privilegiato delle proprie attenzioni, e che, refrattaria a ogni pur timida modifica dei privilegi e delle comodità acquisite, si mette di traverso a ogni minima riforma da qualunque parte politica avanzata.
Una classe dirigente oramai priva di ogni affidabilità agli occhi di un elettorato stanco e sfiduciato che sembra fatta da un gruppo di squallidi smemorati o parenti stretti delle tre scimmiette.
Da D’Alema a Fini, da Scaiola e adesso a Tremonti, la casa sembra essere il tallone d’Achille di questi apparentemente fieri combattenti che, come tutti gli italianuzzi, tengono pure loro famiglia e quando si tratta di lucrare qualche benefit, oltre a quelli già pesantissimi garantiti loro da una legislazione pro politici tra le più vergognose al mondo, non si tirano certo indietro.
Fosse possibile un’alternativa il governo sarebbe già defunto.
Ma cosa volete, al Cavaliere, allo stato degli atti, subentrerebbero Bersani, Vendola e Di Pietro, tre personaggi che non godono certo dei favori e del consenso della maggioranza degli italiani.
Il Cavaliere, si vede anche dalla sua faccia sempre più tirata e meno disponibile al sorriso, alla vigilia di una stangata economica insensata e volta a favorire l’eterno rivale assai poco commendevole nella storia d’Italia, dichiara la sua stanchezza e di essere pronto a ritirarsi. Se non ora, certamente non ricandidandosi nel 2013, dove ha in serbo le due carte di riserva: Alfano alla presidenza del consiglio e Gianni Letta a quella della Repubblica.
Un bingo che non è mai riuscito nemmeno alla DC dei tempi migliori. Auguri!
Noi continuiamo a pensare che senza una profonda rigenerazione culturale e morale prima ancora che politica, nubi oscure si presentano all’orizzonte.
E’ tempo che la cultura cattolica batta un colpo e attorno ai principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa avvenga il fatto nuovo della costruzione di un partito autenticamente democratico, sezione italiana del PPE.
Un partito aperto all’adesione di quanti sono interessati a mettere insieme le culture riformistiche cattolica, liberale, socialista e nazionale con regole democratiche di partecipazione e di selezione della classe dirigente.
E, intanto, auguriamoci che il Parlamento possa procedere a quegli aggiustamenti strutturali di una manovra che, sino a oggi, ha suscitato solo forti critiche e preparato dosi massicce di ingiustizia sociale.
Sarebbe ora che il signore troppo intelligente e avvezzo a considerare gli altri come poveri stupidi, scendesse dal suo olimpo dorato e ascoltasse la voce dei suoi colleghi.
Ne conoscevamo un altro al tempo della Prima Repubblica che sosteneva che erano sempre gli altri che non avevano capito, e mai una volta che avesse avuto l’umiltà di affermare che, forse, non si era spiegato.
Anche lui, come adesso molti esponenti ostili al Cavaliere, era portato in palma di mano da Scalfari, La Repubblica e i soliti salotti dei poteri forti. Era un irpino, “filosofo della Magna Grecia”, che ebbe la sfortuna di accompagnare miseramente la fine della DC e con essa  della Prima Repubblica.
Osiamo sperare che il professore della Valtellina sappia ravvedersi in tempo e di rimettersi a praticare il gioco di squadra, fuori del quale, c’é solo una sicura “ruina” per tutti.

Don Chisciotte
Venezia, 8 Luglio 2011




24 Giugno 2011

Bello fare il gay con il c….degli altri

E’ il caso del neosindaco di Napoli: “Masaniello” De Magistris. Eletto da oltre il 60% del 50% degli elettori, i quali lo hanno scelto come il Deus ex machina in grado di risolvere tutti i problemi di Napoli, aveva scritto nel suo programma elettorale: no al termovalorizzatore, ricollegandosi all’ardita filosofia del suo conterraneo non meno famoso, l’ex ministro dell’ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio di cui si sono perse le tracce.
E appena eletto, come avesse la bacchetta magica, annunciò trionfante: entro martedì 21 giugno il problema della monnezza a Napoli sarà risolto.
La profezia si basava su un assioma indimostrato e indimostrabile: la monnezza di Napoli verrà bruciata non in un termovalorizzatore campano, ma in quello delle altre regioni disponibili. Insomma fare il furbo con i termovalorizzatori degli altri.
E alla fine, mancato il traguardo, prendersela con il complotto e il solito governo di Berlusconi che si rifiuta di firmare il decreto per il transito della monnezza da Napoli in altri siti italiani.
“Ofelet fa el to mesté”: tra poco anche i napoletani impareranno il celebre detto milanese: “ ragazzo pasticcere, fa il tuo mestiere”. Purtroppo, a detta dei suoi superiori, nemmeno quello di PM risultava molto adatto all’aitante magistrato che, con grande senso dell’opportunità, ha preferito trasferirsi nelle comode e ben remunerate stanze di Strasburgo, oltre a tutto, in grado di offrire una tranquillissima immunità da ogni evento….
Attento Sindaco: Napoli è la città capace di portare in trionfo il suo Masaniello e, appena issato sulla poltrona del potere, farlo miseramente precipitare  nella polvere.
Berlusconi alla fine firmerà, non so se e quante regioni italiane saranno disposte ad accollarsi i rifiuti di una città che ha scelto un signore che la sua monnezza vuol farsela bruciare dai termovalorizzatori degli altri.
Insomma, proprio come quel falso gay che voleva farlo, ma con il c……degli altri.

Don Chisciotte
Venezia, 24 Giugno 2011




22 Aprile 2011

Questa volta l'ha fatta grossa

Questa volta l'ha fatta grossa
Ha provato a uscire dall'anonimato politico per farsi un'immagine di leader nazionale. Risultato? Un disastro.
Ha mirato in alto il nostro Giancarlo Galan, addirittura alla Santa Barbara del governo Berlusconi, quello che tiene i cordoni della borsa e, grazie al quale, l'Italia non ha fatto la fine della Grecia, del Portogallo e quello assai probabile della Spagna.
Per prendersela con la Lega, avendole già sparate tutte sul povero Zaia, il vecchio liberale-libertino, già socio del gruppo liberal radicale di Altissimo, ha mirato al cuore, all'uomo simbolo dell'alleanza con Bossi: Giulio Tremonti.
Sbagliando obiettivo e tempo, come un politico sprovveduto alle prime armi, si è solo attirato gli strali di tutto il Pdl.
Ridicola la motivazione: Giulio ci fa perdere le elezioni perché socialista. Detta da un signore che deve le sue fortune a un socialista craxiano aziendale, come il Cavaliere, di cui il Nostro era a libro paga quando fu chiamato ad entrare in Forza Italia, e che al suo ingresso alla guida della Regione era asservito al potere della czarina socialista di Thiene, suona tragicomico.
Suona tragicomico, specie a chi, come noi veneti, ben conoscono la storia politica del ministro padovano, più abile nella pesca d'altura che nella conduzione di qualsivoglia movimento politico partitico.
Aver riscoperto una sin qui repressa idiosincrasia socialista deve essere il frutto di qualche cattivo consigliori, che si reputa grande genio della cultura, già espressione delle posizioni più estreme della sinistra d'antan.
Questo succede quando un signore di campagna viene catapultato a livelli troppo elevati per la sua caratura e finisce con l'assumere i ruoli in commedia suggeritigli da qualche improvvisato Richelieu.
Almeno la czarina socialista, convertita al rito berlusconiano, con i suoi accoliti sapeva fargli produrre ottimi risultati sul piano delle opere, quelle pubbliche si intende….
Ora, perduta l'antica musa ispiratrice, alla mercè di un residuato della sinistra comunista sensibile al richiamo del filosofo veneziano con la barba, ha perso la trebisonda.
E, come spesso succede, ha finito con la sua insensata dichiarazione di far del male a se stesso e al suo partito. Ennesima conferma dell'aurea regola della stupidità.
I vecchi saggi veneziani, che ancora non leggevano i trattati di Carlo Cipolla, molto più prosasticamente così sentenziavano: " quando la m….arriva allo scranno e la fa puza e la fa danno"…….

Don Chisciotte
Venezia, 22 aprile 2011





18 Giugno 2011

Ultimo TIME OUT per i DC nel Pdl?

Avevo partecipato a numerosi incontri del gruppo dei popolari liberali di Carlo Giovanardi ed Emerenzio Barbieri che, con gli amici della DC per le autonomie dell’On Rotondi e del sen Cutrufo, sono stati cofondatori, dopo il discorso del predellino, del Pdl.
Solo qualche settimana fa si erano riuniti con il gruppo del Governatore della Campania, On Stefano Caldoro, in un’affollata riunione in Via della Conciliazione a Roma. Ed anche allora, interessato come sono e come siamo  noi di ALEF ( Associazione dei Liberi e Forti) a quanto accade e si muove nella vasta galassia dei movimenti e gruppi cattolici di ispirazione democratico-cristiana dentro e fuori del Pdl, avevo partecipato con interesse a quell’incontro.
Tanto più interessato lo sono stato Sabato 18 giugno, dato che era stata convocata presso la sede della confcooperative di Roma una riunione dei DC nel Pdl.
L’impressione generale che ho ricavato dai diversi interventi è che, questa stavolta, siamo davvero all’ultimatum, dopo i reiterati penultimatum degli incontri precedenti.
Carlo Giovanardi ha sciolto l’interrogativo dell’usque tandem rivolto al Cavaliere, chiarendo che, con il Consiglio nazionale del Pdl il 1 Luglio p.v., si dovrà decidere il futuro dei DC del e nel Pdl.
Troppe promesse sul piano del sostegno non formale alla politica della famiglia sono state sin qui disattese. Troppe promesse sul piano di un coinvolgimento dei cofondatori nella gestione del partito non sono state mantenute. Troppi schiaffi sono stati  affibbiati agli amici della periferia dai berluschini d’ordinanza, espressione dell’assurda formula del 70 % a FI e 30 % ad AN, con il bel risultato di una sistematica esclusione degli amici ex DC persino dalle candidature nelle liste locali.
Una situazione non più tollerabile e denunciata da quasi tutti gli interventi degli esponenti della periferia: dal Veneto alla Sicilia, dalla Toscana alla Calabria e alla Puglia. Un dirigente siciliano dei popolari liberali in un documento distribuito ai convegnisti descrive così la situazione del Pdl in quella te inrra: si è costruito  “ un partito su un modello fortemente personalizzato e centralistico che ha sostituito di fatto quello della  collegialità e del confronto. Una degenerazione di tipo feudale dei capi locali i quali evidentemente hanno ritenuto  di poter assorbire e rappresentare, senza alcun preventivo confronto, gli stimoli politici e culturali, l’anima autenticamente popolare delle diverse componenti che inizialmente hanno dato linfa vitale al Pdl
Ha tentato il sen Cutrufo di volare più in, alto, da un lato, condividendo la denuncia dell’assenza di democrazia e di partecipazione nel partito a tutti i livelli, e dall’altro, proponendo a Berlusconi di lanciare una proposta di assemblea costituente attraverso la quale ridisegnare l’assetto istituzionale del Paese. Una proposta senza la quale in caso di crisi di governo, il Paese, alla vigilia di scelte politico istituzionali rilevanti, come il rinnovo della presidenza della Repubblica, a costituzione vigente invariata, correrebbe, a detta del senatore romano, seri rischi  di immobilismo e ingovernabilità per almeno il prossimo decennio.
Nel mio intervento a nome degli amici di ALEF ho ricordato a Cutrufo di aver inviato una lettera al Presidente del consiglio nel dicembre scorso, subito dopo il  risicato voto di fiducia alla Camera, con la quale consigliavo proprio a Berlusconi di lanciare questa proposta dell’assemblea Costituente.
Ahimé a quella lettera non ci fu data risposta, ma, soprattutto, non si  diede vita a quell’iniziativa politica che, probabilmente, a quel tempo, sarebbe stata accolta con qualche disponibilità anche dalle forze di opposizione.
Riproporre quella proposta, certo, va sempre bene, anche se, dopo quanto è accaduto con il voto amministrativo e referendario,probabilmente, rischia di essere ormai irrimediabilmente  fuori tempo massimo.
Le conclusioni  dell’ampio e partecipato dibattito, tratte dal ministro Rotondi sono state il risultato di un rigoroso ragionamento politico con il quale, dimostrata piena condivisone circa il termine del 1 Luglio per il chiarimento e la disponibilità sua, personale e di gruppo, ad assumere le decisioni conseguenti, il ministro irpino invitava a meditare sulle conseguenze strategiche di una decisione di rottura.
La rottura con il Pdl della componente DC cofondatrice del Pdl, significherebbe con molta probabilità non solo la crisi del partito, ma anche quella inevitabile di governo, e ,con essa, la stessa crisi di legislatura.
Una prospettiva che, certo, dovrebbe far meditare innanzi tutto il Cavaliere e il neo segretario in pectore, Angelino Alfano.
Una scelta,quella del giovane ministro siciliano a capo del partito, largamente condivisa da tutto gli ex DC del Pdl. Un leader con il quale ci si propone di avviare un serio confronto prima della scadenza del 1 Luglio, data del CN del partito.
Insomma siamo all’ultima chiamata del time out, prima del fischio finale della partita da parte degli amici DC del Pdl.
Ora il dado è nelle mani di Berlusconi e di Alfano, mentre sale sempre più forte dalla vasta galassia dell’associazionismo cattolico dentro e fuori del Pdl, la voglia di una ricomposizione dell’area di ispirazione cristiano sociale e cattolico liberale per costruire , finalmente, la sezione italiana del PPE.

Ettore Bonalberti
Roma, 18 Giugno 2011





06 Marzo 2011

Il vulcano mediorientale

Il vulcano mediorientale
La sponda meridionale del Mediterraneo è un vulcano in piena eruzione in grado di mettere seriamente a rischio con la pace: la possibilità di convivenza interreligiosa, l'esplodere di una migrazione di carattere biblico di centinaia di migliaia di diseredati dal Sud verso l'Europa e, ultimo, ma non meno importante, gli approvvigionamenti energetici dell'Occidente.
Giovani, affamati e prolifici sono trasportati, con grave rischio per la loro stessa vita, sulle pericolanti boat people verso le sponde italiane, della Grecia e della Spagna, alimentando e amplificando un esodo che è destinato a mutare in profondità la stessa natura di un Europa sempre più vecchia, impotente, denatalizzata e satolla.
Tutto si sta consumando come uno tsunami scatenatosi in un arco di tempo assai breve con onde ricorrenti capaci di collegare gli estremi confini del nord Africa, dal Marocco all'Egitto, e giù per le regioni del Golfo Persico e a Nord verso l'Iran degli Ayatollah sciiti.
In Marocco, dopo una giornata di protesta con migliaia di manifestanti che chiedevano un nuovo governo e una monarchia costituzionale, Re Mohammed VI ha dichiarato che non cederà alla demagogia.
La Tunisia, dopo la caduta del presidente Ben Ali, che era al potere dal 1987, vive in una delicata e fragile fase di transizione post-rivoluzionaria.

In Libia, le milizie del Colonnello Muammar Gheddafi stanno contrastando con la violenza le proteste della popolazione scoppiate a Tripoli. Bengasi è sotto il controllo dei manifestanti e il Rais ha scelto la via dei bombardamenti aerei sulla popolazione civile nel tentativo di impedire il controllo dei pozzi petroliferi a Braga. Si rischia un vero e proprio genocidio.

In Egitto, lo scorso 11 febbraio il presidente Mubarak si è dimesso dopo 30 anni al potere, lasciando il Paese in mano a un disorientamento nel quale l'esercito al momento conduce il gioco. Nella giornata di giovedì 3 marzo si è dimesso il presidente incaricato Ahmed Shafiq e la guida provvisoria del governo per decisione del Consiglio supremo delle forze armate è passata nelle mani di Essam Sharaf.
Nello Yemen, dopo diversi giorni di proteste, durante i quali si è registrata la morte di oltre una decina di persone, il presidente Ali Abdullah Saleh ha dichiarato di non voler dare le dimissioni, ma di essere intenzionato ad aprire un negoziato con i manifestanti.
Nel Bahrain, l'opposizione sta tentando di cavalcare la protesta scaturita presso la popolazione sciita per costringere il re a sciogliere il Governo.
Nell'Iran, Repubblica islamica dal 1979, anno della cacciata dello Shah. sono avvenute manifestazioni nelle piazze pubbliche e scontri con la polizia agitano nuovamente il Paese, mentre il ministro degli Esteri del Governo di Teheran ha condannato pubblicamente la "strage degli innocenti" che sta avvenendo in Libia.
Da molte parti ci si chiede: cosa sta avvenendo nel Medio Oriente? Di quali rivoluzioni si tratta? Quali scenari si stanno preparando per questa parte meridionale del Mediterraneo?
E cosa comporterà per Israele e per l'Europa quest'eruzione vulcanica che sembra esplodere in tutti i Paesi arabi e musulmani?
Se per l'Egitto e la Tunisia, per decenni la parola "rivoluzione" connotava ciò che era accaduto negli anni cinquanta del secolo scorso, con la cacciata dei poteri coloniali francesi e inglesi, adesso la rivoluzione si rivolge contro avversari interni rappresentati dai regimi dittatoriali che si sono instaurati in questi Paesi.
E non siamo nemmeno di fronte alla cosiddetta rivoluzione islamica di Khomeini contro lo Shah Reza Phalavi nell'Iran del 1979.
Certo la componente islamista è ancora ben presente, come nel caso dei fratelli musulmani in Egitto, ma, almeno per adesso, prevale un riferimento a valori universali quali il lavoro, la libertà e la dignità nazionale.
Dalla "rivoluzione del gelsomino" in Tunisia a quella del pane in Egitto, un detonatore comune sembra aver innescato la protesta:
a) l'inflazione conseguente all'impennata dei prezzi dei prodotti alimentari che hanno messo alla fame gli strati prevalenti di quelle popolazioni;
b) una disoccupazione giovanile che colpisce fasce di età di persone istruite impossibilitate a trovare sbocchi occupazionali
c) la persistenza di dittature, come nel caso di Ben Ali in Tunisia o Mubarak in Egitto, non più tollerabili.
La situazione libica, invece, nonostante alcuni elementi comuni ( il ruolo dei giovani nella protesta, la richiesta di maggiore libertà, il tam tam dei new media) la situazione appare diversa rispetto all'Egitto e alla Tunisia.
In Libia, infatti, nonostante le enormi malversazioni dei Gheddafi, la popolazione vive un relativo benessere grazie ai proventi petroliferi, e da un equilibrio sin qui garantito dal Rais tra i diversi clan che caratterizzano tra Cirenaica e Tripolitania l'assetto politico, culturale e sociale di quel Paese.
In Libia, di fatto, è in corso una guerra civile, conseguente alla rottura dell'equilibrio interclanico e tutto dipenderà da come si realizzerà quello nuovo determinato dai diversi orientamenti delle tribù che, in assenza di una classe media come l'intendiamo noi occidentali, rappresentano l'unico corpo intermedio reale libico.
Diversa ancora la situazione esistente nell'IRAN. Anche nel Paese di Ahmadinejad dopo la caduta di Ben Alì in Tunisia e di Mubarak in Egitto, si sono verificate diverse manifestazioni contro il regime. Anche qui l'opposizione si identifica coi movimenti contestatari tunisini ed egiziani che reclamano libertà politiche e ideologiche, in nome del pluralismo politico e dell'alternanza al potere.
Tuttavia in Iran questi movimenti non si trovano di fronte vecchi dittatori ridotti a fossili politici dopo trenta e passa anni di ininterrotto potere, quanto, invece, un gruppo dominante rappresentato dai Pasdaran, i guardiani della rivoluzione, una certa gioventù e un relativo dinamismo della classe dirigente attorno ad Ahmadinejad che rende il potere molto meno vulnerabile.
Inoltre, in Iran, a differenza di quanto accaduto in Egitto e in Tunisia, le forze dell'ordine si sono schierate contro la popolazione. Controllo efficace dell'apparato repressivo da parte di Ahmadinejad e milizie popolari fanatiche a sostegno, rendono assai più difficile un esito positivo dei fermenti rivoluzionari esistenti anche in questa parte strategica medio orientale .
Molto dipenderà anche dall'atteggiamento che i nuovi poteri emergenti assumeranno verso Israele, venuta meno la funzione di intermediazione dell'Egitto di Sadat e Mubarak.
Il vero rischio è che la situazione creatasi in Tunisia,Egitto, Libia, con ricorrenti episodi di violenza in Algeria, possa determinare un vero e proprio contagio nel Golfo. In quell'area geografica del medio oriente da cui l'intero occidente, con la Cina e l'India, derivano larga parte delle loro necessità energetiche. Insomma nel cuore degli approvvigionamenti petroliferi e di gas fattori scatenanti di possibili conflitti ad altissimo potenziale distruttivo. Basti pensare che il solo regno saudita, da sempre tenuto in gran rispetto dagli americani, detiene il 25 % delle riserve mondiali di greggio e fornisce il 10 % della produzione totale.
Un contagio della rivolta che sembra colpire interi paesi arabi e islamici,dallo Yemen, alla Giordania e al Barhain con possibile estensione allo stesso IRAN, non arabo, ma islamico sciita.
L'altro grande dilemma che si pone, particolarmente all'attenzione dell'Italia e dell'Europa, oltre al tema degli effetti petroliferi della rivolta, è rappresentato dalle conseguenze sociali e culturali derivanti dall'enorme esodo di popolazioni che queste rivolte stanno provocando.
Rotte le fragili difese libiche e tunisine faticosamente costruite con gli accordi intervenuti con Gheddafi e Ben Ali, si stanno riversando migliaia di profughi africani di diverse provenienze, etnie, culture e religioni sulle coste prossime dell'Italia. Un esodo biblico di possibile devastante impatto.
Per ora l'unica cosa certa è che gli schemi di analisi con cui l'Occidente ha valutato e valuta gli eventi medio orientali sono apparsi del tutto inadeguati e condizionati da pregiudizi ideologici. Europa e Stati Uniti sembrano assistere da spettatori passivi e del tutto impreparati di fronte a quanto accade nella sponda meridionale mediterranea e nel golfo persico.
Le prime reazioni sono apparse timide e impacciate, tanto da parte del presidente USA,Barack Obama, che dell'inesistente politica estera unitaria europea. Persino sul fronte della solidarietà comunitaria all'Italia che già vive una condizione di stress da immigrazione particolarmente forte nella pur generosa e solidale gente di Sicilia, le risposte sin qui ricevute sono sembrate del tutto inadeguate e, come sempre, ispirate più al burocraticismo che uccide lo spirito europeo che a un'autentica capacità di analisi e di azione politica fondata sulla solidarietà.
Sul piano, invece, del rischio petrolifero, se saltassero gli accordi con Libia e Algeria ( e meno male che si sono ulteriormente rafforzati quelli con la Russia), per l'Italia si potrebbe mettere davvero male.
Al riguardo sono quanto mai convincenti le lucide analisi dei due tra i più importanti esponenti dell'establishment industriale energetico dell'Italia:
Fulvio Conti (Amministratore delegato Enel): "Non ci sono grosse preoccupazioni per la Libia, più grave sarebbe una crisi in Algeria. In ogni caso questo rimane un momento di riflessione ulteriore sulla necessità di una diversificazione delle fonti e delle tecnologie per ridurre la dipendenza dall'estero."
Alberto Clò (Economista, ex ministro Industria): "La diversificazione premia. Il fatto di disporre, in misura superiore ad ogni altro paese europeo, di diverse linee contrattuali di approvvigionamento - dalla Russia, dall'Algeria, dall'Olanda, dalla Norvegia, dal Qatar - a cui si sono andate aggiungendo acquisti dal mercato spot, rafforza la sicurezza degli approvvigionamenti, riducendone i rischi e accrescendone la flessibilità."
Certo, come ha anche evidenziato il ministro Giulio Tremonti, se dopo Gheddafi saltassero gli accordi con l'Italia e venissero meno gli investimenti quanto mai significativi del leader libico in alcune tra le più importanti realtà economiche finanziarie e industriali italiane le conseguenze sarebbero gravissime per il nostro Paese.
Di qui l'interesse per gli scenari che si potrebbero aprire ben rappresentati nel report ISPI Dossier del 2 marzo scorso:
Scenario 1: Stabilizzazione

L'ondata di proteste nel mondo arabo ha già superato il suo momento di massima: in Egitto e Tunisia gli apparati di sicurezza riescono a imporre soluzioni di continuità, in Libia Gheddafi si mantiene al potere, negli altri Paesi la situazione si stabilizza. Dal punto di vista della sicurezza energetica, la situazione torna in tempi rapidi allo status quo e le conseguenze si riducono a un aumento dei prezzi nel breve periodo.

Scenario 2:  Transizione

L'ondata di proteste continua, ma gli sviluppi violenti sono limitati. Il cambio di leadership in Egitto, Tunisia e Libia é segnato da una maggiore discontinuità, mentre in Algeria e negli altri Paesi si riaccendono le proteste e si introducono riforme per scongiurare il rischio di escalation. Nella fase di avvicendamento si possono avere tensioni con le imprese straniere e con i Paesi importatori sui termini di scambio, ma la necessità delle rendite per mantenere le finanze pubbliche forza nel breve-medio periodo a trovare soluzioni condivise. Dal punto di vista della sicurezza energetica, a parte un aumento dei prezzi nel breve periodo, la situazione torna nel medio periodo a una condizione di regolare attività economica. La redditività di alcuni progetti potrebbe tuttavia risultare compromessa da una ridefinizione della divisione dei proventi tra Paese produttore e operatori stranieri.

Scenario 3: Rivoluzione

L'ondata di proteste continua e si espande. I tentativi di una transizione guidata falliscono e anche i Paesi fino ad ora relativamente stabili – Algeria, Arabia Saudita – vanno incontro a crisi politica e potenziale cambio di regime. Alcune infrastrutture di trasporto o produzione potrebbero essere danneggiate e la costante navigabilità del Canale di Suez non garantita. Le nuove leadership decidono di fare a meno nel breve periodo delle rendite per cercare legittimità politica agli occhi dei rivoltosi, rivedendo unilateralmente i contratti con le imprese straniere. Dal punto di vista della sicurezza energetica, la situazione crea tensioni sia perché mettono sotto stress i sistemi di approvvigionamento europei, sia perché causano reazioni dei Paesi di riferimento delle imprese danneggiate. Nonostante i danni economici causati da un aumento nel breve dei prezzi e da una riduzione del valore degli investimenti delle imprese più esposte, la minaccia alla sicurezza energetica sarebbe tuttavia di medio periodo per via del ruolo inevitabilmente centrale che le rendite giocano nelle economie dei Paesi produttori.
Tra queste alternative si dovrebbe saper sviluppare una coordinata strategia politica dell'Europa, la più diretta ed esposta ai contraccolpi della crisi mediorientale, collegata a quella degli USA e della Russia, superando le attuali palesi difficoltà, e, con riferimento all'Italia, le provincialissime polemiche che, anche in questa occasione, ha purtroppo caratterizzato senza costrutto il dibattito politico tra le forze politiche italiane.

Ettore Bonalberti
Venezia, 6 Marzo 2011




02 Marzo 2011

Rifornimenti energetici a rischio?

http://ispinews.ispionline.it/wp-content/themes/newispi/images/spacer.gif     RIFORNIMENTI ENERGETICI A RISCHIO ?- BACKGROUND
http://ispinews.ispionline.it/wp-content/themes/newispi/images/spacer.gif     (Scheda pubblicata da ISPI Dossier del 2 marzo 2011- editata da “Il governo delle idee” per gentile autorizzazione di ISPI Dossier )
http://ispinews.ispionline.it/wp-content/themes/newispi/images/spacer.gif


 

 

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La regione interessata dalla “Rivolta araba” fornisce il 40 per cento circa delle risorse energetiche mondiali. Alcuni paesi sono tra i maggiori produttori di gas, altri di petrolio o entrambi. L’Algeria è il principale bacino di gas per l’Europa. La Libia è tra i principali esportatori di greggio e conserva nel sottosuolo le maggiori riserve africane. Il Baharein invece è un attore minore nello scacchiere energetico del mondo arabo ma la sua vicinanza con il paese leader dell’Opec, l’Arabia Saudita, ne fa un punto strategico. L’Arabia Saudita dal canto suo fornisce il 10 per cento del petrolio mondiale.
Dal 31 gennaio, quando sono scoppiate le rivolte in Egitto, il prezzo del petrolio ha sfondato la soglia psicologica dei 100 dollari al barile sul Brent, il benchmark di riferimento sul mercato delle commodities. Con l’inizio dei violenti scontri in Libia ha invece superato quota 109 dollari al barile per poi arrivare a 120 dollari ai livelli dell’autunno 2008, quando scoppio la crisi finanziaria internazionale.
Marocco
Popolazione: 31,6 milioni
Pil pro-capite: 2.868 dollari
Riserve di petrolio: 100 milioni (barili)
Riserve di Gas: 1,5 milairdi di metri cubi
Produzione petrolifera: 4.035 barili/giorno
Produzione gas: 60 milioni metri cubi/anno
Algeria (Opec)
Popolazione: 31,6 milioni
Pil pro-capite: 4.478 dollari
Riserve di Petrolio: 12,2 miliardi di barili
Riserve di gas: 4,5 trillioni di metri cubi
Produzione petrolifera: 1,26 milioni barili/giorno
Produzione gas: 81,43 miliardi di metri cubi/anno
Tunisia
Popolazione: 10,6 milioni
Pil pro-capite: 4.160 dollari
Riserve di petrolio: 0,6 miliardi barili
Riserve di gas: 2,97 miliardi di metri cubi
Produzione petrolifera: 86.000 barili/giorno
Produzione gas: 65,13 miliardi metri cubi/anno
Libia (Opec)
Popolazione: 6,41 milioni
Pil pro-capite: 12.062 dollari
Riserve di petrolio: 46,42 miliardi barili
Riserve di gas: 1,55 trilioni metri cubi
Produzione petrolifera: 1,58 milioni di barili/giorno
Produzione gas: 15,9 miliardi metri cubi/anno
Egitto
Popolazione: 80,5 milioni
Pil pro-capite: 2.771 dollari
Riserve di petrolio: 4,4 miliardi barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 742.000 barili/giorno
Produzione gas: 62,7 miliardi metri cubi/anno
Giordania
Popolazione: 6,4 milioni
Pil pro-capite: 4.434 dollari
Riserve di petrolio: //
Riserve di gas: 2,97 miliardi di metri cubi
Produzione petrolifera: //
Produzione gas: 250 metri cubi/anno
Siria
Popolazione: 22,2 milioni
Pil pro-capite: 2.892 dollari
Riserve di petrolio: 2,5 miliardi di barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 367.000 barili/giorno
Produzione gas: 5,8 miliardi metri cubi/anno
Arabia Saudita (Opec)
Popolazione: 25,4 milioni
Pil pro-capite: 16.641 dollari
Riserve di petrolio: 264,59 miliardi di barili
Riserve di gas: 7,9 trilioni di metri cubi
Produzione petrolifera: 8,4 milioni di barili/giorno
Produzione gas: 78,45 miliardi di metri cubi/anno
Yemen
Popolazione: 23,5 milioni
Pil pro-capite: 1.231 dollari
Riserve di petrolio: 2,7 miliardi di barili
Riserve di gas: 0,49 trilioni di metri cubi
Produzione petrolifera: 298.000 barili/giorno
Produzione gas: 454.700 metri cubi/anno
Oman
Popolazione: 2,97 milioni
Pil pro-capite: 18.041 dollari
Riserve di petrolio: 5,6 miliardi di barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 810.000 barili/giorno
Produzione gas: 24,8 miliardi metri cubi/anno
Emirati Arabi Uniti (EAU) (Opec)
Popolazione: 4,62 milioni
Pil pro-capite: 47.407 dollari
Riserve di petrolio: 97,8 miliardi di barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 2,34 milioni di barili/giorno
Produzione gas: 48,84 miliardi mi metri cubi/anno
Qatar (Opec)
Popolazione: 1,6 milioni
Pil pro-capite: 74.423 dollari
Riserve di petrolio: 25,38 miliardi di barili
Riserve di gas: 25,4 trilioni di metri cubi
Produzione petrolifera: 820.000 barili/giorno
Produzione gas: 89,3 miliardi di metri cubi/anno
Baharein
Popolazione: 38.004
Pil pro-capite: 19.641 dollaro
Riserve di petrolio: //
Riserve di gas: 0,09 trilioni di metri cubi
Produzione petrolifera: 48.560 barili/giorno
Produzione gas: 12,8 miliardi metri cubi/anno
Kuwait (Opec)
Popolazione: 3,48 milioni
Pil pro-capite: 32.530 dollari
Riserve di petrolio: 101,5 miliardi di barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 2,31 milioni di barili/giorno
Produzione gas: 11,49 miliardi di metri cubi/anno
Iraq (Opec)
Popolazione: 31,23 milioni
Pil pro-capite: 2,626
Riserve di petrolio: 115 miliardi di barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 2,66 milioni di barili/giorno
Produzione gas: 1,15 miliardi di metri cubi/anno
Iran (Opec)
Popolazione: 74,1 milioni
Pil pro-capite: 4.484 dollari
Riserve di petrolio: 137 miliardi di barili
Riserve di gas: //
Produzione petrolifera: 3,66 milioni di barili/giorno
Produzione gas: 15,9 miliardi di metri cubi/anno
(Dati: Platts news agency service)
Focus Libia
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Mappa elaborata da Stratfor.com (click per ingrandire)




06 Febbraio 2011

Terzo Polo: strategia bolsa, tattica fallimentare

E’ dal giugno del 2008 che si parla della costituente del Centro, quando, a Roma, si riunì  il comitato promotore che elaborò un appello in cui si diceva: « Gli italiani amano profondamente la politica. Eppure la politica, da ormai molto tempo, ha tradito gli italiani. Non ha corrisposto alle loro attese di modernizzazione, di rilancio dell’autorità statale, di nuova protezione sociale, di promozione del merito, di amore per l’etica pubblica, di difesa dei valori della comunità nazionale. In sostanza, la politica ha tradito se stessa: rinunciando a lavorare per il bene comune che dovrebbe invece essere l’unica sua vera missione. »
Quel documento aggiungeva: « L’obiettiva evidenza di tale scenario, che ha moltiplicato i sentimenti di sfiducia nella politica, ha indotto la sinistra e la destra, prima delle ultime elezioni, a realizzare due grandi coup de théâtre: la nascita del Pd e del Pdl. Siamo così entrati in un “finto bipartitismo senza partiti”. Finto perché la Lega da una parte, l’Italia dei Valori dall’altra e la persistenza di partiti e gruppi autonomi organizzati, ha prodotto in realtà “coalizioni camuffate”. Senza partiti perché, per ora, si tratta solo di castelli di carta costruiti intorno a un leader»
Perso, dopo qualche mese, Bruno Tabacci, con il suo passaggio alla nuova formazione politica costruita con Francesco Rutelli nel Novembre 2009 dell’Alleanza per l’Italia, è con il convegno di Todi dal 20 al 22 maggio del 2010 che, con il seminario della Fondazione Liberal di Ferdinando Adornato, si decide l’azzeramento delle cariche dirigenziali dell’UDC e il lancio del nuovo partito dei moderati.
In attesa del congresso dell’UDC previsto per gli inizi del 2011 , è sempre a Todi che dal 28 al 29 Gennaio di quest’anno si è tenuta la Convention di quello che, con grande fiducia, viene denominato “Terzo Polo”, dopo l’avvenuta adesione al progetto della componente finiana del Pdl, uscita dalla maggioranza di governo e causa dell’instabilità nella quale si ritrova l’Italia dall’autunno del 2010.
A Todi, ancora senza risultato, si è anche tentato di trovare un nome per il nuovo polo. Sarà per la prossima volta.
Casini-Fini e adesso Rutelli, costituiscono, dopo Todi, il trio che dovrebbe assumere la leadership dei moderati italiani.
Sono personaggi ai quali è rischioso affidare nelle loro mani il Paese, in un momento di gravi tensioni economico-finanziarie con il terzo debito sovrano dell’Italia nel mondo.

Sono tre figure mutanti: Fini, ultima espressione di una trasformazione genetica senza pari; Casini, interprete stanco e compromesso del lungo travaglio post democristiano e Rutelli, tipico saltimbanco del trasformismo politico e parlamentare italiano.  Sono in Parlamento da trent’anni. Non hanno mai lavorato davvero in attività normali, se non dedicandosi a tempo pieno a quelle della politica. Con D’Alema e Veltroni, formano un quintetto stonato, di aspiranti permanenti a ruoli di leader.

Eppure questi tre congiurati ribaltonisti stanno mettendo a rischio, con la continuità della legislatura, la stessa unità del Paese.

E’ un fatto assai grave  che la congiura sia stata ordita nell’ufficio del garante del Parlamento, trasformato nella sala del ribaltone. Quest’ operazione, compiuta in quel luogo, costituisce una profonda rottura di una prassi istituzionale largamente consolidata e che vedeva da sempre il Presidente della Camera geloso custode della sua funzione arbitrale.

Fini è riuscito a ridurla a quella di un capo manipolo di ribaltonisti e bari, utilizzando il suo scranno e la sua funzione di terza carica dello Stato per destabilizzare, da un luogo e una funzione impropria, la maggioranza e il governo del Paese.

Stretti nella morsa tra il rispetto della norma costituzionale e la mutata realtà politica e strutturale del Paese, il trio dei congiurati hanno tentato, sino ad ora fallendo, un’operazione trasformistica di palazzo che assume il carattere di un autentico attentato alla democrazia.

Pensare di rovesciare il governo e il leader votato dalla stragrande maggioranza popolare,  per sostituirlo con un governo di quelli che hanno perduto le elezioni, era ed è un’operazione squallida che non potrà essere tollerata dagli elettori che credono ancora nella sovranità popolare. Se, poi, puntassero, come ogni giorno emerge sempre di più, alla rottura con la Lega, la frittata sarebbe fatta. Il rischio sarebbe quello, da me più volte sottolineato, di una rivolta fiscale generalizzata con conseguenze drammatiche per l’unità del Paese.

In verità è proprio questa contraddizione, tra un involucro istituzionale arcaico che configura un governo parlamentare e la realtà politica tutta orientata verso il presidenzialismo, dai sindaci, presidenti di provincia e governatori regionali, che andrebbe superata. E, si sa, quando non ci sono le condizioni parlamentari e politiche per tale svolta, accade che la “ropture” avvenga, ma attraverso passaggi traumatici, già presenti allo statu nascenti nel Nord del Paese, e per certi aspetti, nello stesso meridione d’Italia.

Il voto contrario in bicamerale sul federalismo fiscale dei comuni è la prova di una strategia piegata al basso calcolo politico di una tattica asfittica e perdente. Meno male che la maggioranza in Parlamento, bloccata dal fedifrago Baldassarri in commissione, si è consolidata in aula e il decreto, al di là del giusto richiamo formale del Capo dello Stato, diventerà quanto prima legge.

Certo, in democrazia è sempre possibile puntare su nuove alleanze e proporre nuove leadership.

Se, tuttavia, come si sperava, il Cavaliere fosse stato sfiduciato e la maggioranza battuta, l’unica strada da percorrere, compiuto il rituale giro di consultazione dei partiti e delle massime autorità dello Stato al Quirinale,  non sarebbe stata quella allora auspicata di un governo tecnico o di responsabilità nazionale, ma quella delle elezioni, mostrando ciascuno il proprio volto e la propria proposta politica ai depositari unici ed esclusivi della volontà popolare: gli elettori italiani.
Stando attenti, però, che a scherzare con il fuoco questa volta ci si potrebbe veramente bruciare.
Si rasenta il tragicomico quando  con D’Alema e il suo innaturale gaulaiter Bocchino, si ipotizzano per le prossime elezioni, se e quando si faranno, governi di “emergenza democratica”. Sarebbe un vero e proprio scontro elettorale paragonabile a un’autentica ordalia con un Paese a rischio di secessione. Sai che celebrazione dei 150 anni dell’unità d’Italia!

In realtà ciò che ha spinto e spinge tuttora, con più coerenza Casini,  e Gianfranco Fini, in un’equivoca e inaccettabile doppia funzione, a unirsi a Rutelli nella nuova avventura del terzo polo, nasce dalla convinzione che il ciclo berlusconiano sia concluso. Si illudono  che, come per incanto, questo  “finto bipolarismo”, come lo chiamano loro che, dell’infausto “porcellum”, causa diretta di tale assetto, hanno precise responsabilità, sia destinato a scomparire con la fine politica del signore di  Arcore.
Sono passati già molti anni dal momento in cui Casini prima ( 2004) e Gianfranco Fini poi, con alterne strategie e tattiche ( 2006-2008-2010), ipotizzano la fine politica di Berlusconi, accarezzando l’idea di raccoglierne l’eredità e di assumere la guida del blocco moderato italiano.
Tutto si basa su una sottovalutazione profonda di ciò che unisce, al di là della debolezza oggettiva di un partito monocratico a prevalente leadership popolare e carismatica, il blocco culturale, sociale, economico e politico che costituisce la base del consenso berlusconiano.
Da un punto di vista strategico appare assurda l’idea di poter ereditare la guida dell’elettorato moderato,nel momento in cui da mesi e, in maniera violentissima nelle ultime settimane, Casini e Fini si cimentano in un attacco permanente e rabbioso contro il Cavaliere, facendo il paio con le intemerate patetiche del solito Bersani e di quella buona lana del trattorista di Montenero di Bisaccia.
Difficile che il popolo dei moderati, che ha confermato la fiducia a Berlusconi nelle politiche del 2008, nelle europee, regionali e amministrative tra il 2009 e il 2010, possa farsi guidare da chi sta concorrendo in maniera plateale al tentativo di distruzione politica di Berlusconi.
Fallace da un punto di vista tattico pensare di esercitare un ruolo dirigente da terzo polo, in presenza di una legge elettorale, di cui non si possiedono i numeri parlamentari per una modifica in senso proporzionale, che non consente voti inutili su inesistenti e inefficaci terzopolismi.
L’abbiamo già tentato nel 1994, e allora c’era il mattarellum, con il bel risultato di determinare la fine del PPI.
Vana, in definitiva, quest’ azione politica fallimentare dopo che, nonostante la scissione dei finiani, si è tentato il ribaltone insieme al PD e alle altre schegge riunite attorno ai terzo polisti, per ben sei volte il Cavaliere l’ha sfangata alla Camera e con il voto di giovedì 3 febbraio ha raggiunto la quota  di 315, 316 voti con quello del Presidente del consiglio,  ossia la fatidica soglia della maggioranza assoluta parlamentare.
Una maggioranza che, con il prossimo rimpasto di governo, è destinata ad allargarsi con il ritorno nel Pdl di  altri deputati del gruppo finiano, dopo che alcuni ex UDC hanno permesso la costituzione del gruppo dei responsabili.
Comunque la si giri siamo in presenza di una strategia bolsa e di una tattica perdente. Nella buona sostanza al fallimento di una prospettiva politica.
Certo, l’onda lunga berlusconiana sta giungendo a esaurire la sua carica propulsiva, anche se gli ultimi attacchi mediatico-giudiziari di una violenza inaudita, non sembrano abbiano compromesso la sostanziale fiducia  dei moderati italiani nel Cavaliere.
Personalmente continuo a pensare che meglio sarebbe stato, sicuramente per Casini, e, per lo stesso Fini, se il duo bolognese fosse rimasto all’interno del processo che ha portato alla costituzione del Popolo della Libertà, giocandosi la successione a Berlusconi dall’interno del movimento dei moderati che nulla intendono spartire con i Bersani, Vendola e le Rosy Bindi.
Oggi, con la loro assurda strategia e perdente tattica politica, si ritrovano alla mercè di quello stralunato giullare di Bocchino, a braccetto dell’eterno perdente D’Alema, in un vicolo cieco nel quale i moderati italiani non potranno mai seguirli.
Puntano a un’alleanza strategica con il PD? Non avranno i moderati con loro. Si troveranno a fianco degli ex comunisti nelle prossime elezioni amministrative? Perderanno molti consensi degli elettori ex democristiani e  ex aennini.
Insomma erano partiti per suonargliele e come i pifferi di montagna finiranno per essere suonati. Questo accade, come nella commedia dell’arte emiliana, a quel duo bolognese, che il mio amico don Chisciotte paragona a Fagiolino e Sandrone, quando le ambizioni che si perseguono sono molto al di sopra delle concrete capacità e risorse di cui si dispone. E quando l’ingratitudine, il cinismo e  la slealtà sono alla base delle azioni politiche.
Spero che, almeno Casini e i suoi, si ravvedano e comprendano che la strada maestra da seguire è quella di continuare a preparare l’alternativa a Berlusconi a fianco del popolo dei moderati, costruendo insieme la sezione italiana del Partito Popolare Europeo.
Una prospettiva diversa, distinta e distante, meglio, alternativa a quella che Bersani, Veltroni e  Vendola  seriamente dovrebbero ipotizzare per la sinistra italiana.

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)
ettore@bonalberti.com
Venezia, 6 Febbraio 2011